ansia, demotivazione, paure irrazionali

Salve dottori sono un ragazzo di 23 anni con una vita apparentemente normale (università, lavoro part time, vita sociale, sport), vi chiedo consulto perchè non ho idea di cosa mi stia succedendo. Da 10 giorni mi sento completamente in un altro mondo, un mondo spaventoso che credo di stare alimentando io stesso: ogni mattina mi sveglio con la bocca secca e con la testa sempre bombardata di paure irrazionali di argomenti che MAI nella vita prima d' ora mi avevano dato fastidio. Pensieri che si introducono nella mia testa e che non riesco a gestire, anche se penso ad altro, questi arrivano e mi fanno finire in una spirale di ragionamenti senza senso che non fanno altro che peggiorare la condizione. Penso ossessivamente al futuro, alla vecchiaia, morte, la realtà che mi circonda... mi sento come catapultato in un pianeta che mi è alieno. Cosi tutto il giorno fino a sera, quando verso le 20 inizio a sentirmi piu rilassato e riesco a gestire meglio il flusso di pensieri. Sono giorni in cui cerco sempre rassicurazioni da parte di amici e famiglia, cerco di passare il minor tempo possibile da solo a casa perchè credo di impazzire da un momento all'altro. Quando questo non mi è possibile, fuggo a fare qualche kilometro di corsa o del nuoto in piscina, e noto che dopo l' attività le condizioni migliorano.... temporaneamente. So per certo che può trattarsi di un disturbo di panico o di stress eccessivo, al cambio di stagione mi sono sempre sentito peggio.. ma questa volta non ha proprio senso. Sento di perdere il contatto con la realtà. So che la risposta più intelligente sarebbe quella di visitare uno psicologo, sono però molto costosi e ho paura di non trovarne uno troppo competente. Ma di sicuro se questi sintomi dovessero perdurare ancora una settimana, ci corro senza dubbio. Nell' immediatezza, volevo da voi dottori un consiglio su di cosa possa trattarsi, se è comune nei pazienti ansiosi... insomma se non è niente di cosi troppo serio. Ho bisogno di aiuto, grazie non vorrei che si cronicizzasse. Buona giornata
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Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Gentile utente,
far esperienza di pensieri intrusivi negativi è un fenomeno comune e di per sé non patologico. Qualche tempo fa scrissi su Medicitalia.it un articolo proprio relativo alla paura e all’ansia di perdere il controllo e impazzire che tratta proprio queste tematiche. Qualora trovasse di suo interesse la lettura, potrà consultare l’articolo al seguente indirizzo:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/2442-paura-ed-ansia-di-perdere-il-controllo-o-impazzire.html

In aggiunta, le posto una breve psicoeducazione sull’ansia e la paura che penso potrà trovare di interesse per meglio comprendere questi fenomeni:


CHE COS'E' L'ANSIA

Benché non esista una definizione unanimemente condivisa del fenomeno dell'ansia, sembra possibile parlarne come di uno stato più o meno prolungato del nostro organismo durante il quale la persona si preparerebbe a fronteggiare una minaccia preventivata. Ciò significa che l'ansia trova la sua espressione in assenza del pericolo, in quanto processo psico-biologico funzionale a prepararci alla futura comparsa di un evento temuto. In virtù di questa sua specifica funzione preparatoria, l'ansia esprimerebbe un fenomeno normale, descrivibile nei termini di aspettativa di un evento potenzialmente pericoloso per la nostra sopravvivenza o per il raggiungimento di un obiettivo che avvertiremmo come rilevante per il nostro equilibrio psicofisico. La sua natura preparatoria si manifesterebbe in un'attivazione moderata del nostro organismo, e avrebbe la funzione specifica di sostenere ad un livello psico-biologico i comportamenti che nel corso della nostra storia evolutiva ci hanno permesso di garantire la nostra sopravvivenza e il nostro benessere: l'attacco o la fuga. Ad esempio, incrementando la velocità del battito cardiaco, il nostro organismo si predisporrebbe a velocizzare lo spostamento del sangue dagli organi interni ai muscoli, attraverso una specifica azione "idraulica" a livello dei diversi distretti vascolari, permettendo in tal modo che alla nostra muscolatura arrivi il giusto quantitativo di ossigeno per innescare le contrazioni utili al movimento; ancora, la modificazione della respirazione agirebbe da supporto all'incremento della richiesta di ossigeno, in vista nel suo futuro utilizzo nell'attività muscolare, etc. Tale attività interna non sarebbe tuttavia particolarmente intensa, in quanto la sua funzione sarebbe puramente quella di prepararci alla comparsa della minaccia, al fine di risparmiare tempo prezioso e farsi trovare già pronti per fronteggiare il pericolo. Ciò significa che ogni qual volta ci trovassimo in una condizione d'ansia, sarebbe più facile innervosirsi (rabbia difensiva) o spaventarsi (paura) per eventi di per sé neutri, proprio in quanto il nostro organismo si starebbe mantenendo in una condizione di vigilanza ed allerta, di preparazione all'arrivo del pericolo. Si immagini i soldati a difesa di un forte, pronti ad accogliere l'arrivo degli invasori stranieri; il loro stato interno non potrebbe non essere di tipo ansioso, in quanto l'assenza di questa dimensione sarebbe loro utile a combattere il nemico in chiave difensiva. Non a caso nel noto telefilm "Il trono di spade", nel dialogo tra due personaggi principali emerge il tema del coraggio connesso a quello dell'ansia, qui confusa con l'emozione di paura:

Bran: « È possibile che un uomo che ha paura possa anche essere coraggioso? »
Eddard Stark:« Possibile? Bran, è quella l'unica situazione in cui si fa strada il coraggio ».


CHE COS'E' LA PAURA

A differenza dell'ansia, la paura si manifesta sempre e soltanto in presenza di uno stimolo da noi ritenuto pericoloso per nostra sopravvivenza. Essendo strettamente vincolata ad un primario ed automatico processo di valutazione dello stimolo, la paura potrebbe manifestarsi nei confronti di qualsivoglia evento. Non solo verso ragni, serpenti, sangue, ferite, coltelli, etc., ma sarebbe possibile provare paura anche per emozioni intollerabili (es., tristezza), per sensazioni interne sgradite (es., battito cardiaco accelerato, respiro affannoso, etc.), per pensieri sgradevoli (es., "Potrei avere un incidente in macchina"), etc., a seconda del modo con cui si starebbero interpretando questi stimoli interni o esterni. Nel complesso, la paura non esprimerebbe che l'esito di questa primaria fase di interpretazione, un processo che avverrebbe in tempi così rapidi da non richiedere il coinvolgimento della nostra coscienza, e che ci esporrebbe unicamente al suo prodotto finale: il vissuto di paura da noi tutti conosciuto. Tale vissuto esprime quindi la risposta ad un processo avvenuto in modo silente dentro di noi, un processo rapido ed immediato, risultante nella paura, emozione innescata dal nostro organismo per rispondere alla presenza dello stimolo minaccioso. Non è importante che l'oggetto in questione sia realmente minaccioso. E' sufficiente che la nostra mente lo interpreti come tale perché si inneschi l'emozione di paura, descrivile per motivi di studio lungo tre piani distinti: un piano cognitivo (es., "Un serpente velenoso! Potrebbe mordermi!"), un piano fisiologico (es., incremento sudorazione, incremento battito cardiaco, incremento velocità del respiro, etc.), ed un piano comportamentale (es., tendenza a fuggire). Mentre negli animali l'innesco dell'emozione si associa alla messa in atto di un comportamento instintivo predeterminato filogeneticamente (attacco o fuga), negli esseri umani le più ampie capacità di ragionamento permettono un controllo ed un'inibizione di questi impulsi interni, che si manterrebbero come tendenze istintuali all'azione. Ciò comporterebbe che in presenza di un evento valutato come minaccioso, tutti noi avremmo la possibilità di ridurre l'emozione di paura innescata in modo pre-riflessivo ed automatico ri-valutando l'evento come non minaccioso, operazione spesso più semplice a descriversi a parole che non a realizzarsi nei fatti, specialmente se abituati a non gestire le nostre emozioni mediante il ragionamento e a lasciare che le tendenze comportamentali si manifestino in modo conclamato nell'azione. Un'ulteriore caratteristica che differenzia la paura dall'ansia è la sua intensità: mentre l'ansia non attivando eccessivamente l'organismo potrebbe mantenersi prolungata nel tempo, dissipando le nostre energie lentamente, la paura si assocerebbe ad un'intensa attivazione del nostro organismo, e come non potrebbe mantenersi se non pochi istanti (solitamente pochi minuti). Tale è ad esempio l'attacco di panico, definita come il culmine dell'esperienza di paura. Quello che accade nella realtà dei fatti è spesso un connubio di emozioni di paura che seguono o vengono precedente da stati di ansia.

STATO PROLUNGATO DI ANSIA (es., "Da un momento all'altro potrebbe comparire quell'orribile scarafaggio")
RAPIDA RISPOSTA DI PAURA (es., "Eccolo, è disgustoso!")
RITORNO NELLA CONDIZIONE DI ANSIA (es., "Oddio è volato via. Sarà uscito fuori? Forse è ancora nei paraggi, potrebbe ritornare!")

oppure

RAPIDA RISPOSTA DI PAURA (es., "Il cuore sta battendo all'impazzata, sto per morire!")
STATO PROLUNGATO DI ANSIA (es., "Ho avuto un attacco di panico, potrei averne un altro da un momento all'altro, devo andarmene di qui!"



DA DOVE DERIVA L'ANSIA

Della paura già si è accennato nella sezione dedicata, dove è stata definita come una risposta innescata da un processo della nostra cognizione deputato a valutare ogni stimolo con cui avremmo modo di interagire. Discorso diverso dovrebbe essere compiuto con l'ansia, in quanto, come specificato di sopra, tale stato interno emergerebbe in assenza dello stimolo minaccioso, essendo per l'appunto funzionale a prepararci alla sua futura comparsa. Ciò detto, possono tuttavia essere presenti stimoli interni esterni che attivano l'ansia. In che modo? Ricordando alla nostra mente che la loro presenza ha spesso comportato la successiva presentazione dell'evento temuto. Un classico esempio di stimolo esterno è la musica presente nelle scene di suspance di molti film horror che, informandosi della futura comparsa di un'immagine agghiacciante, ci predispone all'allerta e rimanere vigili verso lo schermo (si noti come il chiudere gli occhi o il girare lo sguardo dallo schermo esprime per l'appunto la "fuga" dall'evento temuto; diversamente, dire tra sé e sé che sarebbe soltanto un film esprimerebbe la rivalutazione di cui si sarebbe accennato di sopra). Diversamente, un esempio tipico di stimolo interno è l'incremento del battito cardiaco o della frequenza del respiro per chi soffre di Disturbo di panico; in quest'ultima circostanza, essendo questo stimolo interno occorso durante un precedente attacco di panico, la persona avrebbe appreso ad associare i due eventi, entrando conseguentemente in uno stato di ansia alla semplice percezione di una variazione nel proprio stato fisiologico interno. Tali esempi mettono bene in evidenza come l'ansia esprima un processo che sfrutta i nostri apprendimenti (ricordi, convinzioni) per esprimersi nel momento presente, preparandoci ad affrontare un evento futuro minaccioso. Come tale, la sua "origine" potrebbe essere rintracciata nella storia dei nostri apprendimenti: ad un livello potenziale, ogni evento negativo che avremmo sperimentato potrebbe portarci a vivere uno stato transitorio di ansia, nella misura in cui avessimo associato a questo evento uno stimolo occorso poco prima della minaccia. Ad esempio, l'odore dell'alcol utilizzato per medicare le ferite potrebbe "allarmarci" in modo inconsapevole, proprio in quanto associato al bruciore provato quando da piccoli ci veniva passato nelle ferite procurate giocando all'aria aperta.


QUANDO L'ANSIA E' PATOLOGICA

Termine spesso abusato nel campo psicologico, la patologia d'ansia emergerebbe laddove questo particolare stato interno fosse (1) troppo intenso, (2) troppo prolungato, (3) troppo compromettente la nostra vita quotidiana. Il "troppo" sarebbe imputabile tanto a fattori oggettivi che soggettivi. Ad esempio, un'ansia eccessivamente intensa, prolungata nel tempo e compromettente il proprio equilibrio sarebbe tale ad un livello oggettivo semplicemente se fosse superiore a livelli comunemente riportati dalle persone appartenenti allo stesso genere, alla stessa fascia d'età e alla stessa cultura o sotto-cultura di riferimento. Tali indicazioni sarebbero ricavabili attraverso l'utilizzo di test standardizzati o attraverso il ricorso a misurazioni psicofisiologiche (es., elettrocardiogramma, elettroencefalogramma, elettromiogramma, etc.). Al contrario, l'ansia starebbe eccessiva ad un livello soggettivo semplicemente se la persona la ritenesse tale in uno o più dei tre criteri sopra citati. Nella maggioranza dei casi la diagnosi di disturbo d'ansia non può essere compiuta se la persona non ritiene eccessiva la propria ansia.

Dr. Alessio Congiu
Psicologo-Psicoterapeuta
T. +39 345 465 8419
alessio.congiu@hotmail.it
alessiocongiupsicologo.it

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dopo
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Grazie mille dottore per la risposta e per i testi citati che ho trovato molto interessanti. Sono molto preoccupato perchè vedo che ogni giorno (da 10 giorni) questa mia condizione è il primo pensiero al mattino e uno degli ultimi la sera. Il tutto cosi improvvisamente, mai sofferto di nulla in passato. La mia paura è che potesse cronicizzarsi e non riuscire più a riprendere in mano la mia vita. Starò sicuramente ingrandendo le cose, ma in questo momento non mi capacito di capire come io possa tornare indietro. E' come se avessi aperto una porta che non posso più chiudere, e sono molto spaventato. Esiste qualche correlazione tra cambio di stagione (primavera in questo caso) e aumento dei picchi di ansia, agitazione e nervosismo? Forse una questione di luce?
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Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Gentile utente,

potrà forse trovare sollievo nel sapere che effettivamente vissuti di intensa paura (es., esperienze di panico) tendano a presentarsi maggiormente in periodi più caldi, in quanto associati ad una maggiore attivazione del nostro organismo. Questa, tuttavia, non è l'unica, ne tanto meno la più esplicativa tra le ipotesi che potrebbe essere rintracciata per spiegare il vissuto di intensa ansia che starebbe vivendo. In simili circostanze, proprio in un'ottica preventiva come lei indicava nel commento, potrebbe essere più utile compiere una valutazione specialistica, al fine di poter meglio comprendere il suo caso specifico, evitando al contempo che da una normale condizione di ansia possa andare a strutturarsi un disturbo d'ansia vero e proprio, di certo trattabile con interventi psicologici e/o farmacologici, ma per sua natura poco gradevole e soprattutto evitabile con più semplici accorgimenti atti a gestire in modo più sano ed equilibrato l'ansia e i pensieri intrusivi che starebbe vivendo.
[#4]
dopo
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Grazie dottore. Permetta la domanda forse banale: quanto tempo è possibile aspettare prima che sfoci in qualcosa di peggio? Nel senso, io soffro da dieci giorni, se ne aspettassi altri dieci per esempio, senza avere il minimo miglioramento, sarebbe già troppo tardi?
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Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Difficile offrirle una stima, dato lo stretto confine esistente tra "normalità" e "patologia". Consideri ad esempio che in molti casi per poter compiere una diagnosi attendibile sarebbe necessario un periodo di almeno 2 settimane con specifici sintomi, mentre in altri casi è necessario un periodo di tempo prolungato, anche di diversi mesi. L'invito sarebbe in generale quello di rivolgersi ad uno specialista per evitare che tentativi autonomi di risoluzione del proprio problema ottengano piuttosto l'effetto contrario. Spesso infatti sono proprio questi ultimi a dilatare i tempi della terapia. Ad esempio, una persona con forti sensazioni di panico, allarmata per questi vissuti, potrebbe decidere autonomamente di evitare tutti i luoghi in cui fosse solita sperimentare questa intensa sensazione di paura, finendo con questo per passare progressivamente da una normale condizione di panico, di per sé non patologica, ad un disturbo di panico vero e proprio. Discorso analogo può essere compiuto per i pensieri di perdita del controllo: se la persona iniziasse ad evitare ogni situazione in cui ritenesse fosse più probabile l'insorgenza di queste pensieri, confermerebbe con tal gesto la convinzione impropria di perdita di controllo, accrescendo conseguentemente i livelli di ansia e predisponendosi ad un maggior numero di evitamenti in futuro.

L'aspetto problematico è che le persone non sanno quali siano i comportamenti che possono aggravare o ridurre il proprio disagio nel lungo periodo. Le faccio notare, ad esempio, che la preoccupazione che ha espresso in questo commento che questi vissuti di ansia possano cronicizzarsi esprime in se stessa una forma di ansia, non necessariamente patologica. Nel richiedere una consulenza, lei di fatto ha compiuto un comportamento che tipicamente si associa alla sperimentazione dell'ansia: la ricerca di rassicurazione circa il proprio vissuto. Se quanto da me scritto assolvere l'effetto per il quale immagino abbia richiesto tale consulto, ossia essere tranquilizzato, è plausibile ipotizzare che (a) non si rivolga in futuro ad uno specialista, (b) in presenza di un nuova preoccupazione sia spinto a ricercare nuovamente una forma di rassicurazione, qui come altrove, venendo meno un aspetto centrale nella gestione dell'ansia: la padronanza personale dei propri vissuti emotivi. Da qui il motivo dell'importanza di rivolgersi ad uno specialista appositamente formato per gestire l'ansia e i suoi derivati, anche e soprattutto per ricevere informazioni utili per gestirle simili vissuti, prevenendo ora ed in futuro complicanze più strutturate
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