Psicoterapia, separazione estiva, alleanza terapeutica

Buongiorno a Voi tutti; non é difficile vedere il numero dei miei ultimi consulti.. Ho bisogno di chiedere e capire una cosa: vorrei approfittare di questa separazione estiva (dunque sospensione delle sedute) per vedere come mi trovo con un altro terapeuta, magari donna; ma ho paura di peggiorare la mia situazione, magari cadendo in confusione e distruggendo definitivamente il già fragile rapporto con il mio terapeuta. Già penso che scrivere sul sito sia espressione di disagio; a volte faccio il parallelismo del rapporto che ho con il mio terapeuta con quello che potrei avere con un uomo a livello sentimentale e che -penso- dovrebbero entrambi fondarsi sulla fiducia e, per taluni aspetti, sulla esclusività ed io, in qualche modo, forse, ricorrendo a Voi sto tradendo virtualmente cosí come andrei a tradire -piú da vicino, se approfittassi di questa separazione estiva per cercarmi un altro con cui trovarmi meglio (un po' come chi, stando in coppia, prima di lasciare il partner si attiva di trovarne un altro; non so se mi spiego).
Ed ancora, un' altra cosa che mi impensierisce é che il terapeuta a cui mi rivolgo possa conoscere l'attuale; so che esiste il segreto professionale, ma é vero anche che tra colleghi si parla.
Se potete aiutarmi a chiarirmi le idee, Vi ringrazio.
Cordiali saluti
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Dr. Adriano Carità Psicologo, Psicoterapeuta 56 2
Cara utente


Non ho avuto modo di leggere i Suoi ultimi interventi nel forum, quindi la mia risposta del consulto verterà esclusivamente solo su questo intervento.

Il "tradimento" che descrive, mi dà a pensare al fatto che Lei non ne abbia parlato al Suo terapeuta. Mi chiedo come mai questo rapporto col suo attuale psicologo sia così fragile, come lo ha definito Lei. Mi pare di notare un'ambivalenza di fondo che ha come temi il trovare una nuova relazione (d'aiuto), il mantenerne una traballante e il cercare di non fare torto a nessuno uscendo senza danni.

Le vorrei porre un paio di domande. Si è mai trovata in una situazione analoga fuori dal contesto della psicoterapia? E, se sì, come l'ha gestita?

La seconda domanda invece riguarda la nuova consultazione. Lei che obiettivi si è posta per questo nuovo consulto con il secondo collega? Che aspettative ha a riguardo?

Un saluto cordiale e buona giornata.

Dott. Adriano Carità
Psicologo, psicoterapeuta
Perfezionato in Psicologia Clinica, Counselling e mindfulness

[#2]
dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Grazie dott.Carità per la Sua risposta e il Suo intervento.

In verità di questo traballante rapporto con il mio terapeuta se ne parla da sempre; io dico di non sentirmi capita, a mio agio, di subirlo e lui ricollega tutto questo alle mie problematiche (quindi avrei questi stessi problemi anche con un altro terapeuta, salvo non trovarne uno che collude con le mie parti disfunzionali).

Rispetto a miei rapporti sentimentale, non ne ho molta esperienza (fallimentari e di poca durata- vengo scaricata -); per quel che può valere, tuttavia, direi che sono una che persiste in un rapporto anche se non soddisfatta, sperando che si riesca a venire incontro, capirsi e far evolvere il rapporto.

Con il fantomatico nuovo terapeuta vorrei risolvere i miei problemi; vorrei sentirmi capita, vorrei capire di più, vorrei non pensare che chi mi aiuta abbia un pregiudizio nei miei confronti.

Grazie, un cordiale saluto anche a Lei
[#3]
dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Ho sicuramente dei problemi, ma le domande che mi sono state poste mi paiono fino a se stesse, data la mancanza di feedback a seguire.
Cordiali saluti
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Dr. Adriano Carità Psicologo, Psicoterapeuta 56 2
Gentile utente


Vorrei comprendere meglio una cosa. Lei ha parlato del rapporto traballante col Suo attuale psicoterapeuta, del fatto che potrebbero ripresentarsi gli stessi problemi con un altro terapeuta, che non si sente capita da quello attuale e che questo rapporto difficile potrebbe non presentarsi se il nuovo psicoterapeuta colludesse con queste parti di Lei che Le fanno volere un certo tipo di relazione terapeutica, ho compreso bene?

Non credo che il Suo terapeuta Le remi contro, anzi... La psicoterapia spesso non è facile e penso che se al momento abbia insistito a lavorare queste tematiche lo abbia fatto con ragionevolezza e buonsenso.

Vorrei capire meglio una cosa, prima di proseguire. Potrebbe descrivere il più accuratamente, per quanto possibile su un forum, le caratteristiche che cercherebbe in uno psicoterapeuta che La faccia sentire capita, che La faccia sentire a Suo agio e che non subisca?

Buona serata.
[#5]
dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Buongiorno dott. Carità,
mi sono espressa male; a dire che con un altro terapeuta avrei gli stessi problemi che ho con il terapeuta attuale, salvo non trovarne uno che collude con le mie disfunzioni, é stato il mio terapeuta attuale.

Per quanto riguarda la descrizione che mi chiede riguardo le caratteristiche di un terapeuta che mi faccia sentire capita etc etc non sarebbe facile neppure via a vis; ci provo. Con il mio, non poche volte, penso sia troppo duro nel dirmi le cose o nel rispondermi, pensando che le stesse cose potrebbe dirle in un altro modo. Oppure gli ho detto che, a volte, per me é confusorio e l'effetto é che non mi ha tolto questa sensazione. Ed ancora -riguardo il sentirmi che lo subisco: sono lenta ad esprimermi, a elaborare, a ordinare tutto quello che ho dentro, lui, che questi problemi non ha, che ha una vita normale e tutto ciò che io non ho, prevale su di me, non si mette da parte (lui dice che non può essere lui a seguire il mio metodo ma devo essere io; che é il paziente che si rivolge al medico e non il contrario; che io il suo stile ormai so quale é. /Un'altra volta, per altri argomenti, mi disse che adattarsi non fa bene. /Quindi? Per me questo anche é confusorio)

P.s. : e se stessi usando male questa separazione estiva, cercando un altro terapeuta? Se questa mia ricerca stesse alimentando la mia tendenza ad annullare?
P.p.s.: quale sarebbe il modo giusto di usare una'separazione' (della terapia)?

Mi scusi il fiume di quesiti interlocutori.

La ringrazio, un cordiale saluto
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Dr. Adriano Carità Psicologo, Psicoterapeuta 56 2
Buongiorno


Parto dalle ultime due domande. Sa qual è il momento più produttivo e interessante della psicoterapia o dell'analisi personale? Quello che inizia dalla fine dell'ultima seduta e finisce all'inizio della prossima.

Le dico questo perché molte persone sono convinte che il processo psicoterapico sia come un viaggio che procede per tappe su una mappa: si immagini di programmare un viaggio lungo una certa città o regione o Paese. Lei può segnare nella mappa delle X sui luoghi che vuole conoscere e si prefigge di visitare per metterli in evidenza. Il rischio maggiore è "ridurre" la vacanza al mero obiettivo di visitare quei luoghi: sì, sono importanti e interessanti, ma la fatica, le brutte esperienze, le volte che si è persa per strada, le volte in cui l'ha ritrovata, in cui ha fatto conoscenze interessanti, le volte in cui ha trovato piacevoli e inaspettate sorprese è quello che "colora" il tutto... Il viaggio è tutto quello che può abbracciare dall'inizio alla fine, da un giorno all'altro, da una meta all'altra.

E questo è il pellegrinaggio di chi ha la bellissima opportunità di svolgere una psicoterapia, un viaggio dentro di sé che può essere meraviglioso. Rendendo ancora più esplicita la metafora di prima, un trattamento psicologico deve essere come una bussola, che dà una direzione in cui avviarsi, non come un GPS che dà la posizione esatta: sta nella responsabilità e nella libertà della persona che intraprende il viaggio il come vivere questo viaggio e il cosa farci; insomma, quello che si porta a casa. Chi vive la psicoterapia "dall'inizio della seduta alla fine di essa aspettando la prossima", rischia di non vivere pienamente questo viaggio e di derubricarlo. Anche perché si arriva in psicoterapia per motivazioni che hanno a che fare con la vita al di fuori di essa ed è proprio grazie ad essa che si ottengono risultati al di fuori della medesima. Chi non utilizza quanto appreso dalla psicoterapia al di fuori di essa è un po come chi compra un'ottima bottiglia di Barolo per un risotto e il resto della bottiglia non lo utilizza, non lo beve o addirittura lo butta via (il paragone culinario, in questo caso mi sembra azzeccato e di facile comprensione).

La psicoterapia, inoltre, può rivelarsi un'insidia quando si utilizza come vantaggio secondario, ossia, per esempio, quando un paziente che ha una vita insoddisfacente e la psicoterapia è l'unica cosa appagante che ha nella sua esistenza. E, per quanto possa andare bene ed essere anche soddisfacente sia per il paziente che per lo psicoterapeuta, non dà risultati ottimali perché l'esperienza che si fa in quello stanzino non viene utilizzata al di fuori di esso.

Anzi, paradossalmente, quando una psicoterapia è difficile, quando si trattano temi duri e dolorosi, potrebbe essere molto più produttiva di periodi di stallo in cui tutto è tranquillo.

A tal proposito, potrebbe c'entrare con la situazione che ha descritto riguardo la Sua situazione in psicoterapia. Di solito ci si rivolge ad uno psicologo in extremis, quando le cose non vanno più bene, quando qualcosa nella propria vita non va (lavoro, relazioni, famiglia, ecc.). Insomma quando ci si sente a pezzi. Il paziente è una persona sofferente, a pezzi: ci sono tante parti di questa persona che esprimono la sua complessità e che soffrono, altre che lottano per non venire inglobate nella sofferenza, altre a cui, invece, va bene quella sofferenza, altre che vogliono punire a tutti i costi la persona, altre che remano contro un cambiamento positivo, ecc. Ma di tutte queste parti, lo psicoterapeuta deve allearsi con quella più sana, quella che soffre e che vuole uscire da questa situazione, quella che ha la forza di radunare le parti positive di sé e di poter cambiare quelle "malate" e sofferenti.

Ma allearsi con questa parte sana non è facile, perché ci sono tante forze dentro di sé che remano contro un cambiamento positivo. Alcune di esse possono essere quelle che fanno rifiutare la relazione con lo psicoterapeuta, che la rendono difficile, che hanno dei bisogni incompatibili con la psicoterapia. Per esempio, chi ha forti tratti dipendenti e cerca nello psicoterapeuta un "salvatore miracoloso" con il quale creare un rapporto simbiotico ed esclusivo, potrebbe soffrire nel trovare un terapeuta che cerca di promuovere una sua indipendenza, il tutto perché non cede alla collusione con queste aspettative delle parti sofferenti del paziente.

Le auguro di ritrovare quella fiducia nell'altro che Le consenta di riprendere un percorso duro, difficoltoso, ma soprattutto pieno di soddisfazioni e di positività che che possa farLe prendere consapevolezza della Sua persona e della Sua vita e che rappresenti una direzione positiva da intraprendere per la Sua salute e il Suo benessere.
[#7]
dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Non so cosa aggiungere ad una risposta perfetta come quella che mi ha offerto e La ringrazio di cuore.
Mi ha anche scritto considerazioni e spiegazioni dal contenuto identico a quelle che il 'mio' terapeuta mi ha dato di recente, riguardo l'alleanza con la parte sana (che, misá, non ce ne é molta; ma potrebbe essere argomento di approfondimento a settembre).
Ho molta paura di questo viaggio, anche se sono molti anni che ho iniziato ormai.... Paura, credo, di scoprirmi peggiore di come vorrei essere anche se so che, così, mi sto impedendo di avere una vita (magari anche di questo ne parlerò a settembre con il 'mio' terapeuta).
Ho problemi di fiducia, purtroppo, ma -é vero- li avrei anche in un altro rapporto terapeutico e, allora, grazie dott. Carità per avermi aiutato a spostare lo sguardo rispetto ai momenti più importanti ed interessanti della psicoterapia ed avermi dato una risposta così esauriente.
E grazie per l' augurio, cercherò di farne tesoro.

Buona estate, un caro saluto