Corsi e ricorsi nell'educazione dei figli

Buongiorno, leggendo qualche giorno fa un vs. articolo sulle regole da dare ai figli, ho pensato al mio ruolo di madre e mi sono venute alcune considerazioni che vorrei sottoporvi.
Comincio col dire che sono stata educata ad una “apparente” libertà: mia madre veniva da una famiglia nella quale i genitori esercitavano un forte controllo sui figli, soprattutto sulle figlie femmine, e per reazione e mancanza di tempo (i miei passavano gran parte della giornata al lavoro) mi ha lasciata libera di fare ciò che volevo e di gestirmi la mia vita come meglio credevo. Questa cosa, però, non mi è stata di nessun aiuto: non avere regole significa non avere nemmeno una guida che ti insegni quale strada è meglio pendere!
E così le regole me le sono date da sola, creandomi una gabbia sempre più robusta e stretta e dandomi le punizioni che non ricevevo dall’esterno. Il problema è che le regole e le punizioni che mi sono data sono state tutte sbagliate e prive di senso: una “punizione” dovrebbe essere la conseguenza di un atto sbagliato e dovrebbe far capire che non è il caso di ripeterlo più. Ma le punizioni create da sé rischiano di arrivare in momenti e situazioni dove non sarebbero necessarie e di essere a lungo andare devastanti.
Quindi, per reazione all’eccessiva libertà e al senso di disorientamento con i quali sono cresciuta, coi miei figli (uno adolescente e una pre-adolescente) ho adottato il ruolo di madre presente (anche troppo…) e severa, quasi a riproporre con loro il modello di intransigenza che avevo creato per me stessa.
Le cose vanno discretamente, ma spesso temo che anche loro, seguendo il mio modello, si possano creare le stesse gabbie che mi sono imposta io e che mi hanno impedito di poter vivere la vita con la pienezza che avrei desiderato. Per loro sono un fortissimo punto di riferimento e spesso chiedono la mia presenza perché rassicurante, ma temo che non riescano a sganciarsi per imparare a camminare da soli.
Grazie per l’attenzione
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Salve,

le sue riflessioni sono suggestive, ho trovato importanti le parole del suo racconto.

Un primo pensiero evocato dalle sue parole riguarda la transgenerazionalità familiare, cioè il fatto che per pensare al suo attuale ruolo di madre, le è venuto giustamente da pensare al suo ruolo di figlia e, quindi, a sua madre.

È significativo che lei possa riconoscere di non essere stata realmente libera, ma di avere subito invece un "forte controllo" e, non so se mi sbaglio, di avere vissuto forse un senso di solitudine.

Quello che potrebbe essere mancato non sono le regole in sé, ma la presenza dei suoi genitori, nei termini di vicinanza affettiva, calore umano, sintonia. Una presenza indispensabile per sviluppare una forza interiore e un senso di fiducia.

Non sono sicuro che si sia creata da sola regole, corazze e punizioni. A volte, se un genitore è a lungo assente (non solo fisicamente), questo "vuoto" non è neutro. Può essere tutto il contrario, può essere "pieno" di vissuti emotivi, che devono essere compresi.
Un figlio può sentirsi responsabile di essere trattato in un certo modo, può sentirsi colpevole, essere spaventato, e questo può generare profonde ferite e angosce, che in un modo o nell'altro sarà costretto a gestire da solo. Ma questo è il frutto di quelle specifiche modalità relazionali.

Nonostante tutto il suo amore, non ha torto a dire che può trasmettere una certa intransigenza ai suoi figli, che possono a loro volta crearsi delle gabbie. Forse anche per sua madre è così, magari conosce anche lei quella gabbia, l'unica realtà possibile.

Potete tuttavia imparare a vivere con più pienezza, come lei dice, e a scoprire nuove realtà per voi. Può cominciare lei stessa, iniziando a interrompere la circolarità della transgenerazionalità. In proposito, posso chiederle se sarebbe desiderosa di questo per sé?

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

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dopo
Utente
Utente
Gent. dott. De Sanctis, ha colto in pieno il cuore del problema: la"piena"solitudine di una figlia unica in una famiglia di adulti (mamma, papà e nonna paterna) spesso in conflitto per dinamiche familiari difficili, accudita da una nonna che avrebbe preferito fare altro che occuparsi della nipote.
L'assenza dei miei genitori era solo fisica, perché lo sguardo di mia madre me lo sono portato dentro fino a pochi anni fa e sono sempre stata consapevole che la libertà che mi concedeva era solo apparente.
Ma non era questo di cui avevo bisogno: non era lo sguardo silenzioso ma onnipresente del Grande Fratello di Orwell, ma qualcuno che mi dicesse cosa fare nei momenti di indecisione. Spesso mi trovavo davanti a molte porte e avrei davvero voluto qualcuno che mi indicasse, magari anche sbagliando, quale aprire e che direzione prendere. E' questo un modo per affidare ogni tanto all'altro la responsabilità e il peso delle scelte da fare.
Come nella storia di Cappuccetto Rosso: la madre indica alla bambina quale strada percorrere per non rischiare di incontrare il lupo. La bambina però sceglie una via diversa e autonoma che la porta a dover superare delle difficoltà, per poi capire che la strada indicata dalla madre era forse quella giusta. Ma almeno qualche indicazione l'aveva avuta!
Quando questo manca, si impara presto ad essere autonomi, ma purtroppo si impara a proprie spese e tutto diventa più faticoso.
La ringrazio infinitamente per l'attenzione.
[#3]
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Utente
Utente
Riguardo a "interrompere la circolarità della transgenerazionalità. In proposito, posso chiederle se sarebbe desiderosa di questo per sé?"
Certamente vorrei essere una madre diversa, ma, come per molti della mia generazione, il lavoro di genitori dobbiamo inventarcelo, potendo attingere solo in parte ai modelli del passato.
Intendo comunque conservare il ruolo di genitore autorevole e non quello di amica dei miei figli. I loro amici li hanno già e non hanno bisogno di un'adolescente cresciuta in più ma di solidi punti di riferimento.
Grazie di nuovo
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
La dimensione familiare di cui ci parla dev'essere stata dolorosa.
Con le sue ulteriori parole, ha arricchito il suo racconto con numerosi stimoli. Lo sguardo di sua madre dentro di sé è emblematico, non ne conosco la qualità, che sarebbe fondamentale approfondire, immagino coerente con quello che ci ha raccontato.

Non era quello di cui aveva bisogno, ma se sentiva un senso di disorientamento, di indecisione o, magari, di insicurezza, forse questo vissuto si è sviluppato anche attraverso questo sguardo.

Forse non serviva chi le dicesse cosa fare, ma chi la liberasse da quello sguardo, che è diventato interiore, come se fosse suo, magari bloccandola nella sua espressività. Chissà se magari, di fronte a una scelta, si sentiva incerta e spaventata, non sapendo come muoversi o magari temendo il giudizio dell'autorità del Grande Fratello, rappresentato nel romanzo in modo dittatoriale.

Forse invece serviva qualcuno che la guidasse con amore, che la lasciasse libera facendo il tifo per lei, e lì con lei, che accettasse i suoi errori umani e la sostenesse nei momenti di difficoltà.

Le suggestioni evocate dal suo racconto sono tante, mi sento di dirle che cambiare si può, anche se qualsiasi cambiamento è faticoso perché destabilizza il nostro equilibrio, e può spaventare.

Può però diventare una madre diversa, senza essere rigidamente severa e allo stesso tempo senza essere totalmente amica dei suoi figli. Anzi, può diventare una madre diversa, ma anche una donna diversa, riattraversando il suo essere figlia e il suo passato familiare.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis