DEPRESSIONE, troppe diagnosi e troppi farmaci?

Quante volte uno stato d’animo non patologico, perfettamente adeguato a determinate situazioni, è diagnosticato superficialmente come “depressione”?

A quanto ammonta l'eccesso di diagnosi errate e di prescrizioni superflue di psicofarmaci?

E’ proprio uno psichiatra, il dr. Cioni di Firenze, a lanciare l’allarme: troppe volte la normale tristezza è trattata al pari di una patologia ed è “curata” con gli antidepressivi senza che ce ne sia bisogno, rendendo la persona da triste a “malata”.

(Come non citare a questo proposito anche il bellissimo articolo del Corriere della Sera scritto dal prof. Andreoli, anche lui psichiatra, intitolato "La scomparsa della tristezza"?)

 

Il dr. Cioni segnala che anche il normale lutto per la morte di una persona cara in futuro rischierà di essere etichettato come depressione, se è vero che la prossima versione del manuale diagnostico di riferimento in ambito  psichiatrico, il DSM, catalogherà fra i disturbi depressivi anche il fisiologico calo dell’umore conseguente ad eventi tristi, che suscitano fisiologicamente un abbattimento.

Non è nuova la previsione dell’OMS che la depressione sarà la seconda causa di invalidità al mondo fra una decina d’anni, ma questo quadro a tinte fosche potrebbe nascere da una tendenza a medicalizzare gli stati d’animo simil-depressivi, più che da un oggettivo aumento dell’incidenza della depressione come vera e propria patologia.

La spesa farmaceutica per gli antidepressivi aumenta di anno in anno, e non si può non chiedersi se parte di questi casi potrebbe essere gestita in un’altra maniera, invece che patologizzando situazioni che  possono essere risolte senza creare nella persona la convinzione di essere “malata”.

Dare una risposta medica ad un normale stato d'animo di tristezza non solo non è la soluzione più adeguata quando non è presente una patologia depressiva, ma porta anche con sé l’idea che gli stati d’animo negativi non siano sopportabili, debbano essere “curati” e debbano scomparire il prima possibile.

Questa mentalità nega la possibilità che il disagio sia superabile mediante la sua elaborazione psicologica, assistita eventualmente dall’intervento di uno psicologo, e reca con sé l’idea che l’unica risposta ai cali dell’umore sia il ricorso al farmaco.

Procedendo su questa strada però si costruirà una società incapace di fronteggiare il minimo disagio, debole e bisognosa di sostanze legali o illegali per sopportare l’esistenza.

Se l’allarme arriva proprio da alcuni psichiatri significa che questo rischio è presente e che i pazienti per primi dovrebbero riflettere e ricorrere ad un approccio psicologico quando si sentono "depressi" in maniera fisiologica, e cioè a causa di eventi della vita e situazioni difficili da affrontare.

Data pubblicazione: 29 marzo 2011

2 commenti

#1
Specialista deceduto
Dr. Antonio Vita

Chissà se il mio, il nostro Leopardi era un depresso?
O era soltanto una persona triste? Sentire i bambini che giocavano nella piazzola, gli faceva tenerezza. Tristezza, tenerezza, e poi?
Desiderio d'amore! e poi?
Vorreste fare una diagnosi virtuale al grande poeta?

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