Raptus, quando la psichiatria fa paura

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Il caso Jucker

Prendo in considerazione questo caso per una serie di considerazioni. La domanda “perché si uccide” trova in realtà una risposta spesso e volentieri in alcune sindromi psichiatriche conosciute, mentre sul piano morale rimarrà ovviamente, più che una domanda, espressione di sconcerto per quello che può sembrare un limite o un fallimento di un sistema morale che si credeva poter guidare e controllare tutto. Oppure, in alternativa, la prova dell'esistenza del “demonio”, sotto qualunque forma lo si voglia immaginare.

Sul piano giustizia invece, non esiste fondamentalmente alcuno spazio per vivere serenamente eventi come questo, e forse è' comprensibile. Le famiglie delle vittime, anche quando distinguono la vendetta dalla giustizia, fondamentalmente si lamentano per pene poco severe, in termini di anni di galera o di restrizioni. Il fatto che pericolosità sociale e malattia mentale siano due elementi non equivalenti non ha mai convinto nessuno, e d'altra parte invece le teorie secondo cui la malattia mentale non esiste e ogni comportamento violento è teoricamente prevenibile in virtù della fondamentale bontà dell'essere umano, è anch'esso un orientamento gratuito e ignorante di alcune conoscenze biologiche.

Il dato di fondo è che la malattia mentale non è una categoria della violenza. Tanto meno della legge, anche se chi ha comportamenti alterati corre il rischio di fare qualcosa di illecito, ma non necessariamente o elettivamente di violento. Esistono sindromi comportamentali altamente violente, che si esprimono con comportamenti violenti, che non si inquadrano però come disturbi, poiché chi li manifesta non ne prova dolore.

Il caso in questione si può così riassumere. Una notte un uomo di 36 anni (Ruggero Jucker) è fermato mentre schiamazza per strada, vicino a casa sua a Milano, nudo, urlando frasi senza senso quali “sono Bin Laden” e “sono padre, figlio e spirito santo”. Si scopre che l'uomo ha appena ucciso a coltellate la ragazza nel suo appartamento, durante una notte agitata. Si ricostruisce che i due, dopo aver assunto una dose di cannabis come altre volte, si coricano, ma lui non riesce a dormire e mostra agitazione crescente, che culmina in aggressività verso la ragazza, vista in quel momento come una minaccia, come se avesse intenzione di limitare la sua libertà, di incastrarlo, di ostacolarlo.

Nei giorni precedenti il ragazzo aveva già riferito pensieri abnormi, come ad esempio quello di “poter essere omosessuale o sieropositivo”. Questo primo nucleo di pensiero già rivelava, così formulato, un carattere delirante: si tratta di un dubbio, ma l'associazione tra le due cose è per analogia, mentre logicamente la cosa non ha coerenza interna, poiché il dubbio può riguardare un orientamento sessuale, oppure uno stato di salute, mentre le due cose “in fila” rivelano una sorta di pensiero di fondo che ci sia qualcosa di nascosto, che si sta rivelando, con caratteristiche tra loro allineate (omosessualità, infezione da hiv).

Fosse un'ossessione semplice, sarebbe anche frequente come tema singolo (aver contratto l'hiv, oppure essere omosessuale, ma non entrambe le cose allineate: se si dubita di essere omosessuale, evidentemente non si hanno prove come ad esempio aver avuto rapporti omosessuali a rischio).

Dopo questo stato che si potrebbe a ritroso definre come wahstimmung, o “stato pre-delirante”, quella notte deve essersi scatenato un delirio acuto, forse come sviluppo di una fase agitata, maniacale. Così si direbbe dai contenuti finali del delirio, megalomanici (Bin Laden, Dio etc).

Non deve stupire che un delirio così intenso possa svilupparsi così rapidamente, specialmente se a monte vi era l'assunzione di una sostanza, magari innocua altre volte.

 

La perizia psichiatrica propone la diagnosi di Disturbo Bipolare (I, ovvero la psicosi maniaco-depressiva), diagnosi che in effetti non stupisce, nonostante gli elementi parziali riportati dai vari giornali. A fronte di questa perizia, alcuni giornali, direi quasi tutti, alludono al fatto che la famiglia sia facoltosa, e quindi si possa permettere una difesa efficace, e al fatto che certe diagnosi suonano come “scuse” e non rendono giustizia alla memoria delle vittime. Questa posizione non mi trova d'accordo.

Sul piano medico, esistono malattie che determinano eventi del genere, e il fatto che i delitti siano più o meno lucidi non cambia niente, poiché la “lucidità” non è sinonimo di controllo di sé, o di non-alienazione. Un delirio lucido è la forma più comune di delirio, mentre il “raptus” è il luogo comune preferito nel presentare i fatti. Il raptus sembra infatti una scusa buona per ogni occasione, ma non è così sul piano medico, in cui il gesto impulsivo di regola si colloca al culmine di un disturbo mentale, magari recente, ma non certo istantaneo e transitorio, come una specie di “jolly” psichiatrico.

Se il sistema giudiziario ammette lo sconto di pena, o la non-imputabilità, per queste situazioni, è inutile scandalizzarsi quando la legge è applicata. E' altrettanto inutile lo scandalo quando la persona, curandosi per una malattia curabile, è restituita alla società, nonostante il crimine sia stato grave. D'altronde, proprio perché questo non influenza la sorte della vittima, non si può trattare la giustizia come se fosse una vendetta di Stato.

Certo, si può contestare che l'individuo sia pericoloso per altri motivi, come si fa a controllare che si curi, che la malattia sia curabile, ma queste sono questioni tecniche, mentre ho l'impressione che si faccia fatica ad accettare la possibilità che un soggetto, affetto da un disturbo mentale, non debba stare in galera per un crimine che ha commesso per effetto di quel disturbo.

Alcune riflessioni invece sulla cura preventiva, capitolo veramente dolente.
Riportano le cronache che ai primi segni di un qualche squilibrio mentale l'uomo avrebbe chiesto un trattamento psichiatrico, consistito come primo tentativo in “litio omeopatico”. In altre parole, il carattere bipolare del disturbo doveva essere quantomeno sospetto (scelta del litio), ma la cura consistette in un non-litio (litio omeopatico) o litio “naturale” (non è chiaro), ovvero preparati con litio non ben assorbibile o in quantità minime. L'altro fatto curioso che riportano le cronache è che il soggetto sarebbe considerato “guarito”; mentre molto più probabilmente è “clinicamente guarito”; ma sottoposto a un trattamento anti-bipolare, visto che si tratta di un disturbo con ricadute.

Il grande assente delle cronache è il disturbo, come se in fondo fosse più affascinante credere al raptus (che ti fa uscire di senno, ma solo un momento), che non a un disturbo che può prender piede per periodi della vita in maniera anche non esplosiva e violenta, ma subdola e subentrante, fino a portare alla “crisi” di follia. Con questi presupposti è difficile poi pretendere prevenzione.

 

Data pubblicazione: 01 gennaio 2015

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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2 commenti

#1
Utente 171XXX
Utente 171XXX

Però la non imputabilità non comporta spesso una "punizione" più lieve, visto i cosiddetti ergastoli bianchi, e viste le condizioni dei nostri manicomi criminali. Da quel poco che ricordo dei miei studi, un punto dolente è la nozione di seminfermità mentale, come fa una persona a rendersi conto solo in parte del significato delle sue azioni ? A mio parere, o è pienamente consapevole e quindi imputabile o non lo è, non esistono via di mezzo...

#2
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Sul piano giudiziario esistono vie di mezzo anche quando la consapevolezza è assoluta, esistono le attenuanti, i delitti maturati in contesti particolari, la legittima difesa etc. Esisteva il delitto d'onore, ritenuto a tutti gli effetti una forma fisiologica di tendenza al comportamento omicida, socialmente tollerata.
Le vi di mezzo è chiaro che sono il frutto di una negoziazione, però il concetto che la punibilità riguarda chi è punibile non è astruso. Anzi, esistono intere categorie per cui la punizione sostanzialmente è inutile, anzi controproducente. Il problema è la pericolosità, perché le conseguenze pratiche sono la libertà e il controllo su individui potenzialmente pericolosi e recidivi. Questo aspetto spesso è lasciato al caso, a maggior ragione in chi non è stato dichiarato psichiatricamente insano.
Però la nostra cultura al momento non dimostra di accettare la categoria di disturbo mentale, forse perché il termine "infermità" evoca pietà e commiserazione, mentre qui parliamo di delitti aggressivi. Curioso che invece il raptus, per quanto non ammesso come scusante, sia ammesso come categoria mentale, quasi fosse una scusante universale (follia totale, ma per un secondo, poi rientrata).

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