Evitamento: quanto è tollerabile?

Salve,

volevo chiedere il vostro parere sull'evitamento in una situazione di lieve ansia. La domanda è generale, ma ovviamente mi riguarda. Il mio quadro è questo: nell'ultimo anno circa ho avuto una sorta di lieve ansia generalizzata su più fronti, probabilmente dovuta a diversi stress causati da un "salto" dalla giovinezza alla maturità (lavoro, casa ecc.) e ad una conseguente forte messa in discussione della mia vita (fino a lambire le classiche "grandi domande" della vita).

Non mi sono mai rivolto a uno specialista perché piano piano, documentandomi e sforzandomi di fare un po' di auto-analisi, credo di essere riuscito a capire meglio se non altro come funziona questa ansia, e come combatterla. E infatti sono andato migliorando decisamente, e mi sento più consapevole e cresciuto. L'umore è migliorato molto e ora, quando si ripresenta una sensazione ansiosa, sono diventato più bravo se non altro ad accoglierla nel modo giusto. Mi ha fatto bene anche perché mi ha spinto a fare cose nuove, che ora amo.

Una cosa che tuttavia ancora mi risulta un po' ostica da affrontare a volte, è prendere la metropolitana, e solo ed esclusivamente quella (non l'autobus, non il treno). La causa, come da manuale, risale ad un paio di volte (all'inizio del mio "viaggio" nell'ansia, in cui ancora non sapevo che pesci pigliare) in cui non ho avuto attacchi di panico, però ho avuto un'ansia fastidiosa e fortina.

Da quelle volte (di nuovo, come da manuale), ogni volta che scendo in metropolitana scattano i meccanismi anticipatori e di eccessivo "ripiegamento" sul controllo di come mi sento, il che ovviamente, nel giro di 2-3 fermate mi fa già venire le palpitazioni.

Pertanto, ogni volta che ventilo l'idea di andare da qualche parte raggiungibile in metropolitana, finisce che rinvio a una giornata in cui mi senta di particolare buon umore e sicuro sui miei mezzi per reagire al meglio, e sebbene riesca a prenderla e a reggere per qualche fermata, ogni tanto capita che scenda magari in anticipo di una fermata, oppure che arrivi a destinazione ma con un discreto patema.

La mia domanda è questa: so bene che l'evitamento è alla base dell'ansia e che è un comportamento da evitare, però... se io ne sono consapevole, non è possibile accettarlo in moderate quantità come una "concessione" (un "jolly", diciamo) che mi aiuta a stare più in pace? In fondo, contestualizzato alla metropolitana, a me prenderla non è necessario e vado comunque dove voglio con altri mezzi.

Non so se mi spiego, non cerco una scusante, diciamo che ragionavo su quanto fosse necessario esporsi a una situazione ansiogena per "guarirne" anche se tale situazione non è fondamentale per la nostra vita. Per esempio, a me danno ansia anche il bunjee jumping e i ragni, ma non per questo mi metto in testa di superare queste ansie (né credo lo facciano gli altri).

Ringrazio in anticipo per qualsiasi risposta (e in generale per il vostro grande servizio).
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Mi perdoni, ma la situazione che descrive non mi pare uno stare meglio. Significa solo che, come spessissimo succede, la sua ansia ha cambiato volto. Lei sta in qualche modo compensando, tirando la coperta troppo corta da un lato lasciandone scoperti altri.

Tecnicamente - in terapia strategica - i suoi non sono più evitamenti ma precauzioni. Ossia la persona ansiosa, dopo un po', diventa più "brava" ed evoluta e inizia a prevedere sempre più distanti nel tempo le situazioni che potrebbero dargli fastidio.

L'ansia, da marcatamente fobica, cioè con sintomi più corporei, diventa più marcatamente cerebrale, cioè ossessiva.

>>> se io ne sono consapevole, non è possibile accettarlo in moderate quantità come una "concessione" (un "jolly", diciamo) che mi aiuta a stare più in pace?
>>>

https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/2394-la-volpe-e-l-uva-autoinganni-e-dissonanza-cognitiva.html

(lo legga sino in fondo)

Una delle caratteristiche dell'ansia è quella di spingere la persona ad adattarsi, a sopportare le limitazioni quanto più possibile.

Solo lei può decidere quanto è disabilitante non poter prendere la metropolitana. Le psicopatologie sono difficili da definire in assoluto, dipende molto dalla percezione soggettiva.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#2]
Dr.ssa Franca Esposito Psicologo, Psicoterapeuta 7k 154
Caro ragazzo,
Mi sembra che Lei dia "per scontate" molte asserzioni che mi risultano molto scorrette.
Piu' si "sfugge" una reazione piu' la si potenzia! Lei gli da' forza così! Chi le ha consigliato di tentare? Le hanno dato consigli davvero controproducenti. Lo sa? Li dimentichi!
Per evitare una reazione deve comprenderne l'origine, la causa, a cosa la associa. Elaborarla.
Quando avra' fatto tutto cio' essa si estinguera' da sola. Senza traumi. Non le servira' piu' da "tappo" a un problema irrisolto!
Prenda in esame la possibilita' di effettuare una migliore analisi dei suoi disturbi, senza mettere inutili "tappi" che li peggiorerebbero ulterioriormente! Una terapia psicodinamica lavora in questo senso. Si lavora sui veri significati dei sintomi e dei relativi simboli. In quanto persone siamo sensibili a questi.
I migliori saluti e auguri!

Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132

[#3]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
È un bel tema, è un piacere sentire quanto lei è stimolato a interrogarsi su questo.
È vero, può decidere di non prendere la metropolitana, così come non si occupa dell'ansia per i ragni. Non è indispensabile.

Mi sono chiesto, però, se nell'intervenire sull'ansia, c'è qualcosa che sembra non andare a buon fine.
Nel mio modo di lavorare, questo potrebbe essere un punto cruciale, qualcosa di incompiuto che si presenta ancora e chiede attenzione, nel profondo del suo mondo interiore.

Mi ha fatto ricordare un mio psicoanalista all'inizio della mia formazione in psicoterapia, tanti anni fa. Io avevo letto per filo e per segno alcuni manuali, gliene avevo anche parlato, in attesa di affrontare nel mio tirocinio un caso clinico a cui tenevo.
Dopo un po' lui mi disse: "Bene, hai letto tutti i manuali, adesso chiudili, dimenticali e incontra il paziente".

Allora mi domando se la lettura di certi manuali l'abbia un po' stancata, come se fosse qualcosa di razionale e controllato, con una dimensione poco umana e libera.
Tanto che, non so se è un caso, ora cerca sta cercando un confronto diverso qui su Medicitalia, anche se è online, come se mancasse qualcosa ai manuali, ad esempio l'umanità di una relazione e la possibilità di essere se stessi?
Nel mio modo di vedere, oltretutto, l'ansia non va combattuta, l'ansia è un segnale che va ascoltato.

Le lascio queste idee, non so se sto seguendo una pista giusta. Lascio a lei le successive riflessioni.

Un saluto,
Enrico de Sanctis
info@enricodesanctis.it

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

[#4]
dopo
Utente
Utente
Vi ringrazio moltissimo per gli spunti e le spiegazioni, non sono all'altezza di rispondere punto per punto ai vostri commenti (né in fondo avrebbe granché senso) ma accetto le vostre letture con grande interesse. Per rispondere di passata al dr. Santonocito, preciso che sto comunque meglio rispetto a qualche tempo fa, non per questo dico di stare "bene" (se no, non sarei qui), però meglio di certo. Questo della metropolitana è praticamente l'unico "strascico" circostanziato che mi è rimasto - il che, ripeto, so bene che significa che la partita non è chiusa, ma non per questo non riconosco di essere migliorato un po' o almeno di aver meglio compreso un po' di aspetti per così dire "conflittuali" della mia vita. Ho smesso di rimuginare, di "anticipare", di avere diverse paure, e questo mi ha fatto calare moltissimo un'ansia che era lieve, ma quasi sempre presente.

E' vero, c'è ancora un po' da sistemare e da capire, e sono il primo ad ammettere che il succo del mio post iniziale è un riflesso di quel comportamento da "volpe con l'uva" di cui alla risposta del dott. Santonocito.

E' che a volte non capisco quanto sia giusto voler per forza "raddrizzare" se stessi. Mi era rimasta in mente un'indicazione generica che avevo letto da qualche parte qualche anno fa, relativamente alla definizione dei disturbi psicologici (sono sempre stato interessato al dibattito sulla "medicalizzazione" eccessiva degli stati emotivi), in cui si diceva in sostanza che un disturbo è tale (e quindi, da curare) quando impedisce il normale svolgimento della vita quotidiana. Quindi significa che nel flusso di, ad esempio, una situazione di ansia, esistono dei paletti; se ho ansia a fare le scale, sarà bene curarmi perché se no non vivo più e ciò significa che l'ansia mi ha scavalcato; se ho ansia all'idea di trovarmi sulla cima del Monte Rosa o di toccare un gorilla, non faccio queste cose e buonanotte al secchio (qualunque sia la causa di questa associazione ansiosa).

Ma è anche vero che la sola esistenza di un comportamento del genere (precauzione, evitamento, ansia ecc.) è spia di qualcosa che non va, e può sempre mutare e peggiorare, quindi se non lo affronto adesso in questa particolare forma che non mi disturba la vita, posso ritrovarmelo più forte sotto altre forme. Per ora avrei teso ad accettare l'eventualità visto che è circostanziata a qualcosa che non ha impatto negativo sulla mia vita, ma magari mi sbaglio.

Ed è vero infine, per chiudere il flusso di coscienza, che probabilmente mi manca una relazione con cui avere questo tipo di dialogo un po' "delicato" e intimo che cerco qui (anche se va detto che l'idea di rivolgersi a professionisti che "sanno" capire, e anche oltre, aiuta a sbottonarsi). Di certo le vostre risposte colgono assai bene il succo del problema, mi avete invogliato a parlarne di persona con un vostro collega. In fondo sono fortunato a stare ancora abbastanza bene da poter fare del consulto psicologico una scelta e non una necessità.

Fate una bella pubblicità alla vostra professione! Grazie ancora.
[#5]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> in sostanza che un disturbo è tale (e quindi, da curare) quando impedisce il normale svolgimento della vita quotidiana
>>>

Sì, è quello che infatti le stavo dicendo.

Tuttavia, quando il bisogno di avere risposta a delle domande, come quella sulla presenza o meno di psicopatologia, diventasse abbastanza pressante e fastidioso, sarebbe esso stesso indice di qualcosa di non va: sarebbe nient'altro che ossessività, ossia... ansia.

Se decide di consultare uno psicoterapeuta di persona, le suggerisco un approccio attivo e focalizzato, legga qui per informarsi:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
"la sola esistenza di un comportamento del genere (precauzione, evitamento, ansia ecc.) è spia di qualcosa che non va, e può sempre mutare e peggiorare, quindi se non lo affronto adesso in questa particolare forma che non mi disturba la vita, posso ritrovarmelo più forte sotto altre forme."

La trovo un'osservazione sostanzialmente corretta, vorrei fare solo una precisazione: "qualcosa che non va" non significa automaticamente patologia o disturbo psichico ma una condizione in cui si è temporaneamente interrotto il contatto con sé stessi, con la propria esperienza e si fa fatica a riconoscere le emozioni che si provano, non possiamo utilizzarle come "bussole" per orientarci in direzione della gratificazione dei nostri bisogni interiori.

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it