Cosa fare quando il reflusso non risponde alla terapia

andreafavara
Dr. Andrea Favara Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Colonproctologo, Chirurgo generale

L’introduzione nella pratica clinica degli inibitori di pompa protonica, ovvero omeprazolo e derivati, ha rivoluzionato la terapia della malattia da reflusso negli ultimi anni, tuttavia ben il 10-40% dei pazienti con sintomi da reflusso rispondono in modo insoddisfacente al trattamento e costituiscono un problema diffuso, considerata la prevalenza elevata della malattia.

La definizione di reflusso refrattario è controversa, alcuni autori si riferiscono a pazienti che ottengono meno del 50% di scomparsa dei sintomi assumendo una dosa giornaliera di inibitore di pompa mentre altri autori si limitano a includere i pazienti che non rispondono ad una doppia somministrazione giornaliera del farmaco (anche se in effetti circa il 75% dei pazienti ‘refrattari’ ad un trattamento con una complessa al giorno restano tali anche raddoppiando il dosaggio).

Un’ultima definizione addirittura include solo i pazienti che hanno sintomi almeno tre volte alla settimana dopo un trattamento con doppia dose giornaliera per almeno 12 settimane. Nella pratica clinica si considera comunque refrattario il paziente soggettivamente insoddisfatto nonostante la terapia prescritta.

In questi pazienti l’anamnesi è importante nel prevedere la risposta adeguata o meno alla terapia: ad esempio i pazienti che soffrono di bruciore retrosternale in genere rispondono meglio mentre se a questo si accompagna la sensazione di cibo bloccato in esofago la percentuale scende.

I pazienti con sintomi atipici invece (tosse, dolore toracico, disturbi del sonno) è invece meno probabile rispondano adeguatamente. Alla gastroscopia, solo il 6.7% dei pazienti refrattari hanno un’esofagite erosiva e ciò indica che i sintomi probabilmente in questo pazienti non dipendono solo dal reflusso acido.

Nei pazienti che rispondono alla terapia tuttavia, ben il 31% presenta lesioni mucosa all’endoscopia, dato che indica presenza di reflusso non del tutto controllato dalla terapia nonostante la scomparsa dei sintomi. Più del 70’% dei pazienti con esofagite erosiva tuttavia rispondono bene alla terapia. Una diagnosi che sempre più spesso viene posta all’endoscopia nei pazienti refrattari e’ la cosiddetta esofagite eosinofila che ha come sintomo caratteristico la disfagia e nel 30% dei casi il bruciore retrosternale.

La manometria esofagea permette di identificare una cosiddetta acalasia esofagea in un piccolo numero di pazienti. L’esame più importante resta tuttavia la ph impedenzometria che misura tipo e durata del reflusso.

In questo modo si identificano pazienti con un cosiddetto esofago acido sensibile e quelli nei quali invece il problema è un reflusso biliare o alcalino. Completata la fase diagnostica è importante verificare che il paziente assuma regolarmente ed ai dosaggi indicati la terapia prescritta così come le indicazioni dietetiche e comportamentali. E’ corretto aumentare la dose di inibitore di pompa o provare a cambiare il farmaco.

La somministrazione di ranitidina serale può controllare i sintomi notturni e può essere consigliata al bisogno. Nuovi farmaci quali il baclofen sono attualmente in fase di verifica e l’utilizzo di alcuni antidepressivi ha dimostrato essere efficace in un certo numero di pazienti.

La chirurgia infine è in grado di trattare qualsiasi tipo di reflusso ma in genere i pazienti refrattari alla terapia medica sono proprio quelli che risponono peggio a una plastica antirelfusso rendendo l’ indicazione controversa.

In conclusione, i pazienti refrattari restano un dilemma ed è opportuno vengano seguiti in ambiente specialistico in modo da condurre un corretto iter diagnostico, identificare eventuali patologie misconosciute e venire trattati in modo adeguato.

 

Fonte:
Management of Gastro-oesophageal Reflux Disease Symptoms That Do Not Respond to Proton Pump Inhibitors - Curr Opin Gastroenterol. 2013; 29(4):431-436

Data pubblicazione: 30 settembre 2013 Ultimo aggiornamento: 15 ottobre 2013

Autore

andreafavara
Dr. Andrea Favara Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Colonproctologo, Chirurgo generale

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1991 presso Universita' Studi Milano.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Milano tesserino n° 31610.

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3 commenti

#1
Dr. Alessandro Scuotto
Dr. Alessandro Scuotto

L'articolo affronta una problematica gastroenterologica più frequente di quel che si pensi, tuttavia l'inquadramento proposto dagli autori punta - a mio avviso - troppo sulla pretesa di perfezionare un intervento terapeutico farmacologico e dà scarsa rilevanza agli aspetti connessi alle opportune modificazioni dello stile di vita: in pratica, alla necessaria partecipazione attiva del paziente alla risoluzione del proprio disagio.

Solo poche righe dell'articolo sono dedicate a questa necessità e sembra che minimizzino l'importanza dello stile di vita:
"Lifestyle measures such as avoiding eating meals late in the evening, stopping smoking, and avoiding sleeping on the left side can help in reducing gastro-oesophageal reflux, although no study has documented the efficacy of these measures in patients with PPI-refractory disease."
In realtà, nella pratica clinica, la maggior parte dei non-responders presenta alcune di queste caratteristiche, soprattutto l'abitudine al fumo.

Un articolo di parecchi anni (2000) fa poneva in evidenza l'impatto dell'abitudine al fumo non soltanto sulla secrezione acida gastrica, ma anche sul tono dello sfintere esofageo inferiore:
"Pandolfino JE, Kahrilas PJ., Smoking and gastro-oesophageal reflux disease. Eur J Gastroenterol Hepatol. 2000 Aug;12(8):837-42" https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10958210
Questo effetto non si esplica solo in via farmacologica (eccitosecrezione e inibizione del LES), ma anche "meccanica" (variazioni dell'attività di ventilazione).

#2
Dr. Andrea Favara
Dr. Andrea Favara

Assolutamente vero Alessandro, nella mia pratica clinica insisto molto proprio su questo aspetto.Grazie

#3
Utente 413XXX
Utente 413XXX

Buonasera dott Favara,
Ho letto con molto interesse il suo articolo in quanto da più di un anno soffro di reflusso e le varie terapie suggeritemi si stanno rivelando inefficaci, e la cosa è alquanto frustrante poiché condiziona ovviamente in maniera negativa la mia vita. Quando asserisce che " In conclusione, i pazienti refrattari restano un dilemma ed è opportuno vengano seguiti in ambiente specialistico in modo da condurre un corretto iter diagnostico, identificare eventuali patologie misconosciute e venire trattati in modo adeguato" esattamente cosa consiglia? Io non so più a chi chiedere aiuto e da chi farmi seguire
Ringrazio e saluto cordialmente

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