Consulto tipo psicoterapia

Salve gentili dottori,
circa un mese fa ho dovuto affrontare l’interruzione di una terapia di tipo cognitivo-comportamentale che durava da un anno. Ci fu stato un blocco da parte mia nel momento in cui eravamo arrivati alla ristrutturazione cognitiva; certi miei problemi di ansia e confusione che mi portarono ad abbandonare gli studi si sono riversati anche sulla ristrutturazione e non è stato possibile applicarla. Poi per una serie di motivi ci sono stati dei problemi sul piano della relazione terapeutica e quindi la psicologa ha deciso di interrompere lasciandomi con mille interrogativi e con una sensazione di colpa bruttissima.
Ora vorrei intraprendere un altro percorso di psicoterapia ma non so che tipo di terapia potrebbe andare meglio per me.
Di recente ho avuto una seduta con uno psicoterapeuta che impiega l’analisi transazionale. Quindi in questo momento mi ritrovo a dover scegliere se intraprendere questo percorso di psicoterapia oppure vedere altri psicoterapeuti di altra “formazione”. Ho questo dubbio perché andare per tentativi sarebbe molto oneroso economicamente e poi in tutti i casi potrei fare le sedute solo ogni due settimane.
Vi chiedo se potete darmi qualche informazione sull’analisi transazionale (per esempio se è efficace per i disturbi d’ansia) e se pensate che la terapia cognitivo-comportamentale sia “incompatibile” con la mia persona visto il problema che si è presentato già in passato.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
Credo che quello che non ha funzionato nel precedente percorso non riguardi l'orientamento ma la fisiologica resistenza al cambiamento che si verifica in quasi tutti i percorsi terapeutici, è compito dello psicoterapeuta creare le condizioni favorevoli per aiutare la persona ad affrontare la paura del cambiamento.
La scelta non dovrebbe riguardare l'orientamento ma come si sente nella relazione con lo specialista, sentirsi accettati compresi e non giudicati sono le tre condizioni necessarie in una relazione d'aiuto.
A tal proposito le consiglio di leggere questo articolo
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/153-perche-iniziare-una-psicoterapia.html

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it

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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66
Gentile utente,
Lei ci parla di due fattori concomitanti nell'abbandono della terapia:

- non mi è stato possibile applicare la ristrutturazione cognitiva
- poi problemi sul piano della relazione terapeutica.
Nessuno dei due riguarda l'orientamento della terapeuta. E quindi... non vedo la necessità di cercare altrove.
(Per avere idee più chiede sugli orientamenti , peraltro, può leggere
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html )

Nel consulto postato in aprile Lei era deciso a parlarne con la terapeuta; poi cosa è successo?
Si è interrotto il rapporto di fiducia, per cui non è più possibile ricucire con la medesima terapeuta?

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

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dopo
Utente
Utente
Grazie per le risposte.
Dr.ssa Brunialti non sono stato io ad abbandonare la terapia. Non riuscivo a ristrutturare perché il solo pensiero mi generava ansia, nausea e confusione, così come nello studio. Ne ho parlato con lei; il mio intento era di voler superare questo blocco, mi creda. E' stata lei a non soffermarsi sulla cosa e a passare ad altro (se non sbaglio disfunction e qualcosa ora non ricordo). I problemi sono iniziati proprio qui, perché ho iniziato a criticarmi e svalutarmi per questo mio blocco. Mi definivo un vittimista che aveva in mano lo strumento per stare bene ma non lo utilizzava. Da qui è iniziato un periodo dove portavo tantissimi pensieri per cercare di fornirle il più possibile informazioni su questo mio senso di blocco. Sinceramente non ho mai ricevuto nessun feedback sulla questione.
I problemi sulla relazione terapeutica sono arrivati quando ho iniziato a pensare che lei mi vedesse come una persona noiosa e fastidiosa. Ho avvertito un cambiamento nel suo modo di comportarsi, in confronto al primo periodo. Era più distaccata; è arrivata anche a dirmi, in un momento per me molto difficile, che “lei era disponibile ad aiutarmi, ma se non c'era collaborazione da parte mia forse era il caso che ci prendessimo una pausa” cosa che mi ha letteralmente distrutto. Da qui, dopo altri episodi simili dove quasi mi sgridava per certe questioni, ho iniziato ad interpretare negativamente tutti i suoi atteggiamenti, a non fidarmi più, tanto che non riuscivo più ad aprirmi, e sono arrivato anche ad odiarla per come mi sentivo trattato. Si immagini che nell'ultimo periodo quando uscivo dallo studio mi sentivo uno straccio. Ho dovuto iniziare una cura farmacologica per come mi sentivo, cosa che non avevo mai fatto prima.
L'ultimo giorno che ci siamo visti ho portato una serie di domande, dove spiegavo chiaramente (ammetto di essere stato molto duro nel pormi ma ormai ero veramente stanco di questa situazione) tutto quello che non mi andava e tutto quello che pensavo sulla faccenda. Lei si è offesa tantissimo dicendomi, con aria scocciata, di essersi comportata sempre in maniera rispettosa nei miei confronti e il problema erano le mie interpretazioni, le mie credenze ecc. Il modo in cui l'ha detto mi ha fatto sentire in colpa per tutto e soprattutto mi ha fatto sentire una persona incapace di relazionarsi con gli altri, una persona “malata”, tutto quello che mi criticavo di essere... Le posso assicurare che non è stato per niente piacevole. Comunque io avrei preferito che avesse dato un senso alla questione, che avesse detto qualcosa del tipo: “è normale che tu reagisca così, vediamo come superarlo” e non avrei voluto interrompere.

Chiedevo se la terapia cognitivo-comportamentale potesse essere “incompatibile” con la mia persona perché lei in un'occasione mi ha parlato del fatto di non aver insistito sulla ristrutturazione visto questo mio problema legato anche allo studio.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
Le sue difficoltà non riguardano l'orientamento ma la relazione con lo specialista, è venuta meno l'alleanza terapeutica perché non si è stata presa in considerazione la resistenza a mettere in atto la ristrutturazione cognitiva.
Aver ignorato questo aspetto ha creato una "distanza relazionale" che si è acuita con le reazioni da parte della psicoterapeuta.
La persona che segue un percorso terapeutico deve sentirsi libera di esprimere qualsiasi perplessità nel rapporto con lo psicologo, senza preoccuparsi di offenderlo e, dal canto suo quest'ultimo, deve essere in grado di accogliere e affrontare eventuali difficoltà che emergono, trasformandole di opportunità per elaborare le emozioni connesse al vissuto della persona.
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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66
Mi dispiace che la cosa tra Voi si sia risolta così, ... senza risolversi.
In ogni caso, la Sua domanda iniziale riguardava il cercare un altro/a terapeuta. In risposta Le abbiamo indicato ambedue che non è questione di orientamento ma di relazione. E dunque diriga la Sua ricerca in questo senso, non abbandoni il percorso essendo giunto a buon punto.