Conseguenze psicologiche leucemia

Buongiorno,
sono un ragazzo di 21 anni e circa 4 mesi fa mi è stata diagnosticata una leucemia linfoblastica acuta. Ho iniziato le cure con un certo ottimismo, rassicurato anche dai medici sulla prognosi della mia malattia. Nonostante questo il primo ricovero ospedaliero, durato circa un mese, ha avuto notevoli ripercussioni sul mio equilibrio psichico. Ho iniziato ad avvertire un senso di "distacco" rispetto al mondo circostante, come se tutto fosse un film o un brutto sogno. Questa sensazione si è mantenuta anche quando sono tornato a casa. Col tempo la situazione è diventata causa di sofferenza, e si sono aggiunte crisi di pianto senza un motivo specifico, irritabilità e "cedimenti" psichici abbastanza preoccupanti (ho tirato una testata in una finestra di plexiglas). A questo si è aggiunto un quadro depressivo (completa demotivazione a compiere qualunque attività e occasionali pensieri suicidi). Ho chiesto sia il supporto psicologico ospedaliero (che sinceramente ha dato pochi risultati) sia la visita di una psichiatra secondo cui la mia è una "normale" depressione reattiva dovuta alla mia situazione. Mi è stato prescritto Zoloft (1 mg/die) e Lorazepam (0,5 mg per tre volte al giorno + 1.5 prima di dormire). Non ho più idee di suicidio, ma permangono senso di straniamento, irritabilità e sporadiche crisi di pianto. Ora che la mia vicenda ematologica si avvicina alla fine (facendo gli opportuni scongiuri) sono paradossalmente più preoccupato della mia situazione psichica che della malattia in sè (attualmente in remissione completa). Ho paura che nella mia mente si sia prodotta una "frattura" che non sarà facile ricomporre. Ho paura di non riuscire più a tornare a una vita "normale" e piena. Vorrei sapere cosa ne pensate e mi consigliate.
Grazie in anticipo
JG
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Dr.ssa Paola Scalco Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 4.3k 101 45
Gentile Ragazzo,
certamente utile l'assunzione di medicinali che le sono stati prescritti, ma se sente -comprensibilmente- anche l'esigenza di un sostegno psicologico, penso che sarebbe il caso di farvi ricorso.

Se non è stato soddisfatto di quanto le è già stato offerto, cerchi altrove: ha certamente diritto a recuperare la serenità che la malattia le ha sottratto e a ricominciare a pensare a progettare la sua vita con positività.

La sua famiglia è consapevole della "consistenza" del suo disagio?

Cordialmente,

Dr.ssa Paola Scalco, Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica
ASTI - Cell. 331 5246947
https://whatsapp.com/channel/0029Va982SIIN9ipi00hwO2i

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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 578 66
Gentile Utente,
la malattia, soprattutto se impegnativa, scardina i riferimenti della vita di una persona, ne interrompe la progettualità, lo sospende in un "limbo" in attesa dell'esito delle cure.
Tutto questo non può non avere rimbalzi sulla vita psichica, soprattutto in persone giovani, con una psiche non ancora pienamente formata.
E dunque quanto Lei ci dice, non ci meraviglia, è da mettere nelle conseguenze della malattia fisica di cui ci narra.
Che fare?
I farmaci sono sicuramente di aiuto.
Ed accanto a questi un supporto psicologico costante: di appoggio e sostegno; di aiuto nell'adattamento, nell' accettazione della situazione, nella riprogettazione della vita (che continua, e che deve essere gestita). Nei Centri ospedalieri dedicati alla Sua malattia, frequentemente il sostegno psicologico è previsto.
Saluti cari!

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/