Una "cremina" del 1500, per la Sifilide, dal dottor Falloppio

Gabriele Falloppio, nato più o meno nel 1523 a Modena e sicuramente trapassato a Padova il 9 ottobre del 1562, è passato alla storia per aver descritto per primo e con estrema precisione le tube, organi prettamente femminili che collegano l’utero alle ovaie.

La produzione scientifica di Falloppio è effetivamente molto vasta e, rivedendola col senno di poi sorprende un pò come un uomo vissuto meno di 40 anni sia stato capace di tanto. D’altronde la vita media allora era quella.

In ogni caso, qualche anno dopo la sua morte, un editore veneziano, dette alle stampe “Secreti diversi et miracolosi” attribuendo al Falloppio l’aver raccolto moltitudini di rimedi approvati anche da altri medici. Pare ci sia qualche incertezza storica sulla reale paternità dell’opera ma non è questa la cosa interessante quanto il fatto che i tre libri siano un notevole compendio che spazia dalla clinica alla erboristeria con pregevoli note sulla tecnica delle preparazioni farmacologiche e su precisi canoni posologici. Nella figura sopra ne è estrapolato un pezzetto riguardante la Sifilide, il pdf completo è su google libri.

Di sicuro il periodo storico è quello immediatamente susseguente al dilagare della Sifilide in Europa, malattia che gli uomini del tempo chiamavano mal francese lungo l’italico stivale e mal Napolitaine oltralpe, sorvolando sul fatto che forse i responsabili della primigena epidemia fossero stati marinai spagnoli. Il termine Sifilide dopo un po’ superò per praticità politica i campanilismi e le responsabilità oggettive e tuttora è comunemente adottato.

Un’altra cosa che si sa è che i medici del tempo non avevano ancora a disposizione il microscopio per cui facevano una certa fatica a distinguere la Sifilide dallo Scolo, ovvero la Gonorrea, dovendo basarsi sostanzialmente solo sulle manifestazioni cliniche ed è noto che mentre il Treponema pallidum è più o meno sensibile al Mercurio la Neisseria gonorrhoeae non lo è. Dalla lettura del libro salta peraltro immediatamente all’occhio che l’autore ben individuava le differenze cliniche tra le due sciagure descrivendo le gomme, tipiche della sola sifilide.

La descrizione della terapia è molto precisa in specie nella preparazione dei medicamenti rivelando che la professione del farmacista era ancora prerogativa da inventare e che il medico si ingegnava benone nella produzione del farmaco.

La cura inizia con la preparazione di pillole di Ermodatilo e di Fumoterra (Gladiolo e Fumaria, ndr) cui si potevano aggiungere Diagridi (salgemma) qualora il malato fosse stato di costituzione robusta. Tali pillole andavano somministrate dopo il primo sonno. Dato che in funzione del contenuto non c’era da aspettarsi chissà che a parte l’effetto diuretico, andava somministrato quindi ancora Fumoterra, stavolta in sciroppo, con succo di Endivia (radicchio Bianco, ndr) per quattro o cinque mattine.

Fatto questo il paziente doveva essere purgato facendo attenzione a non farlo nei giorni della luna (piena o vuota, però, non è dato sapere) somministrando il catartico beverone un’ora prima dell’alba e lasciando quindi riposare il paziente per un altro paio d’ore (verosimilmente sopra il bugliolo e con discreta colica addominale, ndr).

A questo punto il paziente andava “unto” con una interessante “onzione” su tutte le giunture, dalla testa ai piedi, rigorosamente due ore prima di cena davanti ad un buon fuoco.

La camicia e le lenzuola non andavano cambiati per ben 15 giorni. In tempi in cui gli orinali si svuotavano fuori dalla finestra non sorpende.

 

Molto interessante la frase successiva che recita: lascia stare di ongere quando al paziente viene male in bocca. Intanto sono passati i 15 giorni e si può fare il bagno al paziente con erbe odorose dell’orto usando persino il sapone allo sticados (lavanda ndr), il tutto davanti a un buonissimo fuoco.

Per il male alla bocca ecco pronta la lavanda colluttorio:

Si prenda lattuga, piantaggine, melograno, foglie di rosa e di salice ( tho!), miele rosato, more ed Ossimel (vino dolce speziato), un poco di allume di rocca e si faccia bollire fino a riduzione del volume ad un terzo. Si metta il tutto in un’anfora e si faccia far gli sciacqui al malcapitato che presto, afferma con sicumera l’autore, starà meglio.

Il dolore alle fauci, ndr, è un noto effetto collaterale dell’intossicazione da Mercurio che è il principale ingrediente della “onzione”. Interessante che la formula della stessa sia complicatissima probabilmente per confondere chi eventualmente l’avesse voluta riprodurre o, comunque, per giustificare il probabile costosissimo compenso da richiedere essendo la cura, è scritto, riservata a persone di qualità (si suppone in termini di borsa).

Ben sette tipi diversi di grasso, di maiale, di tasso, anatra muta, gallina, orso, oca e midollo di bue (una strage, in effetti); tre tipi di oli essenziali, di camomilla, di rose e di gigli bianchi; tre i succhi, di verbena , enula e lappazzo. Il tutto bollito in pentola fino a che si siano consumati li sughi a cui andranno aggiunti mastice, mirra ed ossido di piombo. Il bello viene ora dove si spiega come “ammazzare” l’argento vivo per inglobarlo nell’onzione.

In olio di mandorle amare si mettano due o tre grani di sublimato di mercurio usando un catino di terracotta invetrato e, con peston di legno, si mescoli il tutto con ben sei once di argento vivo (170 grammi!) e odori a modo tuo (come ti pare) tra cui è compreso, però, il Laudano.

Aggiunge, l’autore, che in caso siano presenti gomme, queste vanno nettate accuratamente ma non si evince dallo scritto se durante o dopo i quindici giorni nelle stesse lenzuola. L’autore sostiene che con le sue cure ne siano guariti in tanti, molti più che con il “legno”. Si riferisce, con ogni probabilità, al legno di Guaiaco, originario delle Antille, col quale si usava, al tempo, fare un decotto che, oltre la proprietà espettorante, è in grado di far sudare più che copiosamente e che si credeva efficace sulla sifilide.

 

A guardarla col senno di poi, ovvero ai giorni nostri, la cura dimostra, al di là dei contorni necessari a mettere la medicina a ponte tra il mistero e la fattucchiata, una buona conoscenza del “morbo gallico” e della sensibilità al mercurio del Treponema pallidum.

 

Curiosi, in effetti, sono i tempi di somministrazione, il lasciare il paziente nel suo lerciume per ben due settimane pur mondando le gomme e la buona conoscenza dei sintomi dell’intossicazione che segnavano il limite massimo della somministrazione della supertossica “onzione”.

Appare probabile che il malcapitato, sopravvissuto nonostante le cure, dopo, si sentisse immensamente meglio e, forse, in una fase clinica di remissione parziale della malattia.

Data pubblicazione: 06 maggio 2013

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