Ruolo del Medico nella prevenzione dell'Omofobia Familiare

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Dr. Manlio Converti Psichiatra, Psicoterapeuta

In Italia è stata, prima che in altri Paesi, accolta e promulgata la convenzione di Istambul contro le violenze domestiche di genere.

In Italia però dei bambini nella fotografia, ce n'è almeno uno che non è ancora protetto in alcun modo, nonostante il chiaro significato del concetto di genere nella Comunità Europea.

Genere infatti non equivale a sesso femminile, ma include ogni aspetto dell'identità di genere, dell'orientamento sessuale e perfino del ruolo sociale.

Una maschio, eterosessuale o omosessuale, che faccia il ballerino va protetto dall'omofobia, in modo attivo, soprattutto da quella domestica, che è probabilmente la più frequente.

Non si sono attivati però protocolli contro l'omofobia in nessun centro d'Italia. Non esiste una rete tra medici, istituzioni, associazioni e forze dell'ordine, capace di proteggere neanche i minori dall'omofobia. Soprattutto non esiste una rete capace di rilevare il fenomeno dal punto di vista epidemiologico.

Per omofobia intendiamo i maltrattamenti psicologici, fisici, sociali, relazioniali, economici, individuali o gruppali, realizzati in famiglia, a scuola, sul posto di lavoro o in luogo pubblico.

Esiste anche una violenza omofoba istituzionale. Quella che nasce anche solo dall'ignorare del tutto il fenomeno dell'omofobia in ambito istituzionale o medico, come avviene in Italia, o rinunciare al ruolo protettivo, creando anche involontariamente un'alleanza con l'aggressore omofobo.

Esiste infine la violenza tra partner, fenomeno noto soprattutto contro le donne lesbiche e transessuali, per mano di altre donne lesbiche o dei partner delle donne transessuali, stabili o occasionali che siano. Solo con molta immaginazione possiamo leggere la rilevanza del fenomeno dagli studi sulla violenza contro le donne, che esclude ufficialmente del tutto, per adesso, le donne lesbiche e transessuali.

Gli stessi provvedimenti e la stessa cura della persona, con le stesse procedure acquisite, dovrebbero valere anche per la tutela delle persone che subiscono maltrattamenti omofobi, ma esistono ulteriori dettagli specifici che devono essere noti al personale medico e che sono protettivi nei confronti dei o delle pazienti che subiscano maltrattamenti o violenza.

Come già detto il primo è che la violenza ed i maltrattamenti omofobi non sono rivolti solo alle persone omosessuali e transessuali, ma anche a quelle eterosessuali che occupino un ruolo o abbiano un comportamento ambiguo rispetto ai codici di virilità del gruppo sociale di riferimento.

Sono però proprio le persone Lgbt a soffrire più di altri di questi maltrattamenti e intorno a loro esistono problematiche specifiche ulteriori.

Un elemento essenziale è quello del Coming Out.

Il Coming Out, dichiarare in pubblico il proprio orientamento sessuale o la propria diversa identità di genere, è un fenomeno sempre protettivo, identitario, autoconservativo e liberatorio, nonostante il rischio iniziale di crisi relazionale ed emotiva in famiglia, perché permette di costruire legami stabili e sinceri con un gruppo di persone valide e confortanti.

Molte persone però non hanno fatto Coming Out in famiglia e se subiscono violenza altrove, provano un maggiore sconforto di altre vittime di violenza perché temono di subire in casa ulteriori maltrattamenti omofobi.

Bisognerà valutare, ancorché consigliare il Coming Out resti l'unica risorsa davvero utile, se mantenere o meno il segreto professionale nel merito dell'orientamento sessuale, essendo l'identità di genere difficilmente dissimulabile.

Questa particolare condizione e quella del maltrattamento in famiglia va sostenuta attraverso un percorso chiaro e assertivo nei confronti della normalità dell'orientamento sessuale senza reticenze, che funzionerebbero come segnale di complicità a favore del soggetto maltrattante.

Allo stesso tempo, informadosi dei luoghi d'incontro principali nella propria città, è necessario proporre ai pazienti Lgbt, che subiscano o meno maltrattamenti omofobi, di rivolgersi alle associazioni, fornendo loro indirizzi, numeri di telefono e se occorre anche accompagnando di persona il paziente e i parenti più disponibili, in modo da smitizzare l'isolamento sociale e familiare, che pesa tantissimo su queste persone.

Non bisogna dimenticare l'elevato rischio suicidario, soprattutto nell'adolescenza, delle persone Lgbt maltrattate. Occorre un particolare sforzo, anche umano, per sostenerle assertivamente e permettere loro di creare una rete di amicizie sincere e libere, e sostenerle nel percorso di Coming Out in famiglia, contrastando ogni pensiero negativo e paranoideo del paziente, ma soprattutto ogni reazione maltrattante dei familiari.

Bisogna soprattutto ricordare che ogni tentativo di cambiare l'orientamento sessuale, anche nelle persone bisessuali, comporta un aumento dello stress ed un ulteriore aumento del rischio suicidario.

Questa richiesta potrebbe venire da genitori di minori, ma va interpretata come richiesta di informazioni e rassicurazioni. Il dubbio ed anche la vergogna o il timore di subire maltrattamenti omofobi ricade anche sui familiari, tanto in modo diretto quanto indiretto. Ci sono genitori che si preoccupano del rischio di maltrattamenti omofobi cui i figli possono essere sottoposti, ma anche familiari che maltrattano per primi e gravemente, fino alla violenza, all'espulsione ed allo stupro i propri figli.

Ignorare l'identità e le problematiche dei propri pazienti Lgbt è di fatto una modalità maltrattante, che i medici odierni possono evitare, diventando invece punti di forza essenziali nel percorso di salvaguardia dai maltrattamenti omofobi anche dei familiari, creando tra familiari e pazienti maltrattati un'alleanza costruttiva efficace, ogni altrimenti assente.

 

Data pubblicazione: 06 maggio 2015

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