Frattura perone

Mio figlio, quasi vent'anni, ha subito la "frattura terzo distale del perone destro parzialmente scomposta" in un incidente stradale il 26 giugno.
Trasportato al pronto soccorso è stato immediatamente dimesso, dopo l'immobilizzazione dell'arto in attesa del necessario intervento chirurgico di osteosintesi, previsto come minimo, per il 3/4 luglio se non anche più tardi.
Ma può una frattura aspettare così tanto tempo per essere sistemata?
Non si corre il rischio che comincia la calcificazione in una posizione scorretta?
Tra l'altro il ragazzo gioca a tennis a livello agonistico in terza categoria e sarebbe moralmente terribile se la sua carriera sportiva dovesse concludersi solo per il ritardato intervento.
Grazie della risposta
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Attivo dal 2007 al 2020
Ortopedico
Niente paura. Il tempo trascorso non è sufficiente che per la sola fase di organizzazione dell'ematoma, quindi 7-10 giorni sono un tempo più che ragionevole per l'intervento. Va inoltre considerato il fatto che spesso queste fratture sono accompagnate da importante edema (gonfiore) della caviglia. Tale edema può interferire negativamente con il processo di cicatrizzazione della ferita chirurgica, facilitandone la deiscenza e quindi le infezioni superficiali e profonde. E' per questo che si tende a non operare immediatamente queste fratture, nonostante il sensazionalismo di certi interventi su sportivi al top (in cui spesso non è l'interesse del malato ad avere il sopravvento, ma l'interesse del professionista sportivo).
Avanti così, e in bocca al lupo a Suo figlio!
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dopo
Utente
Utente
Gentile dottor Celocco,
la ringrazio della sua velocissima e rassicurante risposta.
Mi domando perchè nessuno dei ben quattro ortopedici che hanno visto il ragazzo in ospedale sia il giorno dell'incidente che il giorno successivo in occasione di una visita di controllo richiesta dal ps, si sia preso la briga di sprecare una parola in tal senso, ma tutti abbiano cercato di giustificare il mancato tempestivo intervento con il sovraffollamento dell'ospedale, la concomitanza del week-end e del giorno di sciopero nazionale degli ortopedici, la necessità di dare la precedenza ai casi urgenti ed alle fratture al femore delle persone anziane ed altre amenità.
Sarebbe bastata una semplice e "tecnica" giustificazione di questo tipo, ed in effetti la caviglia era gonfissima, per far tollerare meglio al paziente (invero ben poco paziente) e pure i genitori questa attesa.
Ancora grazie e saluti.
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dopo
Utente
Utente
Carissimo dottore, come dico spesso in uffico: Più dai le risposte, più ti fanno le domande, e perciò eccomi di nuovo a consultarLa, questa volta senza urgenza alcuna però.
Il giovane è stato operato giovedì 4 luglio e dimesso il giorno dopo, non ha avuto febbre, ma l'intervento è stato fatto senza copertura antibiotica e la ferita non è stata medicata il giorno dopo l'intervento (?).
Ora, dopo quattro giorni ha molto dolore, molto di più di quando aveva la frattura ed è sotto antidolorifico costantemente.
A parte il dolore, che spero presto diminuisca, la guarigione completa appare lunghetta assai, sino al primo agosto tiene la facsciatura e non deve caricare per nulla, poi si vedrà, e , comunque l'intervenio di rimozione della placca, che avverrà tra un anno, sarà di nuovo un intervento chirurgico, con convalescenza lunga e d altra sospensione dell'attività sportiva.
Nel frattempo pare che la pistra si "senta" e limiti omunque la possibilità di fare sport.
Negli anni 60 mio fratello, allora di nove anni, si era fratturato tibia e perone sicuramente frattura scomposta, era stato operato il giorno stesso, gli era stata messa una staffa nella caviglia e la gamba era stata ingessata sino a metà coscia col ginocchio piegato.
Dopo 25 gironi era stato liberato dal gesso e considerato guarito e, a parte delle difficoltà a camminare per qaulche giorno, in pochissimo tempo era tornato quello di prima e l'inverno successivo eravamo di nuovo sui campi da sci. Oltrettutto come ricordo gli erno rimasti due segnetti ai lati della caviglia e non una ferita chirurgica con punti.
La doaenda è: quali sono i vantaggi della riduzione delle fratture con placca e viti, anzichè coi "vecchi" metodi, visto quanto la prima soluzione allunga i tempi di guarigione?
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Attivo dal 2007 al 2020
Ortopedico
Le rispondo subito alla domanda finale. I vantaggi sono molti ed indubbi. Poter ristabilire l'integrità anatomica di un segmento osseo, laddove si sia verificata una frattura scomposta consente di far guarire l'osso in maniera pressoché perfetta. Questo ha però degli svantaggi, alcuni immediati (dolore post-operatorio, rischio di infezioni) ed altri a distanza di tempo (possibile fastidio legato ai mezzi di sintesi, necessità di rimozione degli stessi).
Quanto a Suo fratello, probabilmente si trattò di una frattura di tibia e perone (non alla caviglia, però), che fu trattata mediante trazione trans-calcaneare e successivamente immobilizzata mediante apparecchio gessato (magari fatto in anestesia, per riposizionare correttamente i frammenti). In quel caso , intanto, si trattava di un bambino, situazione nella quale ancora oggi quel trattamento potrebbe avere una sua dignità. Inoltre, negli anni '60 l'utilizzo di mezzi di sintesi non era così diffuso, e quindi anche una guarigione non perfetta non avrebbe comportato recriminazioni di sorta, poiché quello era praticamente l'unico trattamento possibile.
Per tornare a Suo figlio, infine, il dolore maggiore rispetto a prima è dovuto alla sezione di tessiti molto innervati, come il periostio, ed al gonfiore (edema) che normalmente segue questo tipo di interventi. L'importante è però tenere a bada sia l'uno che l'altro. Inoltre, il fatto che non sia stato medicato il giorno dopo l'intervento mi trova assolutamente d'accordo, essendo la stessa medicazione di una ferita chirurgica "fresca" una procedura che può esporre al rischio di infezioni. Quindi, a meno di una medicazione molto sporca, bene è stato fatto a non sostituire il cerotto. Sulla terapia antibiotica, una possibilità in questi casi è la cosiddetta "one shot", cioè un'unica somministrazione al momento dell'intervento, che si è mostrata in grado di dare risultati praticamente sovrapponibili alle terapie somministrate in maniera "tradizionale".
Spero di aver chiarito ogni Suo dubbio.
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dopo
Utente
Utente
Buongiorno ed eccomi ancora qui, ed ancora grazie per le sue cortesi ed esaurienti risposte.
Allora, dopo quattro settimane dall'intervento, la gamba del figlio è stata liberata dalla valva previo controllo radiografico con esito positivo.
Era stato prescritto un tutore tipo "aircast" che porta tutt'ora per tutto il giorno.
Dal giorno successivo alla sfasciatura ha cominciato la fisioterapia, che prevede un trattamento di tecarterapia e degli esercizi per la rieducazione muscolare.
Devo dire che, grazie anche al sostegno psicologico della fisioterapista che lo "maltratta" abbastanza quando lui manifesta timori vari, i progressi sono stati rapidissimi; comunque anche lui si impegna molto, nella speranza di tornare ad una vita normale, e pure al campo da tennis.
Insomma a fronte dell'eliminazione della valva il primo agosto, l'8 ha cominciato a camminare senza stampelle, ovvio che l'articolazione della caviglia ancora non è recuperata, ed il piede destro lo trascina ancora un po', ma va migliorando.
A questo punto l'ulteriore domanda per Lei è: sino a quando, ragionevolmente, va portato il tutore? Quali sono i segnali che possono far capire che se ne può fare a meno?
Grazie.