Tecniche d’intervento psicologiche per la gestione del rischio di suicidio nei pazienti borderline

Quali sono le principali cause di suicidio nei pazienti borderline?

Nell’ambito della salute mentale, i pazienti borderline presentano di solito un rischio di suicidio elevato (anche se altri disturbi possono avere tassi di suicidio maggiori).

Questa tipologia di pazienti utilizza infatti il suicidio sia per richiamare su di sé l’attenzione (magari per “punire” gli altri per le loro sofferenze o per evitare di essere abbandonati), sia per porre fine a quel dolore estremo che lacera la loro esistenza. Questa duplice funzione rende considerevole il rischio di suicidio all’interno di questa popolazione clinica.

Il suicidio costituisce dunque per queste persone uno strumento in grado di avvicinare gli altri e di allontanare le sofferenze e, finché non riescono a sviluppare strategie differenti, tendono a ricorrervi con eccessiva facilità. Per molti di loro dunque il suicidio è allo stesso tempo un problema e una soluzione. Problema in quanto molti pazienti borderline finiscono in terapia proprio a causa di un tentato suicidio e cercano dunque di liberarsi di questa “minaccia” alla loro vita; soluzione in quanto per molti di loro il suicidio rappresenta la modalità più facile per porre fine al dolore.

Il fatto che molti pazienti borderline ricorrano al suicidio per queste ragioni non implica però che siano le uniche cause possibili. Per stabilire quali siano le motivazioni che possono portare un paziente borderline a togliersi la vita è necessaria un’accurata valutazione del caso in oggetto.

 

Cosa possiamo fare?

A prescindere da quali siano le motivazioni alla base del suicidio, si rende necessario un protocollo strutturato in grado di ridurre il rischio di comportamenti autolesivi, parasuicidari e suicidari durante le crisi. Quando un paziente contatta lo specialista che lo sta seguendo e comunica direttamente o indirettamente l’intenzione di commettere suicidio o di mettere in atto comportamenti pericolosi per la propria vita è necessario intervenire in maniera attiva.

Gli indici diretti di imminente rischio suicidario sono rappresentati dalla presenza di: ideazione suicidaria, minacce suicidarie, pianificazione o preparazione del suicidio, comportamenti parasuicidari nell’ultimo anno; mentre gli indici indiretti sono: appartenenza a popolazioni a rischio suicidario, recenti rotture o perdite relazionali, presenza di rabbia o disperazione, riferimenti indiretti alla propria morte.

Il primo passo da compiere in tal caso è valutare la presenza di elementi o condizioni in grado di rendere attuabile l’ideazione suicidaria. Chiedere al paziente dove si trova, cosa sta facendo, se ha scritto un biglietto e allertare i familiari, le persone a lui più vicine o le autorità competenti può contribuire a salvargli la vita. Se un paziente intende suicidarsi infatti di solito pianifica accuratamente il modo per farlo.

La disponibilità in casa di armi o farmaci rende più probabile la messa in atto di comportamenti suicidari. Per tale ragione, è importante accertarsi che il paziente si liberi quanto prima di tali strumenti e che sia raggiunto da un familiare o da altre persone in grado di fermarlo. Purtroppo però accade di frequente che i pazienti borderline presentino reazioni sociali carenti e, di conseguenza, occorre tenere il paziente al telefono, facendosi comunicare esattamente dove si trova, e avvisare le forze dell’ordine affinché lo raggiungano il prima possibile.

Il secondo passo consiste nel convincere il paziente a disfarsi degli oggetti che potrebbero essere usati per un eventuale tentativo di suicidio (compresi farmaci e armi). Il razionale è che allontanando il paziente da tali oggetti, il rischio che possano essere utilizzati per commettere suicidio viene meno.

Il terzo passo consiste nel dire al paziente che non dovrebbe uccidersi. Si può cercare di temporeggiare finché i soccorsi non siano arrivati chiedendogli le ragioni che lo hanno spinto a pensare al suicidio. Se il paziente non vuole parlarne o se non vuole desistere dal commettere il gesto, è possibile rassicurarlo dicendogli di darsi un’altra sola possibilità poiché, se questa non dovesse funzionare, potrà comunque riprovarci in futuro.  

Anche se quest’affermazione può risultare forte e discutibile, bisogna considerarla come un atto estremo per impedire al paziente di uccidersi in questo momento. In seguito, attraverso la terapia, sarà possibile intervenire affinché il rischio che il paziente si trovi nella stessa situazione sia minore.

Il quarto passo consiste nel cercare di spiegare al paziente che il suicidio non è mai una buona soluzione. Qualunque siano le ragioni che l’hanno indotto, esistono sempre modalità e strategie più adeguate per affrontare i problemi. Il quinto punto consiste nel fornire soluzioni e osservazioni incoraggianti per la risoluzione dei problemi che hanno generato la crisi.
Quando il paziente arriva a pianificare il suicidio significa che non riesce a trovare altre soluzioni. Se è lo psicologo a fornirgliele, l’idea del suicidio può diventare meno attraente.

Il sesto punto consiste nel rimanere in contatto col paziente finché il rischio di suicidio non sia svanito. Ciò implica che non bisognerebbe lasciare il paziente da solo (o riagganciare) finché non ha cambiato idea o non sono intervenuti i soccorsi.

Infine bisogna cercare di anticipare eventuali ricadute, predisponendo per tempo tutte le strategie che possono ridurre il rischio di suicidio (per esempio far ricoverare il paziente oppure convincerlo a disfarsi di oggetti taglienti, ecc…).
Per quanto tali raccomandazioni siano utili e possano contribuire a ridurre il rischio di suicidio in atto, la loro applicazione e l’eventuale utilizzo di strategie integrative o sostitutive richiede comunque una notevole dose di conoscenza clinica del caso specifico. Si tratta dunque di strategie impiegabili dai soli professionisti della salute mentale, che abbiano ricevuto una solida formazione e siano dotati di esperienza clinica sufficiente. Bisogna anche ricordare che esistono altri metodi d'intervento e che la scelta della metodologia adeguata andrebbe valutata caso per caso.

 

Cosa fare se non funziona?

Nonostante gli sforzi compiuti dal professionista è possibile che il paziente si tolga comunque la vita. In tal caso bisogna ricordare che il ruolo delle figure sanitarie coinvolte è quello di predisporre tutti gli accorgimenti necessari affinché il rischio di suicidio sia minino o assente, ma se nonostante ciò il paziente si suicida purtroppo non c’è nulla che si possa fare.

I sentimenti causati dalla morte di un paziente possono essere molteplici e rappresentare un situazione molto pesante da gestire. Per questo motivo, la supervisione clinica gioca un ruolo fondamentale nel caso in cui un paziente muoia.

Data pubblicazione: 14 agosto 2014 Ultimo aggiornamento: 18 agosto 2014

38 commenti

#10
Dr. Sergio Sposato
Dr. Sergio Sposato

Come mi è stato fatto notare da alcuni colleghi, alcune parti del testo potevano indurre a considerazioni errate. Sono dunque state apportate alcune modifiche atte a evitare il rischio di fraintendimenti. Nello specifico al rigo 28 è stato aggiunto "Nonostante Robin Williams non possa assolutamente essere ritenuto borderline" mentre il rigo 36 è stato modificato in "Nell’ambito della salute mentale, i pazienti borderline presentano di solito un rischio di suicidio elevato (anche se altri disturbi possono avere tassi di suicidio maggiori)."

#11
Utente 287XXX
Utente 287XXX

Egregio Dottore, mi scusi ma se lei non voleva essere frainteso, o indurre a considerazioni errate, perchè ha associato nel titolo di quest'articolo il nome di Robin Williams al disturbo borderline? Sembra strano che qualcuno le abbia dovuto "far notare" una simile evidenza.

#12
Dr. Sergio Sposato
Dr. Sergio Sposato

Gentile utente,

Proprio per questa ragione sono state apportate le correzioni di cui sopra.

#13
Utente 287XXX
Utente 287XXX

Ma non ha corretto il titolo che è la cosa più importante!
E' come se un enogastronomo scrivesse un articolo intitolato: "la nota marca XXX di prosciutti e le truffe alimentari" e poi però nelle note aggiungesse: "c'è da dire che la marca XXX con le truffe alimentari non c'entra nulla..".
Insomma mi sembra un po' molto confusivo..

#22
Dr. Chiara Lestuzzi
Dr. Chiara Lestuzzi


"l’instabilità emotiva, i sentimenti cronici di vuoto, l’abuso di sostanze e il rischio di suicidio costituiscono alcuni dei sintomi tipici del Disturbo Bordeline di Personalità. Il fatto che tali sintomi siano così frequenti all’interno del mondo dello spettacolo"

Ma siamo poi sicuri che questi problemi siano poi COSI' frequenti nel mondo dello spettacolo?

Se escludiamo i casi dei bambini-prodigio che diventano molto famosi e sono messi sotto i riflettori in un' età in cui tutto questo può essere destabilizzante, risulta a qualcuno che la percentuale di attori e/o registi che fanno uso di droghe o che abbiano disturbi psichici sia più alta di quella della popolazione generale?

Non è che semplicemente la nostra percezione del problema è viziata dall' impatto mediatico dell' evento suicidio o morte per overdose di una persona famosa?

Insomma, a parte individui dalla psiche tormentata di per sé, che nel cinema sfruttano i propri problemi per creare arte (penso a Ingmar Bergman, o Woody Allen), accanto ai vari James Dean, Fassbinder, Monroe, John Belushi, ci sono anche i Ford Coppola (padre e figlia), i Ford, Meryl Streep, Susan Sarandon, Cate Blanchett, le Redgrave (madre e figlie), Dustin Hoffmann, e decine e decine di attori che non si drogano, non tentano di uccidersi, non cadono nemmeno in depressione nonostante per loro sia più difficile fare una vita regolare e siano più esposti -forse- al rischio di divorzi e separazioni.

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