Apatia, bisogno di amicizie, isolamento, paura dei sentimenti.

Salve a tutti e grazie anticipatamente per le risposte che mi darete e per il tempo che dedicherete a leggere questa domanda che definirei "curiosa". Non desidero una diagnosi né una cura, ma una risposta ad un dubbio possibilmente diversa dal "capirai quando sarai più grande" che tante persone, più o meno preparate dal punto di vista medico, mi rivolgono (a mio parere molto superficialmente) da molti anni ormai, tanto da spingermi a chiedermi con molta ironia se non diventerò "più grande" proprio nel tempo impiegato a chiedermi quando questo accadrà, dunque quando potrò "capire" e trovare una risposta soddisfacente, una qualunque.
La domanda: vivo una vita normale, ma non ho nessuno accanto che possa considerare amico. Non parlo mai con nessuno di mia spontanea volontà, le altre persone non mi interessano in generale e se anche a volte mi viene la voglia di trovare qualcuno con cui avere un rapporto un po' più particolare, la realtà che mi circonda (un paesino piccolo e chiuso) mi lascia davvero a desiderare. Mi sento solo, ma ho paura che il sentimento di "amicizia" che cerco sia in realtà egoista e pericoloso: come mai non mi interessa avere qualcuno accanto ma non voglio restare solo? È solo una questione di "bisogni"? Le persone che ho avuto accanto (sempre e solo via messaggi, nonostante alcune le vedessi ogni giorno a scuola anni fa) riempivano il mio tempo ma non mi suscitavano particolari emozioni, e dire che negli ultimi anni ho anche provato ad aprirmi, ma senza risultati - faccio tante battute, perché mi piace far ridere le persone, ma è come se tra me e loro ci fosse un muro, come se i miei sentimenti restassero confinati a me soltanto e quelli degli altri tutto intorno a me, inaccessibili. È come se per qualche motivo il mondo mi evitasse (studio molto, non sono convenzionalmente attraente, ho una disabilità visiva, sono dichiaratamente bisessuale e come detto ho problemi a relazionarmi: tutti punti a sfavore ma, almeno credo, non così limitanti), come se la persona che si avvicina a me lo facesse per pietà e non per curiosità come invece faccio io... e il mio "bisogno di amicizia" entra in conflitto con questo "sentimento di pietà" che non voglio, che mi umilierebbe ancor di più, che non mi serve. Non ho intenzione di passare i prossimi dieci, venti... sessant'anni in questo modo. Vorrei riuscire a capire le persone, e per questo dovrei riuscire prima a capire me. Chi sono io? Perché tutti gli altri sembrano così prevedibili, così coerenti con loro stessi, come fossero dei personaggi di un film, e io non riesco a vedermi se non attraverso riflessioni come questa? È come se io fossi il regista del film, di questo film che va avanti da diciotto anni e chissà quando finirà, sempre uguale nonostante i fatti cambino, la cui morale è un'assenza di logica e di emozioni, nel quale mancano dei personaggi principali e la cui trama è confusa e a tratti inesistente.
Perdonatemi la prolissità e le divagazioni, sempre state un mio difetto.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Gentile Utente,

da qui non possiamo porre diagnosi e tanto meno erogare cure, quindi quello che possiamo risponderle costituirà più che altro uno spunto di riflessione a partire dal quale lei deciderà se rivolgersi o meno di persona ad uno psicologo.

Da quello che dice pare che lei sia in seria difficoltà nei rapporti con gli altri e che provi una profonda ambivalenza nei loro confronti: vorrebbe avere degli amici fra i coetanei, ma non trova nessuno di interessante, alla sua altezza, e allo stesso tempo è lei a non sentirsi alla loro altezza, visto che teme di suscitare addirittura pietà.

Il bisogno di amicizie e di rapporti umani è fisiologico nei soggetti equilibrati e integrati nella società e mi sembra che lei sia scettico verso le persone che già conosce, più che ritenere davvero che nessuno le possa interessare e desiderare di chiudersi in un isolamento schizoide che in realtà non è quello che vuole.

E' un groviglio di emozioni che deve essere sciolto, se non vuole effettivamente correre il rischio di trascorrere così il resto della sua vita.

Ha ragione sul fatto che ha bisogno di capire prima di tutto chi è lei, per potersi rapportare con gli altri come individuo intero e integrato, ma una parte importante di questo processo di auto-conoscenza e integrazione avviene proprio attraverso il rapporto con gli altri e, in particolare, con gli adulti significativi, a partire dai genitori.
Che tipo di persone sono i suoi?
Che rapporto avete?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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dopo
Utente
Utente
Grazie mille Dr.ssa Massaro per la sua risposta, tempestiva e dettagliata. Ha centrato in pieno il senso del discorso, anche se mi permetto di precisare su quello che probabilmente è stato un errore mio, un punto su cui ho sorvolato: sono sicuramente scettico verso le persone che conosco, ma non per una loro mancanza, quanto piuttosto per una mia: possibile che di tutte le persone che conosco nessuna sia mai riuscita a sviluppare un rapporto un po' più confidenziale? Al massimo le avrei respinte io, invece anche loro sono frenate da qualcosa di cui non riesco ad accorgermi. E succede anche che qualcuno mi interessa, ma più come un "colpo di fulmine" che come una cosa seria, quando qualche aspetto della sua personalità mi piace particolarmente, ma subito mi rendo conto che tra noi non può funzionare nulla, per pregiudizi miei e suoi: mi limito a guardare le persone come distanti e indipendenti, non come "potenziali amici", nemmeno dopo tanto tempo.

I miei genitori... sono persone come tante, abbiamo un rapporto sereno. Forse non parliamo spessissimo, specialmente con mio padre che è fuori per lavoro dalle sei della mattina alle otto di sera, ma penso sia normale (odio i genitori che si sentono giovani e fanno le cose con i loro figli, parlano delle ragazze e scherzano come loro invece di "fare i genitori" e assicurarsi che non vadano in giro con chissà chi). Non mi hanno mai fatto mancare nulla e anche le loro idee sono molto simili alle mie, nonostante i trenta e più anni di differenza. Non sono particolarmente severi, anche perché non ho mai fatto nulla di discutibile, ma io ho comunque una certa tendenza a nascondere le cose, o quantomeno a non dare nell'occhio, per paura di un giudizio più che di una vera e propria punizione. Ormai li considero in un certo senso conoscenti (adulti e legati a me da un affetto lunghissimo, come degli zii) perché non ho più l'età in cui devono insegnarmi le cose ma comunque vivo con loro, dipendo da loro e lo farò almeno per altri tre anni: la loro figura di "genitori" non si è trasformata con me ed è in un certo senso rimasta indietro. Dato che non posso riaverla uguale a prima, aspetterò fin quando non la supererò.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Lei ha detto:

"Le persone che ho avuto accanto (...) riempivano il mio tempo ma non mi suscitavano particolari emozioni"

e anche che la realtà del piccolo paesino nel quale vive lascia molto a desiderare, quindi posso pensare che in generale non abbia un'attitudine particolarmente positiva nei confronti delle persone che la circondano.

Aggiunge inoltre:

"mi limito a guardare le persone come distanti e indipendenti, non come "potenziali amici", nemmeno dopo tanto tempo".

Forse è l'insieme di tutto questo che le frena dall'entrare in confidenza con lei, non crede?

Per quanto riguarda i suoi genitori, dalla sua descrizione emerge un senso di distanza che forse è lo stesso che prova nei confronti degli altri.

Si è mai sentito davvero vicino a qualcuno?

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dopo
Utente
Utente
Rispondendo alla sua prima domanda: sì, è probabile, l'ho pensato anch'io e sapevo che me l'avrebbe chiesto, ma ho anche detto che comunque io non mostro diffidenza agli altri, tranne quando non ho voglia e allora evito il più possibile di parlare e di farmi rivolgere la parola, ma il tutto con discrezione proprio per non apparire troppo strano. Sono la persona che si fa sentire finché è obbligata, fa battute, è di compagnia, ma non colpisce particolarmente. Sono sicuro che la gente si scorda di me, se deve parlare di me sicuramente non ne parla né bene né male ma perché non ne ha motivo, o perché prima deve ricordarsi di aver mai parlato con me. E la cosa non mi dà nemmeno fastidio sinceramente, almeno non mi danno nomignoli come alcuni che neanche conosco.

Sì, a due persone in tutta la mia vita, se escludiamo la mia sorella gemella con cui la cosa è comunque "forzata", nel senso di scontata. Entrambe conosciute su inernet, entrambe più o meno quattro anni fa. Uno ero addirittura intenzionato a vederlo, facendo una tappa extra in un viaggio di famiglia al nord già programmato, ma i miei non hanno voluto ed è saltato tutto. Con entrambe è finita allo stesso modo, in un attimo di sentimentalismo mando un messaggio esplicitamente romantico e vengo gentilmente scaricato. Con quello del viaggio ci scriviamo raramente, ma lo capisco perché quando mi ha lasciato gli era stato diagnosticato un disturbo narcisistico della personalità e mi ha detto di averlo fatto perché era incapace di sopportare una relazione così importante. Adesso è ancora seguito da un professionista e si sta aprendo anche con persone della sua zona.
Con l'altro ho ricominciato a sentirmi da poco, è fidanzato ed è felice, ma lo ammiro ancora perché è un tipo parecchio complicato. Le nostre conversazioni sono interessanti dal punto di vista intellettuale, ma piatte.
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