Reazione dopo lutto e aborto

Buonasera gentili dottoresse,
approfitto ancora della vostra gentilezza visto che in passato mi siete state di grande aiuto. Vi avevo scritto in maggio, chiedendovi consiglio per tentare di accettare e superare l'aborto gemellare che purtroppo avevo appena vissuto e vi avevo anche raccontato come tutta la mia vita sia stata piuttosto complessa (perdita di mio papà in tenera età, recente perdita di mia mamma dopo tredici anni di dolorosa malattia, mia convivenza fin dall'adolescenza col morbo di Crohn, lontananza dalla mia città di origine e dai miei amici) Sono passati ormai cinque mesi dall'aborto e un anno dalla morte di mia mamma e, apparentemente, la mia vita è tornata normale: lavoro, accudisco con amore la mia bimba di due anni, ho una vita sociale piuttosto intensa. Ma la normalità è solo apparente. Mi spiego meglio: mi sforzo di non far pesare sugli altri - e soprattutto su mia figlia - il mio dolore. E' solo l'amore per lei e il senso del dovere nei confronti degli altri (sono insegnante, quindi devo essere un esempio positivo per i miei allievi) a farmi andare avanti "normalmente", ma dentro di me mi sento finita. Anche se sembro serena, equilibrata, in alcuni momenti anche felice, sento che non potrà mai più esserci felicità per me, sento che dopo la morte di mia mamma e dei miei bambini per me è tramontata la possibilità di essere contenta e appagata, nonostante ami moltissimo la mia bambina che mi regala delle grandi gioie. Faccio di tutto affinché lei possa avere una mamma allegra e serena, e apparentemente lo sembro, ma dentro di me ho il vuoto. Ho provato a parlarne col mio medico di base e lui mi ha liquidata dicendo che è normale e che sicuramente non sono depressa, perché altrimenti non riuscirei neanche ad alzarmi dal letto; ha aggiunto anche che, "se proprio volevo", potevo riprendere ad assumere 20mg di Elopram. Questo farmaco mi fu prescritto dodici anni fa dal gastroenterologo durante una crisi particolarmente grave del Crohn per tentare di rallentare la motilità intestinale, quindi non per problemi psicologici ma fisici. Mi diede giovamento dal punto di vista addominale ma psicologicamente non notai alcuna modifica, anche perché ai tempi non avevo particolari problemi. Quello che volevo chiedevi, pur con tutti i limiti di un consulto a distanza, è se questa mia attuale vita "sdoppiata", una esterna e una interna completamente diverse, è una condizione normale dopo aver vissuto così tanti eventi drammatici o è meglio che mi rivolga ad uno specialista perché al contrario è una situazione anomala. Grazie ancora per la vostra attenzione e un augurio di buon lavoro.
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Dr.ssa Paola Scalco Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 4.3k 101 45
Gentile Signora,
ho riletto la sua precedente richiesta, in cui ci eravamo già "incontrate" e, se da un lato mi fa piacere ritrovarla, mi spiace dall'altro sapere che dentro di Lei si muovano ancora tanti pensieri e tante sensazioni e stati d'animo di segno negativo....

Leggendola ora a distanza di alcuni mesi, mi sento di suggerirle di trovare un nostro collega (tralascerei a priori quelli con cui collabora per lavoro) a cui potersi affidare per valutare di persona la situazione e decidere insieme come eventualmente procedere. Questo perché sta soffrendo tanto e penso sia il caso di ascoltare questo dolore che fatica a placarsi.
Confrontandovi capirete se sarà il caso di richiedere anche una consulenza psichiatrica per un supporto farmacologico.

Cari saluti.

Dr.ssa Paola Scalco, Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica
ASTI - Cell. 331 5246947
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dopo
Utente
Utente
grazie gentilissima dottoressa Scalco,
in effetti stavo ormai valutando anch'io questa possibilità.
Mi rendo conto che il motivo principale per cui mi sento sprofondare in tutto questo dolore è principalmente il senso di colpa che provo. Senso di colpa nei confronti di mia madre, perché l'ho curata amorevolmente per dodici lunghi anni ma nell'ultimo anno, quello più duro, molto meno: alla fine dell'allattamento infatti ho avuto una recidiva del Crohn, dunque ho dovuto necessariamente prendermi cura di me stessa oltre che della bimba, e così purtroppo ho trascurato mia madre. Lei nel frattempo mi ha tenuto nascosto il suo aggravamento fisico, di cui mi sono resa conto solo pochi giorni prima della morte, e ora provo rimorso non solo perchè non l'ho aiutata in alcun modo e l'ho lasciata soffrire da sola ma ancor di più perche le ho causato una ulteriore, grandissima preoccupazione a causa del mio stato di salute. Mi sento in colpa nei confronti dei bambini che ho perso, perché quando ancora non sapevo di essere incinta dei gemelli mi sono sottoposta ad un intenso stress psicofisico per sgomberare l'appartamento di mia mamma: magari non c'entra nulla con l'aborto, ma visto che il cariotipo dei bambini è risultato normale e dunque il problema non era genetico ho il terrore che sia stato il mio comportamento poco adatto ad una donna gravida a facilitare la perdita dei piccoli. E infine mi sento in colpa nei confronti di mia figlia, perché temo ormai di non riuscire più a regalarle un fratellino (tra pochi giorni compirò 43 anni quindi lo so, è tardi per una nuova gravidanza spontanea ma d'altronde né io né mio marito intendiamo ricorrere a fecondazioni assistite o eterologhe) e ho il terrore che se anche lei rimarrà figlia unica un domani possa, in seguito alla perdita di noi genitori, patire questo stesso senso di solitudine e di desolazione che ora sto attraversando io. Capisco, quindi, che cosa mi blocca, ma dato che i sensi di colpa sono così profondi e forti a questo punto davvero non so come affrontarli da sola.
Grazie ancora per tutta l'attenzione che mi ha dedicato e ancora un augurio di buon lavoro.