Convivenza forzata in famiglia

Gentili Dottori,
richiedo questo consulto mentre vivo una situazione di estremo stress e disagio, nella speranza di ricavarne qualche consiglio sui prossimi passi da fare, soprattutto per tutelare la mia salute psichica in quanto è facile pensare che la permanenza in un ambiente malsano prima o poi avrà qualche effetto.
Ecco i fatti. Sono una donna quarantaduenne e fino a qualche anno fa ho condotto una vita assolutamente normale. Mi sono spostata da casa già all'ultimo anno di università (ho fatto una tesi retribuita fuori) a causa di un padre-padrone disturbato e violento e di una madre incapace di tutelarmi (basti dire a titolo di esempio che dopo un lutto grave venivo presa a sberle e minacciata perché dopo qualche giorno dal funerale non riuscivo a tornare a scuola e alle minacce sono infine seguiti i fatti in quanto, solo per quel motivo, sono stata spostata dal liceo che avevo scelto a un convitto per ragazzi "problematici" gestito da religiosi). Finalmente libera, la mia vita è stata ordinaria: laurea, lavoro, fidanzamento, lunga convivenza, infine separazione e nuovo lavoro in un'altra città. Tutti episodi, credo sia utile sottolinearlo, non traumatici, al limite diciamo difficili (anche la scelta di porre fine alla convivenza è stata presa di comune accordo, certo dolorosamente ma senza drammi)...ma forse lo dico perché ero abituata a ben altri livelli di disagio e dolore nella "famiglia" di origine! Beh, giudicate voi. In quegli anni ero rimasta in contatto con mia madre: lei aveva accettato di incontrare il mio compagno, ma egli non era ammesso in casa dei miei né alla presenza di mio padre.
Due anni fa, mi ammalo, tanto da avere bisogno di assistenza. Devo lasciare il nuovo lavoro, un assegno di ricerca che mi dava infinite soddisfazioni (dopo la fine della mia relazione desideravo fortemente realizzarmi a livello professionale, dato che all'epoca avevo scelto di ridimensionare le mie ambizioni per dare la priorità ad essa). A quel punto, ho accettato l'offerta di aiuto di mia madre e sono tornata a vivere con loro, illudendomi (dovevo proprio aver perso la razionalità!) che appena mi fossi ristabilita avrei ricevuto un aiuto per una vita autonoma.
Sono qui da due anni e mezzo. In aggiunta alla situazione preesistente, mio padre entra ed esce dalla dipendenza da alcol e la casa è diventata fatiscente. Anche se ora la mia salute è stabile, e ho un lavoro part time, non vengo aiutata anzi insultata come fallita perché non sono più autonoma. Non mi è dato uscire se non per il lavoro, né ricevere amici in casa. Se ventilo l'intenzione di prendere una casa mia col poco che guadagno, mi si dice che in caso di bisogno dovrò rivolgermi altrove e la mia paura è proprio questa (se perdessi il lavoro? se avessi una ricaduta?) Mi viene ripetuto che per fortuna non ho potuto avere figli (cosa che per me è fonte di dolore) così non devono mantenere anche loro. Insomma zero rispetto e zero cura per le mie esigenze.
Come dovrei comportarmi, ora?
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
Gentile Signora,
come sta adesso? Si è ristabilita?
Cosa sta facendo per riacquistare la sua autonomia in concreto?

Purtroppo è ripiombata in una situazione familiare disfunzionale, il meglio che potrebbe fare è affrancarsene, credo lo sappia anche lei.

Purtroppo i suoi genitori non possono cambiare, ma la sua vita la aspetta per ricominciare.

<Se ventilo l'intenzione di prendere una casa mia col poco che guadagno, mi si dice che in caso di bisogno dovrò rivolgermi altrove e la mia paura è proprio questa (se perdessi il lavoro? se avessi una ricaduta?) > Purtroppo il tipo di dinamiche in atto nella sua famiglia rinforzano le sue paure. Non ne parli, si distacchi emotivamente, faccia i fatti.

Forse c'è bisogno di un aiuto psicologico per reiniziare a credere in se stessa, a non cadere nei giochi familiari, per ritrovare risorse e potenzialità smarrite, lo può trovare anche presso il servizio pubblico, ad esempio presso il Consultorio Familiare ASL del suo territorio.

Non esiti, la sua vita reclama di essere vissuta senza catene e pesi ingombranti, coraggio!

Restiamo in ascolto

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dr.ssa Rinella,
Grazie innanzitutto per la risposta. Adesso sto relativamente bene, conosco il problema (si tratta di un problema cardiaco) e ho una terapia che mi permette di fare una vita quasi normale. Certo, non posso fare tutto quello che facevo prima, non potrei più svolgere un lavoro stressante dove si viaggia in continuazione e si passano giorni di fila a dormire tre ore per notte, com'era il mio, e devo tenere in conto che le cose potrebbero peggiorare un domani. Quindi non sarebbe sensato per me lanciarmi all'avventura come feci a 25 anni fuggendo a fare la tesi lontano con in tasca solo il biglietto del treno e pochi soldi per la caparra di una stanza. Insomma, se da una parte c'è l'ovvia esigenza di ritrovare una dimensione di vita "normale", dall'altra c'è anche il timore di ciò che potrebbe succedermi se in un prossimo futuro le mie condizioni dovessero nuovamente causare la perdita della fonte di reddito. Chiaro che la soluzione non sia rimanere qui, però, anzi, a dirla tutta l'idea di essere di nuovo malata qui, costretta a sentire gente che mi dice che sono fallita e anormale e devo essere grata che mi sia concesso un tetto malgrado il fatto che io rappresenti una disgrazia e una vergogna per loro, mi inquieta. Credo che troverei più calore umano sotto a un ponte!

Detto questo, cosa sto facendo in concreto? Beh, tutto quello che mi è possibile. Da un anno circa lavoro come docente in una scuola privata. Il lavoro è saltuario e non è molto ma con la mia specializzazione, indirizzata a una ricerca di base che in Italia non esiste più, non c'è molto altro che possa fare con competenza. Altre applicazioni della mia laurea dovrei impararle come farebbe un neolaureato, ma considerata la situazione del Paese è abbastanza una battaglia persa, vista la mia età. Nessuno assumerebbe in azienda un'ultraquarantenne esperta di tecnologie ancora prive della benché minima fattibilità pratica. Oltre a questo, offro con successo ripetizioni scolastiche di materie scientifiche. Ho molti allievi, la voce gira e mi mandano parenti e amici, ma sono costretta ad approfittare della gentilezza di un'amica di mia madre che mi presta il salotto di casa sua per ricevere i ragazzi e fare lezione. In casa mia non è permesso. Tutto ciò mi basterebbe economicamente a mantenermi? Appena appena, sinceramente. Spero di trovare di meglio. Ah, nel mentre sto studiando per una seconda laurea, quella che avrei voluto prendere se avessi potuto scegliere. Ho iniziato nell'anno in cui stavo male, e potevo muovermi poco, così, per avere un impegno che mi distogliesse dai pensieri negativi, ed è andato tutto molto bene. Ho fatto amicizia con un certo numero di giovani compagni di corso che mi tengono aggiornata su tutto (purtroppo tra il lavoro e la situazione in casa non posso seguire le lezioni) e ho tutta l'intenzione di proseguire, anche perché una laurea del genere mi permetterebbe di lavorare molto più facilmente di quella attuale. Insomma, non sto certo a guardare il soffitto e sono ben lungi dal non credere in me stessa o nel futuro. Se le mie parole hanno dato questa impressione, è perché in effetti la salute malferma per me è un grosso peso.

C'è poi un altro problema, che è mia madre. Ha sviluppato una dipendenza psicologica pressoché totale da me, come se i ruoli madre/figlia si fossero invertiti e lei fosse una disperata adolescente che io ho il dovere di soccorrere. Nella sua testa, io non posso sottrarmi. Si è aggrappata a me scaricandomi addosso tutte le sue problematiche e senza avere la minima cura per il fatto che io stessi già affrontando la mia dose di guai. Per questa ragione da parte sua non arriva alcun sostegno: non vuole che me ne vada, o in alternativa vuole che me ne vada con lei. Ma io non ne ho la possibilità, quindi "devo" rimanere, così come "devo" presentarmi a tavola all'orario esatto, assistere mio padre quando bisogna portarlo al PS in preda ai fumi dell'alcol, eseguire diversi compiti senza preavviso in barba a ciò che potrei avere da fare. In breve: per la gente che vive con me, non posso avere una vita, anzi non devo pensare minimamente di ricominciarne una, in quanto è già una gran fortuna quello che mi danno e sarebbe ingrato e criminale da parte mia fare tentativi di autonomia con il rischio magari di dover poi chiedere aiuto economico a loro.

Aiuto psicologico? Mi piacerebbe provarci, anzi credo che lo farò. Non ho perso di vista le mie potenzialità e le mie risorse, ma probabilmente la forza di ricominciare ad usarle sì. Non è però una questione emotiva: le dinamiche dei miei mi causano al più problemi di ordine pratico, del tipo di dover soddisfare determinate richieste per non venire disturbata in continuazione. Sono bastoni tra le ruote reali, non tattiche psicologiche che minano con successo la mia fiducia in me stessa. E come tali, mi stancano e mi prostrano. Certo, non avendoli più intorno non lo farebbero più, è logica elementare. Si tratta di radunare la forza e le basi economiche per poterlo fare. È quello il problema.
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