Adenocarcinoma del retto

Buonasera,
scrivo per avere un parere nel merito del trattamento post -operatorio di un mio caro, Femmina, età 71 anni, h = 1,58; peso 43 kg sottoposto ad intervento chirurgico per asportazione di un adenocarcinoma del retto moderatamente differenziato della dimensionedi c.ca 6 cm , collocato a 3 cm dallo sfintere, che -per lo sconfinamento oltre le pareti intestinali ha obbligato l'equipe chirurgica ad una colonstomia definitiva con asportazione dell'intero tratto del retto oltre allo sfintere ed alla parete posteriore della vagina. Da quanto in evidenza dall'esame istologico sono risultate intaccate 5 stazioni linfonodali su 16.
Per la tipo e localizzazione oltre che per stadiazione è stato suggerito dall'equipe -per scongiurare recidive - un trattamento adiuvante chemioterapico e radioterapico (inserite clip nella resezione). L'equipe oncolgica però, in considerazione dello stato della paziente e per la sua età ha ritenuto opportuno limitare il trattamento adiuvante alla sola assunzione di xeloda 500,ritenendo inizialmente -dopo il referto TAC tb - di trovarsi di fronte ad una recidiva (recita il referto un"inspessimento del peritoneo" - suturato e trattato con fibrina; e segnala inoltre "piccola formazione in area milza" -presente prima dell'intervento e classificato in quella fase come lipoadenoma) . a distanza di un mese dall'inizio della terapia chemioterapica (3° ciclo xeloda), si è riscontrato il drastico ridimensionamento dei marcatori tumorali (Ca 19.9 = da 198 a 40gg dall'intervento a 14) (CEA = da 10.8 a 40 gg dall'intervento a 8.4 -fumatrice) a fronte di un aumento della fosfatasi alcalina a 358 (ASTRA del 25/05), un progressivo aumento dei globuli bianchi fino a 16.700 (01/06) ed un lieve aumento della bilirubina.
chiedo pertanto:
a) se, dai dati riportati possa escludersi allo stato la presenza di una recidiva
a) se è ragionevole ritenere che, una concomitanza elementi non a conoscenza dell'equipe di radiologia, abbia potuto comportare una errata interpretazione dello stato in essere della malattia;
b) se , in funzione delle condizioni di salute e cliniche della paziente sia possibile o opportuno un trattamento radioterapico della zona trattata chirurgiacamente, e/o modificare la terapia chemioterapica con l'abbinamento di farmaci citotossici ( ferma restante una analisi costi benefici che deve essere necessariamente valutata dall'oncologo che ha in cura la paziente) .
ringrazio anticipatamente per i pareri, e sono disponibile a fornire ulteriori specifiche.
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Dr. Alessandro D'Angelo Oncologo 2.8k 64 17
l'utilizzo del trattamento radiante a scopo adiuvante (post-chirurgico) nella zone pelvica, ha senso solo in fase preventiva.
Quando vi è la comparsa di lesioni secondarie, è più corretto trattare in modo sistemico (cioè permettendo ai farmaci di raggiungere le zone di tutto l'organismo) ovviamente tenendo conto dell'età, delle condizioni genereli e delle comorbidità dei pazienti.
La discesa del marcatore potrebbe essere un indice che non vi sia un errore interpretativo; aspetti la TC di rivalutazione per vedere e valutare i risultati.

Cordiali Saluti
Dr. Alessandro D'Angelo
(email: alessandro.dangelo@grupposamed,com)

[#2]
dopo
Utente
Utente
ringrazio per la immediata e chiara risposta.

provo però a esplicitare al meglio:

il referto Tac TB post operatorio effettuato a 60gg dall'intervento di colonstomia ha individuato inspessimenti nel peritoneo; su tale parte però -sono notizie reperite direttamente dall'equipe chirurgica ma non dettagliate nella cartella clinica- è stato utilizzato, in un intervento successivo dovuto al cedimento delle suture interne, uno strato di "colla biologica"(fibrina?) per garantire la tenuta dei tessuti;

inoltre la lesione di forma oblunga individuata in "area milza" visionata nella tac pelvi pre operatoria , è stata (a torto o a ragione) classificata come "lipoma" e localizzata nel tessuto della milza, pertanto -per il chirurgo - ininfluente rispetto alla diagnosi.

Le mie perplessità sono le seguenti:

1) è possibile che - in assenza di una continuità di informazioni fra il reparto di chirurgia oncologica ed il reparto di oncologia medica- non siano stati interpretati gli inspessimenti del peritoneo dovuti alla presenza di colla biologica non assorbita dall 'organismo come neo formazioni? Possono queste proliferare così tanto ed in così breve tempo da essere visibili al TC; possono essere precedenti ma non essere stati percepiti 60 giorni prima nella esplorazione in fase chirurgica?

2) può la lesione in area milza essere interpretata come formazione benigna autonoma o potrebbe più probabilmente essere una formazione secondaria/metastasi?

3)) può la capacitabina (che -da profano- conosco come inibitore della proliferazione delle cellule) far ridurre così sensibilmente i marcatori tumorali?

in definitiva si può asserire con buona probabilità di trovarsi di fronte ad un fenomeno recidivante e non -viceversa- ad un caso di prevenzione post operatoria? nel primo caso da congiunto eviterei che il paziente (e gli suggerirei) di evitare possa essere sottoposto ad accanimenti talvolta dolorosi come la radioterapia in zona peritoneo-perineo piuttosto che terapie chemioterapiche che ne comportino numerosi fastidi e sofferenze ( e ciò in concordanza con il reparto che l'ha in cura ); nel secondo caso ponderandone col paziente i costi/benefici suggerirei la possibile cura del paziente finalizzata alla riduzione della probabilità di recidiva.

chiarisco che concordo nel voler garantire la miglior qualità di vita al paziente in caso di recidiva conclamata; vorrei però che venisse scongiurata la probabilità di recrudescenza di questa malattia su una persona a me cara - possibile nell'ipotesi di una diagnosi aberrata.

cordialmente
Lettera firmata



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Dr. Alessandro D'Angelo Oncologo 2.8k 64 17
Credo che le sue perplessità troveranno conferme alla prossima TC in quanto se l'ispessimento peritoneale ha subito modificazioni sia d'intensità che di dimensioni, potrebbe essere non legato alla "fibrina" utilizzata dal chirurgo.
In alternativa le suggerirei di eseguire una PET che potrebbe dirimere i dubbi pure sulla lesione surrenalica.
Non so perchè sostiene che vi sia poca comunicazione tra l'area chirurgica e quella medica, in quanto per noi oncologi medici è FONDAMENTALE conoscere (e ce li andiamo a cercare anche noi se per qualche motivo non arrivano) i dettagli di ciò che è stato eseguito nel corso della chirurgia.

Tenga conto che la capecitabina, seppur compresse, è un signor farmaco e tra le altre cose non scevro di effetti collaterali; nella mia esperienza (e non solo mia) ho visto mantenere malattie metastatiche stabili per anni; non lo sotovaluterei.
[#4]
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Utente
Utente
La grazio della immediata risposta (elemento di notevole importanza per i congiunti dei pazienti pur se con prognosi non favorevoli).

meditavo di far effettuare questo ulteriore esame -PET- da Lei consigniato; sostituirsi allo specialista- anche se limitato alla scelta di opportuni esami mi sembra profondamente irrispettoso nei confronti dello specialista: resto un interlocutore- critico ed incline a verificare in parallelo quanto mi viene detto -ma pur sempre un interlocutore; e ciò per fiducia nella scienza medica ed in chi la esercita; decidendo per un esame autonomamente, dovrei riconoscere a me stesso l'esser venuto meno del rapporto di fiducia con il medico che ha in cura il mio congiunto, e trarne le opportune conseguenze.


non posso - per la specificità del caso medico, dettagliarLe i motivi per cui - FATTO ASSODATO- i reparti non si comunicano: mi limiterò a dirLe che ho trasferito in struttura oncologica di altra città il paziente per poterla seguire e accudire al meglio.
ho con me TUTTI i recapiti del chirurgo che ha effettuato l'intervento, quest'ultimo sempre disponibile a fornire anche direttamente i dettagli; ma non mi risulta che l'equipe oncologica lo abbia mai contattato, e non so dirLe se per IPER lavoro (è un reparto -ahimè- oberato da tanti casi medici); fin'ora hanno limitato le loro informazioni a quanto riscontrato nella TC pre operatoria, al referto colonscopico, ed alla storia del paziente.

sono assolutamente soddisfatto della terapia -seppur blanda - adottata: il mio congiunto non lamenta deficit e conduce una vita regolare. se poi -come anche da Lei e dalla Sua esperienza confermato - questo inibitore è così efficace- non posso che esserene ulteriormente tranquillizzato.

La ringrazio per tutti i chiarimenti forniti, oltre che per la sua gentilezza.
Le augugo una buona domenica.
Lettera firmata




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Utente
Utente
Buonasera,
scrivo a distanza di quattro mesi -all'indomani degli esami di rivalutazione - per comunicare che le riscontranze effettuate sugli esami hanno fornito una prognosi ancora più severa rispetto a quanto sospettato dall'equipe oncologica: una piccola lesione di 0,9 mm posizionata nel polmone DX del paziente, giudicata trascurabile nel referto TAC del 01-04-09 relativa alla analisi pretrattamento chemioterapico del paziente( pur riscontrato "a vista" il referto recitava" <<non presenti alterazioni di tipo focale a carico della parenchima polmonare>>), oggi si è rivelato essere una delle numerose piccole lesioni -c.ca 10 - (d< 0,9 cm) presenti in entrambi i lobi polmonari.

andando per gradi:
- ultimato il 6° ciclo di xeloda 500mg a fine agosto, il 10 settembre è stata eddettuata TAC con MC che ha evidenziato la presenza di <<due immagini simil nodulari a carico del lobo polmonare inferiore di dx -diametro max mm 9>> (ma verificata con l'equipe oncologica la presenza anche nella TAC del precedente mese di Aprile, non si è un aumento della dimensione dei noduli in questione);

- il 20 sept effettuata una analisi del sangue (Emocromo + routine)oltre marcatori si riscontrava CEA =18,2; Ca19.9 = 14

- il 25 sept, effettuata la tomoscintigrafia (PET), l'esame forniva come conclusioni la presenza di piccole e numerose aree di accumulo ( evidentemente di dimensione più ridotta di quanto evidenziabili nel referto TAC).

qui i miei quesiti:
riscontrata la presenza di metastasi a distanza, vista la tipologia di lesioni:

a) è auspicabile una azione chirurgica o bisogna ritenere il paziente inoperabile?

b) ferma restante la specificità di ogni singolo caso clinico, può la capecitabina/xeloda arrestare la progressione della malattia? risulta essere come terapia monofarmaco efficace anche sulle lesioni secondarie non locoregionali?( faccio altresì rilevare che nei sei sul mio congiunto ha fatto registrare effetti collaterali controllabili-aumento della bilirubina indiretta )

c) esistono terapie alternative o associabili capaci di fornire risultati migliori in termini di aspettativa di vita? hanno effetti sulla qualità di vita del paziente?


nel ringraziare anticipatamente i riscontri a questa mia, mi scuso per la lapidaria impostazione, dettata dal voler fornire il più ampio e chiaro quadro circa il caso clinico; di contro ogni possibile risposta potrà rivelarsi a me ed al mio congiunto utile per la scelte in merito alla strategia di comportamento più opportuna per favorire la sopravvivenza a questa malattia; ovvero per salvaguardare qualità e dignità di vita durante l'evolversi della patologia.
distinti saluti
(lettera firmata)