La psicosi (infantile) di un bambino e la mia (giovane adulta)

Buonasera,
sono una ragazza che due anni fa ha avuto un esordio psicotico e, attualmente, sta assumendo 5 mg di Abilify al giorno.
Quello che voglio esporre è il dramma della mia vita. Ne ho parlato con due persone competenti ma entrambi hanno minimizzato la cosa.
Cercherò di essere sintetica: circa 18 anni fa, in prima elementare, ho fatto del male ad un bambino (E.) con delle forbici. Non so esattamente cosa sia successo, ricordo solo che lui frugava nel mio astuccio e, avendo anch'io la mano là dentro, lo ferii. Io credo sia stato un attacco di rabbia che non sono riuscita a contenere dovuto al fatto che, forse, ero gelosa delle mie cose. L'anno successivo mi trasferii in un'altra città con la mia famiglia e di quel bambino non ne seppi più nulla. Circa dieci anni dopo incontrai un ragazzo che era in classe con me in prima elementare e, per curiosità, chiesi che fine avesse fatto E., dato che non l'avevo più visto: il ragazzo mi disse che E. era "andato fuori di matto" e si era tolto la vita.
La domanda che mi fa passare momenti atroci è la seguente: può il fatto successo in prima elementare aver influito sulla sorte di E.?
Ora potrei descrivere la mia psicosi, ma mi sono successe delle cose così strane che faccio fatica a trovare le parole per descriverla. Sta di fatto che il ricordo di E. è entrato prepotentemente dentro di me, tutt'ora sento un'energia nel mio corpo, come se ci fosse "qualcuno" dentro di me. Questa energia si manifesta quando sono sola, mi guida nei movimenti e parla attraverso la mia bocca o, in alternativa, la sento dentro la mia testa sotto forma di pensiero (mi parla attraverso quella vocina che riconosco essere la stessa che sento quando leggo). Questa energia dice a volte di essere E., altre volte lo nega. Sono confusa: da una parte c'è la mia razionalità, dall'altra sento la possibilità di una spiegazione parapsicologica.
Non so cosa fare...
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Psicologo attivo dal 2012 al 2016
Psicologo
Gentile Utente,

è impossibile dire che l'episodio delle forbici sia stato la causa della scomparsa di E.; potrebbero essergli capitate anche altre cose.

Per quanto riguarda la vocina che sente e l'energia interna che avverte, credo che la cosa migliore da fare sia rivolgersi al Centro Psico Sociale della Sua zona, dove troverà assistenza medica e psicologica da parte di più professionisti.

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Dr. Francesco Mori Psicologo, Psicoterapeuta 1.2k 33 31
Gentile utente,
concordo con quanto scrive il mio collega, dr Repici.
Vede, un suicidio, così come qualsiasi evento significativo della vita di una persona, non può avere un'unica causa, ma è il prodotto di una moltitudine di variabili che si intersecano. Difficilmente possiamo ragionare in modo lineare "taglio nella mano=causa suicidio".
E' probabile che il suo disagio psicologico abbia favorito questa conclusione.
Che ne pensa?

Restiamo in ascolto

Dr. Francesco Mori
Psicologo, Psicodiagnosta, Psicoterapeuta
http://spazioinascolto.altervista.org/

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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Cara Utente,

a mio avviso è impensabile che un bisticcio fra bambini, anche se finito con un piccolo incidente - come volte accade -, sia stato la causa del suicidio di un ragazzino che ha deciso di porre fine alla propria esistenza.
Il suicidio avviene sempre in presenza di una grave patologia mentale (in genere depressiva, ma anche causata dall'uso di droghe) che non può dipendere da un piccolo incidente avvenuto nell'infanzia.

E' comunque comprensibile il suo senso di colpa e anche la sensazione che questo ragazzino sia ancora con lei, visto che nel tempo non ne ha saputo più nulla e potrebbe aver avuto l'impressione di averlo lasciato a sè stesso e di non aver adeguatamente riparato alla sofferenza infertagli.

Ha in ogni caso la certezza che quanto le ha raccontato l'altro compagno, incontrato per caso, sia rispondente a verità?

La figura di questo bambino potrebbe rappresentare una sua parte sofferente che si fa sentire in vari modi e che non è integrata con il resto della personalità, come avviene appunto nella psicosi. Sarebbe importante che lei esplorasse questa possibilità nel contesto di una psicoterapia: al momento assume solo Abilify o è seguita anche da uno psicoterapeuta?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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dopo
Utente
Utente
Vi ringrazio per le risposte.
Ho la certezza di quanto mi ha raccontato l'altro compagno, anche perché mi è stato confermato da un'altra persona.
Al momento non sono seguita da uno psicoterapeuta, anche se in passato sono andata da una psicologa tramite il Centro Salute Mentale.
"E' probabile che il suo disagio psicologico abbia favorito questa conclusione." Questa affermazione ha un suo senso, anche perché in passato ho avuto convinzioni false le quali, col tempo, ho capito essere tali. L'unica cosa che attualmente mi "tormenta" è proprio quella che ho esplicitato. Mi frena un po' il cercare un aiuto esterno il fatto che, rispetto a due anni fa, le mie condizioni psicofisiche sono migliorate parecchio, tanto che il mio psichiatra ha previsto il termine della mia cura nei prossimi mesi. Sta di fatto che, però, non ho mai fatto parola con nessuno dei sintomi che attualmente presento, in quanto riesco a controllarli e si presentano solo quando lo voglio io (avete una spiegazione per questo?). Forse dovrei farlo presente allo psichiatra, anche se il mio obiettivo primario è quello di smettere di assumere psicofarmaci. Secondo voi è possibile smettere con questi e magari cercare di debellare il mio disagio tramite una psicoterapia mirata?
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Psicologo attivo dal 2012 al 2016
Psicologo
Gentile Utente,

è opportuno che chiarisca ogni cosa con lo psichiatra che La segue; dopodiché, una volta terminata la cura con gli psicofarmaci potrà senz'altro intraprendere una psicoterapia.

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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
E' sicuramente necessario che riferisca allo psichiatra che l'ha in cura i sintomi dei quali ci ha parlato, perché se non è al corrente di quello che lei sta sentendo può impostare l'andamento della sua terapia farmacologica in maniera non corretta e non funzionale a risolvere il problema.

Come le dicevo, le sarebbe utile una psicoterapia a integrazione della terapia psichiatrica: data la natura e il contenuto del suo disturbo può essere indicato un orientamento come quello psicodinamico, dal momento che i suoi sintomi sono interpretabili e trattabili secondo i modelli di questo tipo.

Questo però non significa che può smettere di assumere i farmaci, come lo psichiatra le dirà sicuramente quando lo metterà al corrente del quadro completo. Ciò che conta è che lei si curi adeguatamente e che non abbandoni precocemente il farmaco che la sta aiutando a contenere la sintomatologia.
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dopo
Utente
Utente
Ringrazio di cuore delle risposte.
Nel prossimo incontro metterò sicuramente al corrente lo psichiatra dei sintomi che presento.
Un'ultima questione. Forse sbagliando, io mi sono fatta un'idea circa la mia malattia. Gli eventi della vita e le correlate emozioni che ho provato mi hanno condotto ad essa. Questa si è configurata come un momento di transito da quella che era la mia vita prima a quella che è adesso. Ragionando in termini di punti di equilibrio, io ho trovato nella psicosi un modo di essere che mi ha permesso di capire, a posteriori, parecchie cose su me stessa. Io mi chiedo una cosa: volendo trovare un punto di equilibrio che non comprenda tratti psicotici ed essendo che l'antipsicotico non cura la malattia ma copre i sintomi, potrei affrontare ciò che mi presenta la mia psiche/corpo per capire meglio le mie emozioni? Forse è solo un'idea romantica, ma non è che magari il sistema biologico rappresentato dalla mia persona tende ad un equilibrio che gli antipsicotici non mi permetteno di far fronte pienamente eludendomi le manifestazioni della mia psiche/corpo? E' circa un anno che manifesto i sintomi che ho descritto, il farmaco e le persone che mi sono state vicine mi hanno aiutata parecchio a superare e comprendere ciò che mi è successo due anni fa (ero in uno stato psicofisico davvero non paragonabile a ciò che presento adesso)... la mia paura è quella di vedermi aumentare la quantità di psicofarmaci da assumere con i correlati effetti collaterali...
Mi rendo conto che, non essendo una specialista nel campo della psicologia/psichiatria, sto ragionando su cose che non sono di mia competenza. Con un po' di coraggio affronterò lo psichiatra parlandogli dei miei sintomi e dei miei dubbi circa gli psicofarmaci.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Cara Utente,

le sue domande sono molto specifiche e le questioni che solleva delicate: solo i professionisti che la conoscono di persona e hanno odo di osservarla e di parlare con lei possono darle delle risposte attendibili.

Rinnovo il mio invito a rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta di orientamento psicodinamico, essendo la psicoanalisi un metodo interpretativo particolarmente indicato nell'esplorazione dei significati e dei contenuti della psicosi.

I due professionisti - psicologo psicoterapeuta e medico psichiatra - potranno poi interfacciarsi e ragionare assieme su quale possa essere la migliore strategia da seguire per quanto riguarda il dosaggio dei farmaci che assumerà nel corso della psicoterapia.

Un caro saluto,
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dopo
Utente
Utente
La ringrazio infinitamente, farò ciò che lei mi suggerisce.