Terapia fuga venosa

Ho 30 anni, e ho capito che la fuga venosa è un grosso problema riguardo la riuscita'del rapporto.
Vorrei sapere questo:

- questa insufficenza veno-occlusiva è una di quelle disfunzioni rare, cioè che colpisce poche persone ( e soprattutto giovani come me), oppure è molto diffusa, e quindi in un modo o nell'altro si può tentare di curarla, pensando almeno di non essere un caso isolato!

Quindi vi chiedo un ultima cosa e cioè:

- una terapia costante di farmaci orali, e non quindi solo al bisogno ( io preferisco il cialis, visto che mi trovo molto meglio con quest'ultimo anche come rigidità del pene )potrebbe riattivare o almeno migliorare la vascolarizzazione del pene, attenuando , se non curando ,per quanto possibile la fuga venosa?

Premetto che ho fatto tutti gli accertamenti , ecocolordoppler, anche cavernosometria ecc.) ed è risultato questa diagnosi. però mi è stata consigliata la terapia orale per 3-4 mesi, una pillola a giorni alterni, prima di valutare altri tipi di interventi.
spero vogliate rispondere
franco
[#1]
Dr. Diego Pozza Andrologo, Endocrinologo, Chirurgo generale, Oncologo, Urologo 15.9k 465 2
caro lettore,

la Disfunzione Veno Occlusiva Cavernosa è un grosso problema per molti pazienti, specialmente giovani.
Non esistono terapie specifiche. Sembrerebbe che un uso prolungato di Tadalafil possa portare ad un progressivo miglioramento.
Ma sono solo dati preliminari non confermati.
Discreti risultati si possono ottenere, in alcuni casi, con l'uso delle iniezioni intracavernose con PGE1.
Credo che l'ideale sia di trovare un regime terapeutico che consenta erezioni comunque "accettabili" fintanto che il problema trovi un suo naturale adattamento o richiesta di soluzione chirurgica ( non chirurgia venosa !!)
Non so che utilizzo abbia la cavernosometria e grafia (è una procedura che non si usa più da parecchia anni)
cari saluti

Dott. Diego Pozza
www.andrologia.lazio.it
www.studiomedicopozza.it
www.vasectomia.org

[#2]
Prof. Giovanni Martino Chirurgo generale, Chirurgo apparato digerente, Andrologo, Urologo, Chirurgo plastico, Chirurgo vascolare 4.3k 23
Gentile Utente,
in alcuni casi (sempre più frequenti e numerosi), il deficit erettivo può essere ascrivibile ad un mancato o difficoltoso "sequestro" del sangue nei corpi cavernosi durante l’eccitamento e l’attività sessuale. E’ quella che comunemente viene definita “disfunzione veno-occlusiva” (DVOC, o "fuga venosa").
La disfunzione erettile di tipo veno-occlusivo è in genere dovuta alla formazione di larghi canali venosi capaci di drenare i corpi cavernosi, oppure può essere causata da fatti degenerativi della tonaca albuginea (ad esempio per malattia di Peyronie, età avanzata, diabete), da alterazioni strutturali dell’endotelio o del muscolo liscio cavernoso, da un rilasciamento inadeguato del muscolo liscio trabecolare, oppure da “deviazioni” intese come sequele di precedenti interventi chirurgici penieno.
Tradizionalmente queste forme di DE sono sempre state racchiuse tra quelle che potevano trovare giovamento da un trattamento chirurgico (legatura delle vene, “plissettaggio” dell’albuginea), teso ad aumentare la resistenza venosa ed impedire la dispersione pressoria, indispensabile come ben noto per il normale evolversi del meccanismo dell’erezione.
Secondo alcuni Autori tutti questi interventi chirurgici sono praticamente fallimentari, secondo altri possono risolvere il disturbo ma solo temporaneamente. Insomma, ormai tutti coloro che si occupano scientificamente dell'argomento ritengono non ottimale, per non dire francamente inutile, l'approccio chirurgico.
E’ appena il caso di sottolineare che è indispensabile ai fini diagnostici effettuare una completa indagine strumentale.
Concordo pienamente con lo schema terapeutico che Le è stato prospettato. Da provare per tempi decisamente non brevi.
Alternative?
Le metodiche di terapia intracavernosa più usate negli USA sono rappresentate dall’alprostadil oppure da una combinazione di papaverina, fentolamina ed alprostadil (Trimix).
Effetti collaterali del Trimix sono il priapismo, la fibrosi, aumenti transitori della concentrazione sierica di aminotransferasi, ipotensione e tachicardia riflessa. Quelli dell’alprostadil, talvolta, consistono in una erezione dolorosa.
L’iniezione intracavernosa è sconsigliata nei soggetti affetti da turbe psichiche e malattie del Sistema Nervoso (schizofrenia), da anemia a cellule falciformi, da patologie a carico della componente venosa.
Nonostante i buoni risultati, un gran numero di pazienti rinuncia alla terapia intracavernosa a favore dell’alprostadil transuretrale, ritornando all’iniezione intracavernosa solo quando si senta il bisogno di un’erezione più immediata e duratura.
Il discorso chirurgico si riaprirebbe solo in funzione dell'impianto di protesi peniene ma, prima di discuterne con il proprio Specialist di fiducia, ne deve passare di acqua sotto i ponti.
Affettuosi e cordiali saluti.
Prof. Giovanni MARTINO

Prof. Giovanni MARTINO
giovanni.martino@uniroma1.it

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