Genitori troppo protettivi

Salve a tutti, non sono nuovissima in questo forum, ma voglio parlarvi d qualcosa che mi dà molto fastidio. Ho quasi 26 anni, e da tre sono opinionista freelance per alcuni quotidiani e magazine americani (non posso citare nomi). Da qualche tempo a questa parte ho deciso di andare a lavorare negli Usa. Con tutte le premesse riguardo alla questione visti di ingresso per motivi di lavoro che già conosco, il problema sta nel fatto che i miei spesso insistono sul fatto che è meglio che io stia qui dove sono. Certo, è comprensibile che i genitori non possono festeggiare quando i propri figli sono lontano, ed i miei fortunatamente non mi stanno impedendo di fare un viaggio di 'perlustrazione', anzi, mi ci accompagneranno.

Il fatto è però che entrambi, ma in modo particolare mia madre, ogni tanto tornano sull'argomento dicendomi frasi del tipo: "L'America è una nazione enorme, tu sola lì saresti oggetto dei malintenzionati. "; "Se ti capita di sentirti male, anche se ci chiami noi mica possiamo essere lì in un'ora come potremmo fare ad esempio da Cagliari a Roma". Frasi che hanno un fondo di verità, ma che ritengo anche poco razionali. Perchè se qualcosa deve succedere, può succedere ovunque ed in un qualsiasi momento. Io sono molto fatalista.
Le mie opportunità lavorative nel campo del giornalismo negli Usa sono parecchie e con uno stipendio alto, ma i miei curriculum io li sto inviando anche a numerosi altri campi lavorativi negli Usa, proprio per ampliare le mie possibilità invece che fermarmi solo su una cosa. Solitamente una madre dovrebbe essere fiera di avere una figlia che ha ambizioni personali di carriera e che vuole avere successo. Sarà per la sua troppa protettività, ma se solo tocco questo tasto me ne esce con frasi del tipo: "Se vai, devi andare per lavorare nel tuo attuale campo. Inutile che cerchi altro tipo di lavoro". A me questo genere di frasi mi danno molto fastidio.
Sono abbastanza matura da sapere quali sono i pericoli, i limiti ed i possibili fallimenti, ma per mia madre io sono sempre la ragazzina immatura che vedeva quando avevo 14 anni. Fosse per lei, mi terrebbe sempre con sè senza darmi la possibilità di conquistarmi la mia indipendenza in tutti i sensi.
Io sto facendo esattamente quello che mi piace e mi sto impegnando per avere successo e poco mi interessano le lamentele dei miei. Nel senso che se dovessi dar retta a loro, io nella vita non mi realizzerei in ciò che mi piace ed in ciò che so fare di più.

Vorrei un parere e sopratutto un consiglio dalla/o psicologa/o di questo forum.

Grazie.
Stefania.
[#1]
Attivo dal 2006 al 2011
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile Stefania,
Buongiorno, vedo il suo post e le rispondo volentieri.
Le parole con cui esprime la sua voglia di indipendenza e di attuare un proprio progetto di vita mi sembrano abbastanza chiare e inequivocabili.
Se è vero che a volte tra genitori e figli si innescano conflitti generazionali sulle rispettive scelte e si hanno aspettative molto diverse rispetto la "giusta distanza" e la la propria maniera di vivere, mi verrebbe però anche da dirle che nessun genitore - a ben pensarci - ha davvero il potere di tenerci in una condizione che riteniamo non più buona per noi.
In altre parole se noi abbiamo deciso davvero di prendere una strada che riteniamo valida, non c'è genitore che possa fermarci. Questo però tira in ballo la nostra responsabilità...
Più che dare consigli su come orientare la sua vita mi permetterei invece di invitarla a fare un po' di spazio dentro di lei, ad ascoltarsi e a cercare se questa cosa lei la vole davvero. Se scoprirà che per lei è così, difficilmente qualcuno potrà fermarla.
Cordialmente

Dott. Santachiara
[#2]
Dr. Marco Ventola Psicologo, Psicoterapeuta 6
Mi pare di capire che la sua domanda sia sommersa dalle voci genitoriali che costantemente deve affrontare.
Lei si ritrova in parte a dover rassicurare i suoi ed in parte a dover rassicurare se stessa rispetto alla sua riuscita.
Poco esplicita delle sue preoccupazioni personali che trapelano da alcuni indizi (si fa accompagnare, cerca altri lavori...). Vede, le preoccupazioni genitoriali si declinano attraverso la diffidenza verso il figlio ad essere adulto e lei costretta a dare controprove della sua presunta immaturità. Lei si trova incastrata nel gioco della diffidenza.
Chi diffida chiede all'altro una prova che disconfermi la sua diffidenza, prova peraltro impossibile. Quanto più lei cercherà di dimostrare la sua adultità o maturità, tanto più confermerà la sua immaturità.
Ha presente i bambini che sbattono i piedi gridando "io sono già adulto". O quei bambini in giacca e cravatta con lo sguardo adulto sembrano aver ingoiato Kant tutto intero.
Lei va in America per lavoro, ma suppongo anche per divertimento. Ne sarà entusiasta ma anche spaventata. Eppure lei parla di questa esperienza solo in rapporto ai suoi genitori, come se non si trattasse della sua vita ma di una cosa di famiglia, anzi di un gioco di famiglia.
Ci pensi su e mi faccia sapere.
Cordiali saluti
Dott. Marco Ventola

[#3]
Dr. Stefano Garbolino Psichiatra, Psicoterapeuta, Sessuologo 2.5k 36 2
Gentile utente,
credo che lei abbia chiaro che i figli non possono essere tali per tutta la vita e che pertanto hanno il diritto/dovere di scegliere consapevolmente il proprio percorso affettivo, lavorativo, sociale, relazionale.
Come sta facendo lei.
In bocca al lupo!
Cordialmente

Cordialmente
www.psichiatriasessuologia.com

[#4]
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta 708 23 51
Gent.le signorina,

Ci sono vari cordoni ombelicali che nel corso della vita vanno tagliati. Il primo è quello organico che l'ostetrica recide al mopmento della nascita, gli altri sono di natura prettamente psicologica. Il bambino che va solo già si affranca dalla necessità di essere aiutato dai genitori, quando il b. va a scuola si affranca dalla cura quotidiana che riceve a casa. Ci sono poi dei riti che in ogni cultura vengono celebrati per segnare il passaggio da una fase all'altra della vita. Man mano ci si affranca dalla famiglia, pur mantenendo intatti gli affetti ed i legami che comunque rimangono inalterati sino alla morte. Ma con il rito si passa ad altre fasi. L’iniziazione, ad esempio, della fase adolescenziale; il momento dell'entrata nella fase adulta, la fase del lavoro, quella del matrimonio e quindi quello della formazione di una famiglia propria, e così via, sono date importanti nella vita.
Se la sua preparazione scolastica e i suoi progressi la portano lontana, capisco che è doloroso per una madre e per un padre finire per avere una figlia così lontana.
Se Lei ritiene di essere capace di guardare a se stessa, prendersi cura di tutta la sua vita, di poter lavorare in un paese che non è il proprio, con tutto quello che comporta sul piano delle abitudini e degli stili diversi di vita, perché lasciare che questa occasione vada perduta? Lo faccia, rassicurando i suoi familiari. La distanza di cui si preoccupano i suoi genitori può essere facilmente superabile oggigiorno.
Cerchi di stare molto attenta e di inserirsi bene in un mondo che può riservare a volte spiacevoli sorprese. Io credo che ce la farà. Non si lasci “affogare” dalla grande città e da altre abitudini. Attenzione al cibo e al rapporto sonno-veglia. Attenzione alle nuove conoscenze ed ai nuovi amori.
Auguri vivissimi.
Dr. A. Vita

Dott. Antonio Vita
62019 - Recanati (Mc)
antonio.vita@psicovita.it
sito web: www.psicovita.it



[#5]
Dr. Giannantonio Cassisi Psicologo, Psicoterapeuta 19 1
Stefania,
concordo con quanto detto dai colleghi ed intervengo, tutto sommato, per ribadire un concetto già espresso.
Andare negli USA non è cosa da poco: per quanto l'idea possa entusiasmare, generalmente una decisione simile comporta anche dei timori che, però, mi pare siano solo i suoi genitori ad esprimere, mentre lei, impegnata com'è nel contrastare chi "le mette i bastoni fra le ruote", li sminuisce o non li considera affatto.
Dovrebbero appartenerle, invece, dal mio punto di vista, sia l'entusiasmo che un certo timore e finchè quest'ultimo sarà visto solo come "altro da sè", come qualcosa che appartiene solo ai suoi "genitori-carcerieri", potrebbe partire dimenticando un pezzo importante di sè a casa.
Finchè combatterà l'apprensione dei suoi genitori, lei potrebbe rischiare di trascurare le sue di paure (mostrandosi, così, poco realista ai loro occhi) e di rimuovere o non riconoscere emozioni e sentimenti suoi importanti, che invece andrebbero quantomeno guardati in faccia.
Uso il condizionale, magari sbaglio.
Se così fosse, potrebbe ammettere di fronte a loro le sue preoccupazioni e magari anche condividerle, senza per questo rinunciare a quest'avventura, se è ciò che intende fare. Risulterebbe anche ai loro occhi meno spavalda e sconsiderata; più con i piedi per terra e meno ingenua. Una persona, insomma, che sa a cosa potrebbe andare incontro, che ne è consapevole, e che può cavarsela benissimo da sola.
In bocca al lupo.

Dr. G.Cassisi

[#6]
dopo
Utente
Utente
Grazie a tutti per le risposte. In effetti, a volte mi capita di preoccuparmi di come potranno stare emotivamente i miei una volta che sono lì. Altre volte (direi la maggioranza) invece penso più a come dovrò stare io prima di tutto. Sono consapevole che la distanza è enorme, ma i mezzi ci sono per potersi tenere in contatto anche tutti i giorni. Ad esempio, ho due cugini che vivono in Inghilterra: uno per lavoro e l'altro per motivi di studio. Mia zia (sorella di mia madre) è sempre stata molto apprensiva verso i suoi figli, a tal punto che il ragazzo di sua figlia (un bravissimo ragazzo che lavorava) ha dovuto lasciarla, perchè mia cugina si è schierata con la madre che le faceva pesare il fatto che mentre lei è laureata in ingegneria, il ragazzo aveva la terza media (anche il marito di mia zia ha la terza media!). Un comportamento che mia madre non ha, ma che la dice lunga sul carattere che certe madri hanno. Poi, purtroppo, mia zia si è ammalata di tumore al colon, ma grazie a Dio è guarita, anche se ha ancora qualche problemino. Ebbene, questa brutta esperienza l'ha fatta diventare fatalista. Ora viaggia spesso a Londra dal figlio ed ha incoraggiato mia madre a farmi andare negli Usa.
Come ha detto dr. Ventola, faccio capire che sono anch'io quella che non si vuole staccare del tutto dal nido genitoriale. Ebbene, sembra così, ma in realtà sto provando con difficoltà ad evitare che le preoccupazioni (in parte anche legittime) dei miei si ripercuotano psicologimante anche su di me. Premesso che sono risoluta quanto mai su ciò che intendo fare ed i miei stessi sanno che quello che sto facendo può aprirmi strade importanti. Che, però, per ora esistono solo negli Usa (nel mio caso). Sono anche ben cosciente dei pericoli e dei limiti, mi sono informata molto bene. Però, non voglio fare certo come una mia amica, la cui madre era disperata perchè la figlia che studia alla Bocconi, doveva fare un corso a Praga. Ebbene, per evitare di vedere la madre preoccupata, ha perso questa grande occasione.
Per quanto riguarda il viaggio di perlustrazione, che voglio fare anche per rendermi conto di come potrò stare, io lo farei anche da sola, ma vedete, i miei hanno ancora il "potere" di impedirmi di farlo se io volessi. Per amor di pace, quel viaggio lo farò con loro.
Anche se è una cosa che mi dà un pò fastidio, perchè so di tante giovani donne come me che partono senza "mamma e papà".
Per darvi un'idea di come sono i miei (sopratutto mia madre) vi dico anche che fino a pochissimo tempo fa (solo qualche mese) di notte mia madre mi diceva che era ora che andassi a dormire. Vi immaginate? A 25 anni! Sarà che sono la figlia più piccola (ho due fratelli, uno di 32 e l'altro di 36 anni), e l'unica femmina, ma a me pare che si stia esagerando. Allora, ho fatto un discorso tranquillo, chiedendogli di evitare di dirmi come mi devo comportare.
Cosa che ancora un pò sta facendo anche con mio fratello di 32 anni, quando gli dice cose del tipo "se ti servono camicie, vieni a prendertele". Abita solo e lavora, io mi chiedo: Non deve essere lui ad accorgersi che non ha più camicie e che se non ne ha più deve venirsele a prendere?

Detto ciò, a volte non so se affrontare con calma un discorso con i miei e fargli capire che è ora che si fidino della mia maturità e che mi lascino un pò più libertà. Ripeto che non mi stanno frenando, però, mi fanno quasi pesare quello che sto facendo, e secondo loro io non reggerò. Ecco: questa è la "fiducia" che hanno in me, nonostante sia una persona di giudizio e con i piedi per terra. Io invece sono una che ha ambizioni e che lavoro sodo per far sì che si realizzino, poichè so che non mi cadrà mai la manna dal cielo se sto seduta a guardarmi attorno con la paura degli altri.
A vostro parere, quale potrebbe essere il comportamento migliore che dovrei adottare in questo contesto? Inoltre, pensate sia possibile che, se un giorno i miei dovessero vedermi realizzata come in realtà vogliono, possano finalmente dire: "avevi ragione: se ti avessimo fermata a quest'ora staresti morendo di fame" ?
grazie ancora.
[#7]
Dr. Marco Ventola Psicologo, Psicoterapeuta 6
Gentile Stefania, credo che le sue fantasie di rivalsa siano veramente molto potenti in lei.
Fantasie che non riesce a riconoscere e che le impediscono di accostarsi alla realtà.
Lei fantastica un giorno "mitico" in cui i suoi genitori vengano da lei e le dicano "Quanto avevi ragione tu, e quanto sbagliavamo noi"
Parla di cugine, zie, fratelli: lei è piena della sua famiglia in testa e di riferimenti familiari.
Fantastica una "bella ramanzina" da fare ai suoi, con tono da predicatrice su quanto siano sbagliati a non avere fiducia in lei o quanto siano malpensati e quanto lei sia brava, in gamba, piena di intraprendenza e voglia di fare.
Che cattivoni gli altri e che poverina lei!
Si lamenta implicitamente del mondo(neanche troppo pensando al fatto che crede di poter avere successo solo in America), senza capire che si deve prendere carico individualmente delle sue scelte, da adulta.
Essere adulti non è una cosa che gli altri (genitori, amici o parenti) le concedono ma qualcosa che lei si autorizza ad essere.
Il bisogno di riconoscimenti sono propri dei bambini.
Mi faccia sapere che ne pensa
Cordiali saluti
Dott. Marcoo ventola
[#8]
Dr. Giannantonio Cassisi Psicologo, Psicoterapeuta 19 1
Stefania,
letta la sua replica, ripeterei esattamente ciò che le ho scritto quest'oggi, sia per suggerirle un comportamento da adottare, sia riguardo a ciò che rischia col suo atteggiamento.
Le risulterebbe difficile condividere con i genitori eventuali suoi timori legati al trasferimento in USA?
Immagino ne abbia...
Ci pensi, li enumeri e ne parli con i suoi, con sincerità, senza temere che sua madre vi aggiunga i propri o, soprattutto, che le possa dire: "Visto che avevo ragione? Te l'avevo detto!".
Se invece lei è convintissima e quelli preoccupati sono solo i suoi genitori, allora l'atteggiamento di sua madre avrebbe il suo "perchè". Ciò potrebbe significare, infatti, che Stefania col suo atteggiamento "chieda" a sua madre di essere così apprensiva. Le "chiede" di farle da contr'altare, compensando cò che lei non mostra di avere. Un pò come Pinocchio e il grillo parlante, ricorda?
Smetta di vedere la mamma solo come portatrice di negatività; può farlo, se riconosce le sue proprie preoccupazioni.
Quindi, cominci a mostrare ciò che ha dentro e potrebbe veder scemare l'apprensione di sua madre.
Un'altra cosa: non combatta anche contro chi qui le risponde, ma si fermi a riflettere su ciò che legge, senza puntare i piedi e senza la voglia di aver ragione ad ogni costo contro i suoi genitori.
Lei vuole vincere una guerra, noi cerchiamo di farle capire che non deve combatterla e che, anzi, il nemico è una parte di lei stessa sotto mentite spoglie: sua madre.
[#9]
Dr.ssa Flavia Ilaria Passoni Psicologo, Psicoterapeuta 163 1

Cara Stefania,
ho efftauato spesso consultazioni riguardo casi analoghi e in presenza di gentori decisamente più oppressivi e limitanti, qualsiasi fosse l'età del figlio (talvolta ultraquarantenne).
Nel tuo caso però, sempre tenendo conto solo delle poche righe che scrivi, non sussiste un vero problema: tu stessa sei già perfettamente in contatto con i tuoi bisogni , desideri e speranze e hai gi scelto, inconsciamente e consciamente, la strada da percorrere:

"Io sto facendo esattamente quello che mi piace e mi sto impegnando per avere successo e poco mi interessano le lamentele dei miei."

Una buona dose di protettività e apprensione è perfettamente funzionale nel rapporto gentiroriale, è quando diventa eccessiva che diventa limitante e fonte di disagio. D'altra parte ai genitori spetta desiderare la felicità per i propri figli, ai figli scegliere i modi e temi con cui realizzarla..

Con i migliori auguri
F.i.Passoni
studiopsicologia@hotmail.it

F.I.Passoni
Dir. di SYNESIS, Centro di Consulenza Psicologica, Psicoterapia & Ipnosi Clinica

studiopsicologia@hotmail.it

[#10]
Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta 3.6k 187 37
Gentile Stefania,
purtroppo arrivando in ritardo non ti posso scrivere le belle cose già dette dai Colleghi.

Però ti farei riflettere solo su un particolare. Ho visto che scrivi da Cagliari; mia moglie è sarda (abitava in provincia di Sassari), per cui credo di conoscere un po' il vostro contesto e la vostra matrice culturale, soprattutto rispetto all'allontanamento dei figli dalla Sardegna, molto frequente negli ultimi 20 anni.

Non so se sia il caso dei tuoi genitori, ma per quanto ho visto personalmente, un genitore sardo soffre terribilmente per il figlio fuori casa, anche se questo va abitare a Roma o Milano, figuriamoci negli USA

Quindi non escluderei anche il fattore culturale in senso stretto, nell'analizzare quanti "gradi di libertà" senti di avere rispetto alle tue scelte di vita

Il senso di appartenenza che un sardo ha per la propria terra è qualcosa che va oltre la semplice residenza geografica, e credo che dipenda da tutto un insieme di emozioni che passano attraverso i tuoi sensi di colpa

Ripeto, magari non è il tuo caso, ma non escluderei, nella tua nalisi, tutti i "paletti", specie quelli emotivi

Cordialmente

Daniel Bulla

dbulla@libero.it

Cordialmente

Daniel Bulla

dbulla@libero.it, Twitter _DanielBulla_