Pedofilia: tratti generali

Secondo l’immaginario collettivo, le persone tendono a pensare che il soggetto pedofilo sia generalmente un uomo. Tuttavia, la patologia è diffusa anche tra il genere femminile.

Secondo studi recenti (cfr. Petruccelli 2000), il disturbo compare nel periodo adolescenziale, per poi cronicizzarsi.

Rispetto al comportamento pedofilo, diciamo anzitutto che non tutte le relazioni di questo tipo sono violente e aggressive; spesso il parafiliaco si limita a ricercare materiale su Internet, ad osservare bambini in diversi momenti della giornata od ancora ad adescarli con l’ausilio di regali, lusinghe e discorsi persuasivi.

Alla base di tutto c’è comunque l'incapacità di sostenere un rapporto amoroso adulto e quindi si ricorre ai bambini proprio perché consentono di sfogare le pulsioni sessuali con minore ansia, essendo loro più manipolabili e meno “giudicanti” di un adulto come definito nella teoria dell’inadeguatezza sessuale.

Dal punto di vista psicopatologico, il pedofilo mostra generalmente, tratti di immaturità psicosessuale, passività, infantilismo (Wyss 1967) e manifestazioni compensatorie di carenze affettive (Petruccelli, 2000, op. cit.). La personalità appare estremamente polimorfa. In particolare si denotano:

  1. immaturità affettiva, caratterizzata da un’affettività egocentrica e disadattiva, oltre che dall’impellenza di dare sfogo agli impulsi sessuali;
  2. un fallace processo di definizione del sé che presenta una scarsa consapevolezza della propria identità ed un distaccamento psichico dalla realtà;
  3. relazioni interpersonali, non solo amorose, instabili e carenti.

In tali personalità, la comunicazione con adulti appare compromessa sin dalla pubertà e la difficoltà che ne deriva si palesa anche durante la vita adulta.

Non è poi da escludere lo strutturarsi di un disturbo della personalità caratterizzato da manifestazioni antisociali: spesso, infatti, il pedofilo non si palesa socialmente come tale, svolgendo anzi una vita irreprensibile ed una condotta rispettabile.

In questo senso, esisterebbero secondo alcuni (cfr. Nass 1954; Capri 1999), pedofili patologici (affetti da uno specifico disturbo mentale che ne rende deficitario il comportamento) e pedofili senza problemi biologico-medici.

Una delle classificazioni più articolate è quella di Giese (1967) che propone “tre diverse posizioni base della pedofilia:

  1. la posizione della vera e propria pedofilia, caratterizzata da un sentire e un agire bisessuali; mentre il pedofilo omosessuale appartiene in primo luogo ai pedofili per struttura psicologica e psicopatologica, e secondariamente agli omosessuali;
  2. la posizione in cui, in particolari circostanze, la sessualità si può rivolgere verso bambini o adolescenti in assenza di un soggetto più adeguato;
  3. la posizione in cui gli adolescenti riescono a mobilitare la sessualità degli adulti.” (Coluccia, Calvanese 2007, pp. 52-53)

Passando alla pratica clinica, essa evidenzia che la storia del pedofilo è spesso segnata da sofferenze, rimosse e negate, derivanti da violenze sessuali e maltrattamenti subiti durante l'infanzia, e in ogni caso, da circostanze traumatiche di umiliazione, avvertite con profondi sentimenti di odio. Il desiderio di vendetta trasforma la perversione in una condotta che permette al pedofilo di rinnovare l'antico trauma infantile, assumendo però il ruolo del persecutore (Miller, 1999 in Vignati, psiconline.it).

- Coluccia A., Calvanese E., Pedofilia, Un approccio multiprospettico, Franco Angeli, Milano, 2003

- De Leo G., Petruccelli I., L’abuso sessuale infantile e la pedofilia, FrancoAngeli, Milano, 1999

Data pubblicazione: 09 gennaio 2014 Ultimo aggiornamento: 14 gennaio 2014

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