Depressione di mio padre. Arrivata a limiti estremi. Pericolo per la famiglia.

Mio padre di 55 anni soffre di depressione da 25 anni, arrivatagli assieme ad attacchi di panico molto forti dall`età di 30 anni. La sua depressione lo ha abbrutito ai limiti massimi oltrepassando la barra della sanità mentale. È diventato un pericolo psicologico rendendo me, il figlio, ad avere l'impressione di essere un fallito a 21 anni. Si sa che lo fa solo per ferire i suoi cari come sintomo.E' difficile spiegare alle persone quanto sia diventata dannosa la sua presenza per la psiche di chi gli sta attorno da t o che tratta chiunque come inetti. I suoi problemi derivano da un rapporto malato che aveva con la madre che lo rovino' psicologicamente finche non morí. Oggi mio padre é divorziato io addebitato a lui per stargli accanto e cercare di aiutarlo e mio fratello da mamma.oggi dopo 4 anni posso affermare che per colpa sua nutro profondo odio in lui ed ho deciso di andare da mia madre e iniziare le pratiche per l'addebito. Voglio lasciarlo stare per sempre. Ma prima vi chiedo come potrei agire in extremis volendo aiutare un`ultima volta anche in maniera forzata. Vi dico anche che é super obeso, fuma 3 pacchetti da 20 al giorno, non si lava mai, si defeca nei pantaloni sia durante la vegli che durante il sonno. Va a lavorare 5 giorni a settimana come ingegnere ed odia il suo lavoro. Puzza da morire e anche per il suo carattere non é piu possibile conviverci. Non vuole essere aiutato e segue un mix di tante cure fattegli da tanti medici diversi. Ha un armadio pieno di pillole e rischia l'infarto da un momento all'altro. Cosa possofare prima di andarmene??? Premetto che non lo convincero mai a far nulla per curarsi. Deve essere una cosa coatta.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 40.9k 996 63
Non può stabilire lei di far curare in modo coatto suo padre.

L'unica possibilità prevista dalla normativa vigente è il Trattamento Sanitario Obbligatorio che riguarda solo le patologie psichiatriche e non le patologie organiche.

Se ritiene di non poter vivere più con suo padre può mettere in atto quanto possibile per allontanarsi di casa.

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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119 6
Aggiungo anche un mio commento.

In effetti, come Le ha scritto il mio collega, non può stabilirlo Lei in quale modalità (coatta o no) dovrebbe essere aiutato il Suo padre. E premetto, che, se fossi interpellato come uno specialista dal vivo, messo di fronte ad un caso come quello che descrive Lei, allora avrei detto, che la presenza degli estremi per un trattamento coatto non è affatto scontata: se il Suo padre ha consultato diversi specialisti e sta cercando di seguire le cure (benché a modo suo..), allora non si potrebbe dire a priori che lui rifiuta di curarsi... Dalla Sua descrizione, si capisce bene, che questa non è una risposta, ma, per procedere in modo "coatto", ci sono certi estremi formali...

Dunque, in ogni caso, non dobbiamo partire dal presupposto che ci vuole un trattamento coatto.

E più centrale il fatto (se è così, perché va verificato), che le cose non stanno andando bene, che dal Suo padre (come Lei fa capire) non si può aspettare, che lui riesca ad intraprendere i passi razionali e le modalità razionali nella cura di sé: non può farlo da solo, va aiutato dall'esterno. - questo Lei può dire. Ed è, praticamente, l'essenza delle cose, ma, dal punto di vista legale, detto da parte del parente (come Lei), suonerebbe già in una maniera più corretta rispetto al presumere la necessità di "una cosa coatta".

Spero che ci siamo capiti.

Dunque, Lei è convinta che il Suo padre va aiutato.

Ed è anche logico ipotizzare che, andando via Lei (mancando Lei), tale esigenza sarà ancora più attuale.

Dunque.., se Lei conosce l'ultimo specialista dal quale si è rivolto il Suo padre (oppure uno di questi specialisti), può cercare di avvisarli. Questo sarà, senz'altro, una infrazione della privacy del Suo padre, ma Lei può decidere di farlo, se crede che è presente "lo stato di necessità", e per non incorrere ne "l'abbandono dell'incapace", se Lei valuta la situazione in questo modo. In fondo è il medico che è tenuto a salvaguardare la privacy del paziente e non il parente. Dunque, contattando loro, discutere le possibilità (coi medici specialisti che seguono o almeno hanno seguito il Suo padre dal vivo), sentire i loro pareri.

Nella cornice degli stessi principi legali, Lei può rivolgersi ai servizi pubblici: al Centro di Salute Mentale della zona di residenza del padre, al Distretto Sociale ecc., segnalando la situazione. Le possono dire che deve essere la persona stessa a rivolgersi a loro e non Lei, ma sappia che non è così. Chiunque può rivolgersi ai servizi pubblici, e sta agli operatori del servizio ad assumersi la responsabilità nel gestire in maniera corretta sia la situazione, sia i diritti del paziente. Sarà lo specialista del servizio pubblico a valutare in che maniera (coatta o non coatta) lui possa entrare in contatto con il Suo padre e, in base alla sua valutazione: in che maniera il Suo padre dovrebbe essere seguito.

(il primo tentativo di contatto del medico con il paziente potenziale deve essere sempre su base volontaria da parte della persona. Solo se la persona rifiuta la visita specialistica, e, se ci sono anche alcuni altri estremi importanti, si può pensare a procedere in un altro modo... , ma di tutto questo dovrebbero occuparsi gli specialisti del servizio pubblico, ai quali Lei può rivolgersi).

E' quello, che, secondo me, Lei può fare per il Suo padre.

Dr. Alex Aleksey Gukov

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