Padri, la legge c'è ma non basta

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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo

Essere padre significa anche poter fare il papà, in particolare nel corso di quel periodo delicato e importantissimo per il neonato e per la sua mamma quale il post-parto, momento di nascita di nuove relazioni, di rimaneggiamento della coppia, di stanchezza fisica, di sovraccarico emotivo. E sono preziose le occasioni di riflessione sulla funzione del padre oggi, sulle relazioni affettive e sessuali nella coppia e sui mutamenti che avvengono con la presenza di un figlio, sullo specifico contributo che il padre apporta alla formazione della personalità e dell’identità del figlio e della figlia.

E’ uscita da qualche giorno una circolare INPS che si occupa proprio del diritto del padre del neonato al congedo obbligatorio e facoltativo; per chi di noi si occupa di genitorialità e di relazioni famigliari “oggi”, un occhio anche ai supporti normativi è d’obbligo. L’obiettivo della normativa é di sviluppare una “cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (Legge 92/2012);tutti noi persone e professionisti della salute lo auspichiamo.

Eppure le statistiche rilevano che in Italia pochi padri hanno fruito della possibilità di stare con il loro bambino neonato utilizzando la normativa precedente.

L’esperienza clinica e di formazione mi dice che questo avviene più frequentemente quando i papà sono consapevoli del ruolo importante, indispensabile e insostituibile che la loro presenza riveste all’interno del nucleo famigliare, sia per il figlio neonato, sia per la propria compagna. E che dunque la norma rappresenta una cornice di possibilità che va riempita con un contenuto di senso, di un significato che va ben al di là di quello organizzativo o della necessità di accudimento/custodia del figlio.

Da questo punto di vista trovo molto interessanti le occasioni di riflessione per soli padri che alcuni Comuni Consultori o Comunità di valle mettono a disposizione, a cadenze regolari, per piccoli gruppi di papà anche “in attesa” (ad es. Borgo Valsugana di Trento). Gli spunti che ne scaturiscono favoriscono la consapevolezza dei papà e una maggiore armonia della coppia genitoriale.

Qualche dato.

La società, rispetto alla paternità, manda segnali contraddittori. 

Da un lato ci sono troppi padri:

· le biotecnologie hanno moltiplicato due genitori in quattro: utero in affitto, spermatozoi in regalo;

· padre che ha procreato e un “sostituto padre” che vive con neo-figli, perché é il nuovo compagno dell’ex moglie;

· padre biologico e mancato padre, che adotta figli generati in lontane terre... 

 

Troppi padri e una scarsa presenza educativa?

Si sente dire che i padri assenti almeno non recano danni. Eppure ai padri assenti si attribuisce la con-causa di disturbi di comportamento o della socializzazione, quando addirittura della tossicodipendenza dei figli. 

Si soppesano le colpe sommerse del padre assente e se ne cerca il motivo: “fugge dalla paternità, non vuole crescere”.

Oppure se ne denunciano le colpe evidenti: “è un padre autoritario, per questo è giustamente contestato”

Emerge un grosso interrogativo: qual è il modo di essere padre, di fare il padre, oggi?

Ed oltre a ciò, più sommersa ma ugualmente presente, la problematica della questione maschile: chi è l'uomo oggi, in un’epoca nella quale sono caduti i ruoli definiti tra i due sessi?

 

Biologia, antropologia, sociologia hanno approfondito la questione del padre, ognuna da un’ottica particolare.

Le scienze psicologiche hanno da tempo dedicato la dovuta attenzione all'importanza e alla funzione specifica di ognuno dei due ruoli, materno e paterno nella formazione dell’identità personale e di genere; non basta nascere appartenendo ad un sesso o all’altro, occorre anche avere “modelli” maschili e femminili che aiutino la maturazione di una identità psicologica maschile o femminile, il senso di noi stessi quali maschi o quali femmine (Freud, Bowlby, Lacan, Fornari, Winnicott...).

La realtà tuttavia ci parla di un numero rilevante di madri che educano i figli da sole; si potrebbe pensare che essa rappresenti un "genitore unificato", che ha aggiunto allasua personalità di madre una dimensione paterna; ma l'esperienza clinica ci dimostra che tale sintesi è quasi impossibile e spesso disfunzionale.

Zoja la definisce la "rarefazione del padre"riferendosi alla frequenza con cui le donne allevano da sole i loro figli, alla centralità femminile nella famiglia; ma anche alla rarità delle figure maschili adulte che i figli incontrano lungo i percorsi di crescita .

Eppure i figli, le figlie, hanno un grande bisogno della figura paterna: i papà non possono esser sostituiti dalle madri, anche se esse ce la mettono tutta. I meccanismi che stanno alla base di questa necessità sono molto profondi e sono stati a lungo studiati dalla psicologia. Si potrebbero sintetizzare così: il padre è importante per il figlio maschio poiché rappresenta per lui un modello; per la figlia femmina rappresenta un ponte verso il mondo maschile.

Ma il padre è essenziale anche per la madre, affinché essa sia sostenuta e ri-equilibrata nel suo essere madre. E qui la funzione paterna si esercita anche in modo indiretto: oltre che padre egli è marito, e in quanto tale dà alla moglie l’amore e la sicurezza affettiva di cui ha bisogno per essere una buona madre. Se questo le manca, essa ricerca nei figli un rifugio contro le delusioni coniugali, rendendo così difficile e problematico quel processo di “separazione e individuazione” già di per sé complesso e lungo.

I padri sono figli.

Fare il papà, essere padre, significa fare i conti con proprio essere figlio e con quanto di sospeso oppure di soddisfacente c'è in questa esperienza infantile profonda che ancora permane dentro, nel profondo dell’inconscio.

Non dimentichiamo che, per ognuno di noi, la famiglia attuale è popolata dalla nostra famiglia d’origine interiore e interiorizzata; quando abbiamo risolto il nostro essere figli diventiamo genitori più adeguati.

Quando “si fa pace” con la propria infanzia e con la famiglia di allora, ogni padre è in grado di cercare serenamente il proprio modo di essere e di fare il papà: senza la necessità di dover “fare come suo padre”; ma anche senza sentirsi obbligato a fare l’opposto per distanziarsi quanto più possibile da un’infanzia o adolescenza “sofferta” per problemi di relazione con la figura paterna.

Riflessione e formazione è anche riprendere e riannodare “fili” che si credevano interrotti, accettare di essere padri differenti dal proprio, accogliere la possibilità di starsene a casa per un periodo senza per questo sentirsi “mammo”, riempire la propria presenza fisica  di intensità e di consapevolezza relazionale.

 

 

Riferimenti

circolare INPS 40/14.3.2013 (www.inps.it/bussola)Legge 92/2012

 

Per approfondire

  • Recalcati M., Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Cortina Raffaello, 2011
  • Coppola A., Di padre in padre. I tempi della paternità, La meridiana, 2008
  • Zoja L., Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollari Boringhieri, Torino 2003
  • Brustia Rutto P., Genitori. Una nascita psicologica, Bollati Boringhieri, Torino, 1996
  • Connel R. W., Maschilità, Feltrinelli, Milano, 1995
  • Ariès P., Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Laterza, Bari, 1994
  • Mitscherlich A., Verso una società senza padri, Feltrinelli, Milano, 1970

  

Data pubblicazione: 05 aprile 2013 Ultimo aggiornamento: 27 gennaio 2015

3 commenti

#1

Troppo spesso vediamo coppie che non pervengono al divorzio psichico in cui il padre non è abbastanza presente nella vita dei figli per motivi diversi , il che rischia di produrre il fenomeno del figlio-patner con tutti i rischi che questo comporta.
Bellissimo articolo, complimenti davvero!

#2
Dr. Carla Maria Brunialti
Dr. Carla Maria Brunialti

Ciao Magda,
grazie dell'apprezzamento. Quanto osservi rispetto al fenomeno del figlio-partner, oggi in aumento, è proprio centrato sui rischi che ciò comporta!

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