Contatto fisico in terapia

Buongiorno,
Sono in terapia ormai da un paio d'anni a causa di una malattia genetica che condiziona in modo piuttosto pesante il mio corpo e la mia vita, e che non riesco ad accettare in alcun modo.
Venendo al titolo del consulto, premetto che non c'è mai stata da parte mia nessuna ricerca di contatto fisico con il mio terapeuta. Non ci siamo nemmeno mai stretti la mano per salutarci.
O meglio, lui un paio di volte ha provato a porgermi la mano ma io non ho saputo ricambiare, perché comunque c'è sempre una parte di me che mi dice che non è opportuno, che non mi è permesso avere contatti fisici con persone normali, e a quel punto mi blocco.
A dire il vero lui durante le primissime sedute mi ha dato qualche pacca sulla spalla di incoraggiamento, oppure mi accarezzava velocemente un braccio o la parte alta della schiena, in modo da stabilire un minimo di contatto di fiducia. Ma dopo le prime settimane ha capito che io mi irrigidivo e che il contatto fisico non mi faceva piacere, per cui ha smesso.
Quindi, se di solito con il progredire della terapia e l'instaurarsi di un rapporto tra paziente e terapeuta ci può essere una forma di contatto fisico che agli inizi non c'era, per me è stato il contrario. Anzi, ultimamente il terapeuta ha smesso anche di accogliermi sulla porta d'entrata o accompagnarmi all'uscita, perché si è reso conto che ciò implica una vicinanza fisica che mi mette un po' a disagio.
Ma se da una parte questo suo prendere le distanze mi tranquillizza e mi fa sentire più sicura, dall'altra però mi rende anche quasi triste, e delle volte mi fa pensare che per qualche motivo lui non mi voglia come paziente e mi sento "rifiutata".
Durante l'ultima seduta il terapeuta mi ha detto che a volte vorrebbe anche potermi accarezzare il viso, ma sa che io non voglio. Dice che con altri pazienti questo accade, che lui di solito lavora così, anche stabilendo un minimo di contatto fisico con i pazienti. Mi ha fatto notare che ancora non mi fido di lui, e che non è abituato ad avere un rapporto così distaccato, soprattutto considerato che sono in terapia da ormai 2 anni.
Non è che io non desideri un abbraccio o una carezza. Al contrario, vorrei eccome. Ma so che non riuscirei a gestire una cosa del genere a livello emotivo. Per me sarebbe troppo, anche perché non ricordo che qualcuno abbia mai avuto verso di me gesti simili, se non forse moltissimo tempo fa, quando ero molto piccola e non ci sono per niente abituata.
Non so come fare a risolvere quello che di fatto non è altro che un mio blocco emotivo. Spero che possiate magari darmi qualche consiglio.
[#1]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Gentile utente,

Ricordo il suo precedente consulto.
Ora ci dice
"..non ricordo che qualcuno abbia mai avuto verso di me gesti simili, se non forse moltissimo tempo fa, quando ero molto piccola.. "
e ci chiede "..qualche consiglio.." per il Suo "blocco emotivo.

Lei stessa conprenderà che non è con qualche consiglio che si risolve un blocco emotivo che ha radici
sia nell'infanzia/adolescenza,
sia nella "malattia genetica che condiziona in modo piuttosto pesante il mio corpo e la mia vita".

Solo attraverso un lavoro costante nella psicoterapia, che potrebbe portare all'accettazione della problematica genetica,
potrà riprendere padronanza del Suo corpo,
dei suoi gesti,
degli abbracci che potrebbe dare e ricevere.

Potrebbe trattarsi quindi non di una faccenda relazionale con il terapeuta,
bensì intrapsichica.
Ma la persona più adatta con cui parlarne è proprio lui.

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dott.ssa, Brunialti
sì anche io credo che non si tratti solo di una questione relazionale con il mio terapeuta, anche se inevitabilmente ha un ruolo importante, ma di un comportamento che ho, in misura minore o maggiore con, chiunque (o quasi). Cercherò, per quanto mi è possibile, di vedere il mio rifiuto del contatto fisico più come un "sintomo" che come il problema da risolvere. Mi dispiace solo che il terapeuta abbia messo tutto ciò un po' sul piano personale della fiducia, perché credo che c'entri poco con il fidarsi o meno di qualcuno. Vedrò magari di farlo capire anche a lui. Non ho mai pensato, ovviamente, di risolvere i miei problemi chiedendo un parere online. Ma almeno la sua risposta mi ha fatto uscire dall'ottica un po' miope "paziente VS terapeuta".
[#3]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Grazie della valutazione.

Riguardo al considerare
".. il rifiuto del contatto fisico più come un "sintomo" che come il problema da risolvere.. "
- efficace sintesi -
la mia riflessione intendeva essere unicamente un "secondo parere",
un punto di vista "altro" sulla problematica della "corporeità in psicoterapia" (tematica assai intrigante in ogni caso),
con la profonda consapevolezza che il Suo psicoterapeuta La conosce di persona e dunque possiede un punto di vista privilegiato, sia pure meno distaccato.

Utilizzi questo "secondo punto di vista" nella maniera che più Le risulta utile e che più Le fa bene,
inteso nel senso di stimolarLa a riflettere per cambiare (non solo per capire).

Contenta di averLa risentita,
saluti cari.






[#4]
dopo
Utente
Utente
Buona sera.
Scusatemi se riapro il consulto ma 2 giorni fa finalmente ho ricevuto un consulto genetico da uno specialista che avevo contattato insieme al mio terapeuta, e che è stato l'unico dei tanti medici contattati in 8 mesi che si sia preso la briga di voler visionare il referto del mio cariotipo, in modo da darmi risposte non teoriche ma certe e puntuali.
Non voglio dilungarmi troppo, ma da ciò che avevo letto prima di avere questa risposta speravo che ci potessero essere nel mio DNA 2 linee cellulari, una normale (per quanto minoritaria minoritaria) e l'altra anomala, priva di cromosomi sessuali.
Non è così. Mi ha detto chiaramente il genetista che le linee cellulari sono effettivamente due, ma entrambe anomale. Non c'è una linea cellulare normale.
Avevo intrapreso questa ricerca insieme al mio terapeuta con l'obiettivo di chiarire i dubbi sulle origini della mia malattia, con la speranza di poter poi finalmente mettere un punto a questa storia, sentirmi un po' meno sbagliata e riprendere in mano la mia vita, almeno in parte.
Invece... invece adesso mi sento, se possibile, ancora più sbagliata e schifosa di prima. Figlia non di un errore, ma di due.
I dubbi che avevo adesso li ho chiariti, certo.
Però vedere scritto nero su bianco che in me non c'è nulla di normale, proprio niente, che in pratica ogni singola cellula del mio corpo, dalla pelle alla punta dei capelli, compresi tutti gli organi interni è anomala è una cosa mi fa orrore, ribrezzo. Per questo dico che non posso avere alcun contatto fisico con le persone normali. Perché faccio schifo, non sono normale. è tutto scritto nel referto citogenetico che ho inviato allo specialista.
Come se non bastasse, se prima avevo il dubbio che la colpa della mia patologia potesse essere mia, ora so che invece è senza possibilità di errore di uno dei miei genitori, che ha prodotto un gamete anomalo da cui poi sono nata io. Sento molta rabbia nei loro confronti adesso, e sento anche l'esigenza di fare ulteriori test genetici, se è possibile, che stabiliscano una volta per tutte chi dei due è il colpevole.
Mi rendo conto che non dovrei provare questi sentimenti negativi verso di loro, che in fondo sono stati genitori né migliori né peggiori di tanti altri, ma è così. C'è chi mi dice che comunque dovrei essere grata a loro per avermi fatta nascere. Invece no, io penso che dovevano farmi nascere normale, come hanno fatto con mio fratello che è geneticamente perfetto. I figli o si fanno bene, oppure non si fanno. Io volevo nascere normale, oppure non nascere affatto. Una vita da anormale handicappata non la voglio vivere. Speravo di riuscire a trovare un po' di pace ma a quanto pare riesco a provare sempre e solo rabbia.
[#5]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Gentile utente,

Piacere dell'aggiornamento.

Le rispondo con la mente, con il cuore e con l'esperienza clinica e umana.

Le cose che non si possono cambiare vanno accettate lavorando sul quel meccanismo psy straordinario che si chiama "adattamento".
Certamente la rabbia è un grosso ostacolo a ciò,
da affrontare ancora prima o contestualmente.

La vita è (probabilmente) una e va "giocata" con le carte che ci troviamo in mano quando nasciamo e cresciamo: assi o "scartini";
dipende dall'abilità e strategia cosa farne.

Comprendo anche che dicendoLe ciò corro il rischio di farLa innervosire maggiormente,
come se non comprendessi il Suo rifiuto, la Sua difficoltà.
Ma non è così.

Semplicemente ritengo che vivere sia prezioso se solo sappiamo "trovare la quadra",
come si dice oggi.
La psicoterapia serve anche (forse soprattutto?) a questo.

Una serena notte.








[#6]
dopo
Utente
Utente
"Le cose che non si possono cambiare vanno accettate lavorando sul quel meccanismo psy straordinario che si chiama "adattamento"."
Diciamo che sono d'accordo con lei su questo. Del resto c'è poco da obiettare. Se una cosa non si può cambiare in qualche modo bisogna accettarla, sfruttare al meglio le possibilità che si hanno anche se sono poche, questo lo capirebbe anche un bambino.
Il punto è come arrivarci
Vede dott.ssa, ho visto più di un terapeuta prima di quello attuale. Tutte terapie che duravano poco per un motivo fondamentale: nessuno di quei terapeuti prendeva in considerazione che il domandarmi perché sia successo proprio a me di nascere sbagliata fosse legittimo.
In sostanza pretendevano che io accettassi la mia condizione semplicemente perché era la cosa migliore da fare, senza andare veramente a fondo, alle origini. C'era chi mi diceva che avrei potuto arrivare ad accettarmi per come sono modificando il mio linguaggio e di conseguenza i miei pensieri. Come se fossi un computer da riprogrammare. Chi ha definito "stupido" (sì, proprio stupido) il domandarsi perché fossi nata così, perché "tanto non si può cambiare la situazione, e allora perché farsi certe domande?"
Alla fine l'ho trovato uno psicologo che ha capito che accettare una condizione limitante "a scatola chiusa", solo perché conviene far buon viso a cattivo gioco non è possibile, almeno non per me.
Così di comune accordo abbiamo intrapreso questa "ricerca della verità" che avrebbe dovuto almeno permettermi di gettare le basi per l'elaborazione di tutto questo ginepraio.
Quello che mi chiedo è : perché ora che so, adesso che finalmente sono arrivata alla fine di questa lunga ricerca, non riesco a pensare di poter chiudere il capitolo e cominciare piano piano a voltare pagina? Perché non mi sento almeno un po' meglio, e sono invece ancora più arrabbiata e alla ricerca di vendetta? Purtroppo per me e per la mia famiglia, è questo alla fine che voglio: il nome di un colpevole e trovare il modo di fargliela pagare.

La ringrazio come sempre dell'ascolto.

Buona notte anche a lei.
[#7]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Gentile utente,

domande ce ne sono di vario genere:
sicuramente di due categorie almeno:
- esistenziali
- scientifiche.

Le seconde ricercano ed approfondiscono le cause scientifiche, sempre che esse siano ad oggi idendificabili.
Le prime sono un grido di aiuto e di rabbia di fronte all'incomprensibilità della cosa.
Mescolare e confondere i due approcci porta gravi conseguenze,
tra cui quella di scaricare la rabbia esistenziale
su chi secondo la scienza (esami genetici)
"..ha prodotto un gamete anomalo .." MA in modo inconsapevole, ad oggi imprevedibile secondo la scienza, eticamente incolpevole (c'è colpa dove c'è intenzionalità).

Intendo dire che utilizzare la linea "scientifica"
per cercare un colpevole "esistenziale"
è scorretto dal punto di vista logico.
E dunque tale strada, come Lei ad oggi sta sperimentando, è "senza uscita". Ma d'altronde andava percorsa, se questa era una Sua istanza profonda.

Lei potrà dire:
"Fa presto Lei a dire così"; sì, mi rendo conto.
Però è quello che penso: che occorre cambiare direzione di "lavoro".
Ma sono certa che lo psicoterapeuta con cui attualmente sta lavorando La potrà aiutare rispetto a "Il punto è come arrivarci."

Forse sarà un percorso più lungo del previsto,
considerato che mette in atto resistenze imponenti all'adattamento,
pari - del resto - alle difficoltà che Lei sperimenta soggettivamente come limiti invalicabili nella Sua vita;
ma evidentemente il Suo percorso psicoterapeutico è questo.

Come sempre, saluti cari.



[#8]
Attivo dal 2016 al 2017
Psicologo, Psicoterapeuta
buongiorno
qui ci sono diversi problemi e mi sembra ci sia anche una qualche confusione nella terapia.

1) lei non ha nessuna colpa se non si sente di dover per forza accettare i contatti fisici che le propone il suo terapeuta, se è in terapia ha lei sue difficoltà emotive e come tali vanno rispettate.

2)quello che invece può fare quindi è parlarne con il suo terapeuta, quest'ultimo di conseguenza se è un professionista serio saprà come comportarsi e interpretare adeguatamente cosa sta accadendo nella vostra relazione terapeutica.

Cordiali saluti
[#9]
Dr.ssa Paola Dei Psicologo, Psicoterapeuta 305 27 9
Gentile
La dottoressa Brunialti le ha già fornito preziose indicazioni, mi inserisco soltanto per alcune riflessioni.
Proprio in questi giorni mi chiedevo perché una parola che racchiude significati tanto teneri possa avere un suffisso peggiorativo come “accio”. “Abbraccio”.
Una poesia di Alda Merini mi ha fornito una risposta:
“C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte, dove rimani senza fiato.. ”. Rimani talmente senza fiato da provare dolore.
L’abbraccio è tenerezza ma è anche ambiguità, può racchiudere passione, amore, intensità, rabbia, amicizia, affetto, dolore, dolcezza, calore. E a volte si ha tanto freddo da temere il calore. Dove può portare quel calore? Cosa accade se la rabbia si sgretola?
Più di ogni altra cosa, certe volte la fonte principale della paura è proprio l’incertezza, il non sapere o non potere e voler comprendere cosa accadrá precisamente. Nell’abbraccio c’è l’altro, ma chi è l’altro? La nostra percezione dell’altro e di noi stessi non è mai completa. Forse lo diventa in un rapporto di intimità. Ma cosa accade quando c’è intimità?
Tutti i suoi post sono un grande abbraccio dove emergono sensazioni vere, universali, che nessuna genetica è riuscita a stravolgere. Il suo metaforico abbraccio ha reso belli noi che la stiamo ascoltando e ha illuminato la sua anima.
Non impari ad accettarsi, impari ad amarsi, parli con il/la sua/suo psicoterapeuta del suo desiderio e della sua paura, liberi la sua rabbia, il corpo porta memorie molto profonde ed è in grado di dare risposte altrettanto profonde.
Qualcuno ha detto:
“Se non impugno una spada non posso difenderti, se impugno una spada non posso abbracciarti.”
Lasci per qualche attimo la spada e porti la mano sinistra sulla spalla destra, poi la mano destra sulla spalla sinistra. Ecco, questo è un abbraccio alla sua anima, ascolti cosa accade e racconti al suo Terapeuta cosa è accaduto.
Mille auguri

Paola Dei: Psicologo Psicoterapeuta
Didatta Associato FISIG Perfezionata in criminologia
Docente in Psicologia dell’Arte (IGKGH-DGKGTH-CH)

[#10]
dopo
Utente
Utente
Gentile dott.ssa Dei, mi dispiace ma è per me impossibile accettarmi, figuriamoci amarmi, ancor più alla luce di quanto è emerso dai recenti consulti genetici.
Impossibile per me accettare chiunque non sia fisicamente e mentalmente perfetto, me compresa. Di fatti mi fanno schifo e ribrezzo i ritardati mentali, i menomati fisici e gli handicappati in generale, per cui mi faccio schifo io per prima.
Adesso odio i miei genitori, perché se sono così è colpa di uno di loro due e devo scoprire quale.
Ma se loro non mi vogliono bene io non glie ne faccio una colpa. Anzi. è già tanto che mi abbiano tenuta in casa dopo la diagnosi che mi è stata fatta da bambina. Io al posto loro avrei subito abbandonato il figlio che non è perfetto in ospedale, appena saputo che non è normale. Oppure, se fossi venuta a conoscenza della malattia prima della nascita del bambino, avrei sicuramente abortito senza pensarci due volte.
I figli o si fanno perfetti ( o quanto meno normali) o non si devono far nascere.
Mi spiace deluderla ma non mi "abbraccerò" come mi ha consigliato di fare lei, perché la trovo una cosa un po' ridicola. E soprattutto non mi voglio toccare perché, ripeto, mi faccio schifo.
Un'altra cosa: non sono per niente una bella persona, così come non sono belli i miei post.
La ringrazio comunque della risposta.
[#11]
Dr.ssa Paola Dei Psicologo, Psicoterapeuta 305 27 9
Gentile signorina
Lei può sentire ciò che prova lei stessa, ma non ciò che suscita in chi la ascolta. Gliel’ho detto, persino l’abbraccio racchiude un suffisso peggiorativo, a dimostrazione che anche una parola che di solito evoca tenerezza può avere il suo rovescio della medaglia. Ognuno di noi è luce e ombra.
Come le ha spiegato la dottoressa Brunialti, in lei si percepiscono molte resistenze da abbattere e una comprensibile rabbia, ma non deve confondere l’amore con la perfezione. Lei ha intuito cos’è l’amore ma non sa ancora cosa significa amare e sentirsi amata. Non permette a nessuno di farlo.
Nella vita non si ama per un perché si ama e basta e per questo si può amare una voce, un pensiero, una sensazione che una persona ci evoca. Amare la diversità è una sfida, è un passo grandissimo verso la libertà di essere se stessi. Ma questo fa male e fa paura quando non ci siamo abituati, fa male e paura come un abbraccio. C’è un bellissimo aneddoto di Einstein quando si recò in America. Al suo arrivo gli chiesero:” Razza?” lui rispose semplicemente:”Umana!”. Si apra con la/lo psicoterapeuta che la sta seguendo, lentamente e un passo alla volta. Questo le fa una grande paura perché comporterebbe un movimento dei sensi, l’accettare un vero incontro, il mettersi in gioco senza giudizi, il sostituire la rabbia con molto altro, compreso il comprendere che nessuno la rifiuta tranne se stessa.
Non si forzi, ma ci rifletta però è prenda tutto il tempo di cui ha bisogno.
La vita comincia dove finisce la paura.

[#12]
dopo
Utente
Utente
Gentile dott.ssa, inserisco un'ultima replica poi basta (almeno per quel che mi riguarda), anche perché potremmo continuare a discutere all'infinito senza di fatto smuoverci dalle nostre rispettive posizioni.
Mi permetta solo di puntualizzare una cosa: " nessuno la rifiuta tranne se stessa".
Sì, come no, Farebbe prima a convincermi che Babbo Natale esiste davvero. Io non vivo nel mondo delle favole e nemmeno lei, spero. Quindi perché vuole farmi credere cose non vere? Ma che cosa pensa, che qualora io imparassi finalmente ad accettare la mia patologia e a volermi bene per come sono, gli altri sarebbero tutti lì ad accogliermi a braccia aperte? Ma nemmeno per sogno. Una volta saputo che non sono normale non mi vorrebbero in ogni caso.
è molto più onesto e sincero il mio terapeuta quando mi dice che per quanti sforzi io possa fare e per quanto io possa migliorare all'interno della psicoterapia, il 95% delle persone mi rifiuterebbe comunque, perché non saprebbe andare al di là della malattia. Anche perché, la maggior parte della gente ha l'intelligenza emotiva di un bambino di 2 anni.
Io penso che il mio terapeuta sia anche troppo ottimista, e che la percentuale reale sia 100%, lui compreso.
Quindi, per quel che mi riguarda, non sono in terapia per poter migliorare a livello relazionale e nei rapporti sociali. Ancor meno per poter avere un domani ipotetiche relazioni di amicizia o sentimentali, perché comunque nessuno mai mi vorrebbe.
Sono in terapia per accettare il fatto che sarò sempre e inevitabilmente sola.
[#13]
Dr.ssa Paola Dei Psicologo, Psicoterapeuta 305 27 9
Grazie per le sue considerazioni e per la sua replica.
Lei ha la sensazione che io le menta?
Io sono sicura di non mentire e quindi è lei che vede mentitori dove non ci sono. Ci rifletta! Riguardo all’altro punto: non si può pensare di vedere il sole quando fuori piove, così come non si può pensare che gli altri vengano a noi quando li respingiamo e ci rendiamo (non siamo) antipatici.
Adattarsi alle esigenze di alcune persone e accoglierle non significa affatto “mentire” o dire “bugie”, significa aver fatto pace con se stessi.
Cordiali saluti
[#14]
dopo
Utente
Utente
Carissima dott.ssa, se lei menta a me oppure a se stessa questo può saperlo solo lei, e francamente non mi interessa più di tanto. Certo è che lei dipinge una realtà edulcorata che non esiste, migliore di quello che di fatto è il mondo reale.
Lei è convinta che mi basterebbe uscire di casa con un sorriso stampato in faccia e come per magia tutti mi accetterebbero e mi vorrebbero bene. Niente di più falso. Come le ripeto, anche se io avessi accettato appieno la mia condizione e non la vivessi come quello che di fatto è (un handicap), tutti gli altri non la accetterebbero, mi rifiuterebbero schifati. Perché la gente ha paura e schifo di chi è malato o diverso, ed è una reazione più che normale.
Vede, per gente come voi normali è tutto semplice. A voi basta essere positivi e accomodanti per essere accettati.
Per quelli come me invece non è così. Io posso essere gentile, simpatica, sorridente, oppure scontrosa, triste, incavolata come una biscia, che non fa alcuna differenza. La gente mi vede brutta, deforme e anormale, e in ogni caso non mi vuole.
Quindi chi me lo fa fare di sforzarmi di far buon viso a cattivo gioco? Per chi dovrei "adattarmi alle esigenze di alcune persone e accoglierle?". Per voi normali? Voi siete normali e io no, voi mi rifiutate e sono io che dovrei preoccuparmi di adattarmi a voi, perché se no "poverini" vi sentite turbati dalla mia anormalità fisica? Quindi dovrei fare finta che sono felice lo stesso per compiacervi e non intristirvi. Si rende conto di quello che scrive almeno?
L'handicappato con "una marcia in più" stile Alex Zanardi o Bebe Vio è solo una maschera che non serve di certo a chi la porta. Serve solo a voi normali per mettervi la coscienza a posto.
Sono antipatica lo so, ma le ripeto che, data la mia condizione, non me ne importa assolutamente nulla.
[#15]
Dr.ssa Paola Dei Psicologo, Psicoterapeuta 305 27 9
Grazie ancora signorina delle sue comunicazioni
Ma quanto scrive non mi appartiene. Perché mi mette in bocca cose che non ho detto né tantomeno pensato? La dicotomia normale-anormale non è un mio modo di pensare e vedere la vita. Ognuno di noi è un diverso in qualche modo, c’è un bellissimo libro del 1971 di Franca Ongaro e Franco Basaglia intitolato La maggioranza deviante. Se ha voglia di leggerlo, lo cerchi. Ognuno di noi purtroppo in certi momenti della vita non rientra nei canoni della normalità e chi svolge il mio lavoro lo sa bene. Chi è normale? Normalità è una parola così abusata. Ci sono persone che hanno un buon carattere, altre che hanno un caratterino per non dire caratteraccio e sono arrabbiate, impaurite, altre ancora sono fuoriose ma lasciano intravedere sprazzi di dolcezza. Quando parlo con lei non mi pongo il problema se lei sia normale o no e ciò che sento è una parte minacciosa e una parte minacciata. Essere diffidenti non è sbagliata come concetto, anzi. Il problema è quando si diventa diffidenti anche della propria diffidenza.
Per questo le ho detto di fare pace con se stessa, poi potrà anche decidere di stare sola. Un vecchio saggio disse: Meglio soli che male accompagnati, ma che sia una scelta non una fuga. Ha mai avuto un cagnolino o un gattino?
Buona notte
[#16]
Dr.ssa Paola Dei Psicologo, Psicoterapeuta 305 27 9
Signorina
Mi sta usando per confermare a se stessa che tutti la rifiutano e cercare di farmelo fare?
Non occorre, non sono la sua psicoterapeuta e lei ha già il suo con il quale si trova bene. Segua quanto saggiamente le ha consigliato la dottoressa Brunialti. Io la devo salutare perché qui non possiamo rispondere troppo a lungo e io le ho già dedicato 4 o 5 risposte, non per mentirle ma per cercare di trasmetterle coraggio e speranza, veda lei poi come interpretare.
Riguardo alla differenza fra emozioni positive e e pensiero positivo Randy Paush é stato maestro in questo e la vita con lui non è stata affatto edulcorata, le allego un link:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3596-tu-chiamale-se-vuoi-emozioni.html

Cordiali saluti
[#17]
dopo
Utente
Utente
Buona sera,
Riapro nuovamente il consulto (per l'ultima volta, promesso) perché... Non saprei nemmeno come dire... ho litigato con il mio terapeuta? Ma in realtà non è nemmeno il termine giusto. Si litiga con persone con cui si ha una relazione alla pari, e non è questo il caso. Insomma, mi sono arrabbiata solo io. A farla breve, durante l'ultima seduta il terapeuta ha approfittato di un mio momento di sconforto, in cui dicevo che le persone non mi vorranno mai perché sono bassa e brutta (su per giù il concetto era quello) per chiedermi quanto fossi alta. Sa che è un punto molto debole, che ho un grosso complesso riguardo all'altezza legato a quello che ho vissuto e alle terapie che ho dovuto fare per crescere durante l'infanzia e l'adolescenza. Sa che è una domanda che nessuno mi deve fare mai. Ma ha insistito per saperlo, nonostante io mi innervosissi sempre di più e mi rifiutassi di rispondere. Ha cominciato a tirare a indovinare, sparando cifre a casaccio, facendomi sempre più arrabbiare, tanto che mi sono ritrovata ad alzare la voce, urlare che la smettesse. Ma niente, è addirittura arrivato a cercare quale sia l'altezza media delle donne italiane, chiedendomi se rientrassi o meno nella media.
A quel punto ho urlato ancora una volta di smetterla, arrabbiatissima (e quando mi arrabbio vado davvero fuori di testa), l'ho insultato e me ne sono andata, anche perché il tempo della seduta era ormai finito. Non gli ho permesso di accompagnarmi alla porta e l'ho mandato a quel paese, ma in termini più volgari. Non contenta il giorno dopo, ancora arrabbiata, gli ho scritto una mail con molti insulti, di cui non vado fiera, ma non mi pento. Se li meritava tutti, e anche di più.
Lui mi ha risposto dicendo che non era sua intenzione attaccarmi ma farmi capire che forse gli altri non mi vedono così come mi vedo io. Va bene, ma quello era un limite da non superare mai, in nessun caso, e lui lo ha fatto fregandosene delle mie reazioni negative. Ho sentito che lui abbia approfittato consapevolmente di quello che è un mio punto debole per attaccarmi, "farmi male". Non riesco più a pensare di continuare la terapia con uno che si comporta in modo così sleale e meschino. Anche se una parte di me sarebbe tentata di cercare di continuare e passare sopra all'accaduto, solo per me, per "sano egoismo" perché vorrei riuscire a stare meglio. Ma di fatto so che non ce la farei, non mi fido più dopo quello che è successo.
Come sempre spero che vogliate darmi un'opinione in merito, anche se mi rendo conto che non bisognerebbe giudicare l'operato dei colleghi.
Vi ringrazio per la disponibilità
[#18]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Gentile utente,

rispondo a questa ultima replica, poi eventualmente apra un nuovo consulto
Il comportamento di uno Psicoterapeuta è sempre dettato da intenzioni terapeutiche,
mai per attaccare.

In particolare, la questione dell'altezza:
Lei aveva posto un divieto esplicito o implicito ma chiaro,
ma probabilmente lui non lo riteneva produttivo per il Suo percorso; è professionalmente legittimo.

Lui ha forzato, Lei si è molto arrabbiata.

Ma solo andando avanti potrà capire se questo passo del terapeuta sia stato del tutto inutile e improduttivo,
oppure se l'arrabbiatura - proprio attraverso la sua potenza - abbia inserito qualche utile crepa nel blindato..

Cari saluti.
Carlamaria Brunialti
[#19]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Grazie del commento, che ho molto apprezzato nel contenuto. Racchiude proprio il senso del nostro "esserci", qui sul blog.

Dopo averLe risposto stavo riflettendo sulla Sua domanda e su quanto avevo scritto io,
non del tutto certa di essere stata comprensibile.

E mi era venuto alla mente questo paragone:
è come quando si va dal medico, e questi,
in una manovra legata alla sua professione,
ci provoca un intenso dolore fisico in una parte del corpo che "già" avevamo segnalato come sensibile;
forse proprio per questo eravamo lì.
E temevamo quel possibile tocco,
non lo avremmo proprio voluto.
E ce ne lamentiamo molto!
Ma lo specialista non poteva farne a meno,
per curare in modo appropriato.

Forse quel doloroso tocco dell'animo
che l'ha così toccata
ha qualche somiglianza.

Saluti cari.
Carlamaria Brunialti
[#20]
dopo
Utente
Utente
Sì dott.ssa, era stata chiara. Diciamo che può essere visto come un "male necessario", questo lo avevo capito e in parte lo condivido. Non condivido però i modi con cui questo argomento per me difficile è stato affrontato, e proprio il fatto che io abbia detto chiaramente che non volevo parlarne, che avevo chiesto più volte di smetterla ma lui abbia comunque insistito, mi fa essere così arrabbiata e al momento non ho intenzione di continuare la terapia con chi non mi rispetta. Ma direi che è opportuno chiudere qui il discorso, anche perché non credo ci sia molto altro da aggiungere. Grazie come sempre delle risposte puntuali.
[#21]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66

Prego.