Università, dove/cosa sto sbagliando? Cosa mi è successo?

Gentili Dottori, descrivo la mia situazione che forse avrete sentito mille altre volte da altre persone, ma io mi sento nella confusione più totale.
Studio Medicina, primi 3 anni impeccabili, in corso, esami tutti superati alla prima e media del 29,5 (questo solo per dimostrare che il problema in principio non lo avevo, e che quindi non mi sentirei di pensare che ho avuto difficoltà nel passaggio dal liceo all'università).
Poi problemi familiari, mi blocco e nulla torna come prima. Ho imparato a convivere con l'instabilità familiare, ma lo studio è un disastro.
Sono diventata ancor più lenta di prima, perfezionista al limite del maniacale, insicura, faccio estrema fatica a organizzare gli argomenti e a cogliere il necessario e a lasciar andare il superfluo, uno sforzo indecente per memorizzare, rimango concentrata per 2 ore e poi mi sento subito mentalmente e fisicamente uno straccio. Sono quotidianamente afflitta pensando al mio stallo, ad ogni pagina mi perdo in pensieri del tipo "allora se faccio questo esame in questa data... poi finisco questo blocco di esami entro questo anno e se tutto va bene mi laureo entro tot", un pensiero continuo, perenne. Studiare tutto un programma è per me diventato un supplizio perché cerco nel ripasso spasmodico la tranquillità di "sapere le cose" il che mi porta a non finirlo il programma perché non aggiungo ciò che di nuovo mi manca... quindi salto gli appelli, quindi mi deprimo, quindi rifaccio tutti i calcoli, quindi scala tutto ancora di mesi e così via. Per fare un esame ci metto mesi, poi prendo 30 ma a quel punto sono così afflitta dal tempo speso, che il voto positivo non mi tange nemmeno.
A questo punto penso a chiunque sorgerebbe spontanea la domanda se è questo il percorso che vorrei fare, la risposta è sì perché, ed è qui che io proprio non riesco a capire il motivo, in reparto va tutto estremamente bene, anzi, in genere rispetto ad alcuni degli altri studenti mi integro velocemente con le equipe, mi rendo conto di sapere discrete cose in più , sono molto più pratica e concreta tralasciando le inutilità, riesco ad essere semi-autonoma guadagnandomi velocemente la fiducia dei Medici, insomma quando sono in reparto è una meraviglia, sono felice, mi sento efficace, mi sento concreta. Il problema è che devo arrivare alla laurea e così temo di non arrivarci mai.
Faccio presente che mi sono rivolta ad un Professionista anni fa, ma il problema non si è risolto, è pressoché invariato.
Ringrazio anticipatamente nel caso qualcuno di Voi volesse aiutarmi almeno nel capire se ho ragione di pensare che qualcosa non vada.
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Dr. Magda Muscarà Fregonese Psicologo, Psicoterapeuta 3.8k 149 11
Gentile utente, Lei ci ha parlato , al volo, di ‘problemi familiari’ .. mi domando se in questo suo perfezionismo, in questo continuo rileggere, rivedere,magari fare schemi perfetti, non ci sia un eccesso di paura dell’autorita’, dei professori per un verso, di una figura genitoriale per l’altro.. Dovrebbe imporsi di non perdere gli appelli, ed anche di chiedere un aiuto al suo medico di base, per allentare l’ansia con cui studia , disperatamente.. Ho visto e seguito parecchi casi come il suo, ora felicemente laureati.. non pensi di dovercela fare da sola senza un minimo aiuto chimico.. in guerra come in guerra, suvvia, Lei mi sembra molto motivata, il che e’ Il prerequisito di tutti i successi..Coraggio, si dia aiuto..! Ci riscriva.. restiamo
In ascolto..

MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it

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dopo
Utente
Utente
Gentile Dottoressa Muscarà Fregonese, intanto la ringrazio per l'interessamento e la celere attenzione.
I problemi familiari su cui ho sorvolato sono le più classiche incompatibilità di coppia, che diventano poi approcci genitoriali abbastanza discutibili, il tutti però ad un grado di astio, frizione, rabbia, litigi, spregi, situazioni verbalmente violente al limite dell'umana possibilità di sopportazione (almeno la mia). Sono figlia unica, da sempre tirata nel mezzo, da sempre in balia dei reciproci sfoghi dei miei genitori, da sempre in mezzo a urla, rivendicazioni, scene psicotiche, momenti (e persone) che arriverei a ritenere disforici. Ci sono cresciuta dentro insomma e ho trovato comunque il mio posto nel mondo, sempre brava a scuola, mai marachelle importanti, finalmente l'università in cui e di cui mi sentivo appagata, felice, orgogliosa, in cui ho sempre riversato tutto il mio impegno. Poi la situazione a casa è peggiorata, con scelte che hanno avuto ripercussioni su tutti, se di me in ambito universitario. Come se si fosse rotto un equilibrio che, anche se precario e basato su fondamenta assolutamente negative, riusciva a garantire a tutti la persecuzione dei propri obiettivi, perché di fatto si trattava di una condizione vissuta da sempre, una, seppur distorta, "normalità". A fronte di cambiamenti drastici abbiamo tutti "perso il nord", io per prima. Adesso faccio fatica a distinguere la causa, dalla risoluzione del problema, non capisco se devo lavorare nell'accettazione delle cose o se devo lavorare in modo diverso sui libri. Insomma mi sento annebbiata e confusa, non capisco nemmeno da dove iniziare.
Ho pensato molte volte alla considerazione che ha fatto lei, in merito alla paura dell'autorità dei miei professori o dei miei familiari, ma onestamente fatico a capire come possa esistere questa, quando al cospetto di Medici di reparto (dove insomma si fa sul serio) non nutro alcun tipo di preoccupazione, anzi, mi butto, non ho paura di sbagliare e come tutti sbaglio, accetto la realtà di essere l'ultima ruota del carro e che quindi debba essere la mia natura quella di imparare e sbagliare, provare, imparare e sbagliare, ma è una situazione che vivo nel più totale benessere mentale (per rendere l'idea, in passato quando a casa le cose degeneravano o sentivo un senso di vuoto incolmabile o una insoddisfazione estrema verso la mia persona, me ne andavo a fare le notti in pronto soccorso, 12 ore, varcavo la soglia e dimenticavo tutto).
Poi però devo andare agli esami e mi trovo in mezzo a dei veri attacchi di panico (tachicardia, cardiopalmo, sudorazione, inappetenza, sensazione di svenimento, vertigini).
Vivo questa ripartizione bicompartimentale della mia vita, i libri e il reparto e non mi capacito di come mi possa sentire ed essere due persone tanto diverse.
Mi preme finire, voglio arrivare in fondo, ho bisogno di vedere anche dei minimi miglioramenti, perché poi alzo la testa e vedo anche i miei amici (amicizie decennali) progredire nei loro percorsi, umani, relazionali e professionali e mi sento ancora peggio, ancora più immobile.

Grazie ancora qualora volesse leggermi.
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Dr. Magda Muscarà Fregonese Psicologo, Psicoterapeuta 3.8k 149 11
Carissima, la questione e’, mi
permetto di insistere, che all’esame quel Professore ha potere decisionale sulla sua vita, così lo vive lei.. di li’ bisogna passare.. in reparto tutto può essere spiegato, discusso, c’e’
un rapporto umano anche di stima e tutto , anche un rimprovero, può prendere un colore diverso, non c’e’ niente di definitivo.. l’esame con le sue liturgie la rende .. piccola.. tira fuori la bambina spaventata che è stata, quando non sapeva bene cosa fare, come fare.. non permetta, la prego, questa coazione a ripetere .. cinicamente, pragmaticamente , pensi che un antiansia mirato
ben scelto, puo’ perfino chiedere li’ in reparto..la rende libera di diventare lo splendido medico che c’e’ dentro di Lei, di essere utile e più felice.. Spero che mi ascolti..