Quando la famiglia fa male: Genitori ipertutelanti e giustificanti

m.tinto
Dr.ssa Maria Tinto Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo

La figura che predomina in questo tipo di famiglia è senza dubbio il genitore narcisista, padre o madre, in quanto il narcisista tenderà ad evidenziare le qualità presunte del figlio, per mettere in luce, le sue stesse qualità genitoriali.

Al contrario, in queste famiglie si può ritrovare il padre e la madre frustrato/a, che attraverso il figlio vuole avere un riconoscimento sociale, un riscatto ai propri insuccessi.

Non da sottovalutare la madre soffocante, caratteristica che attiene ad una modalità materna abbastanza frequente. La madre soffocante inibirà le capacità di crescita del bambino, con la sua

spasmodica voglia di sentirsi madre e di doverlo proteggere in maniera sconsiderata.

I genitori ipertutelanti e giustificanti, mettono in atto ogni tipo di comportamento precauzionale per scongiurare eventuali pericoli in cui il bambino potrebbe imbattersi.

E’ fuori dubbio che il bambino va sempre protetto, sapendo che spesso i pericoli possono nascondersi anche in azioni apparentemente innocue, ma non bisogna impedirgli di agire e di sperimentare l’ambiente che lo circonda.

L’adulto deve mettere in atto tutte le modalità che ritiene opportune per scongiurare i rischi, ma talvolta assume comportamenti così rigidi da non permettere al bambino di fare le esperienze di cui ha bisogno, indispensabili per dare inizio al processo di autonomia e autoaffermazione.

Le esperienze che il bambino deve fare sono necessarie per la sua crescita, se l’adulto è timoroso trasmetterà le sue paure al bambino, col risultato di farlo crescere incerto nelle proprie capacità dinamiche, e insicuro nell’instaurare relazioni con i pari, impedendogli la socializzazione.

Avrà la percezione di sentirsi un passo indietro rispetto ai coetanei, di cui temerà quelle capacità e qualità che lui stesso non si riconosce.

Anche l’ipercura è una delle forme peggiori di violenza psicologica e spesso anche fisica che un bambino possa subire, perché essendo agita dalla persona che gli è più vicina, è considerata da questo indispensabile alla sua crescita e pertanto accolta e fatta propria, interiorizzata come modello esistenziale.

Per ipercura si intende una cura eccessiva che il genitore dà al figlio.

Anche la cura eccessiva può essere dannosa.

E’ una forma di abuso in cui si mettono in atto azioni che soffocano la vita quotidiana del bambino, con la somministrazione di medicamenti e indagini diagnostiche continue, paventando spettri di malattie inesistenti.

In questi casi sono le madri (circa il 98%) a mettere in atto comportamenti nocivi, che nei casi più gravi possono provocare seri danni fisici, psicologici e, spesso, letali al bambino.

L’intento è quello di attirare l’attenzione su di sé, attraverso manifestazioni di cure eccessive verso il figlio, in modo da essere considerata “una madre modello”.

Questi bambini possono presentare, anche dopo anni, difficoltà di apprendimento e di concentrazione, problemi comportamentali, assenza di relazioni sociali, problemi a livello emotivo, incubi notturni, sintomi propri del “disturbo post-traumatico da stress” e, nei casi più gravi, anche una patologia psichiatrica maggiore come un disturbo depressivo.

Talvolta è il bambino stesso a simulare la malattia per cercare, in una sorta di follia a due, di garantirsi cure e attenzioni da parte del genitore.

Specialmente quando la madre nel mostrarsi preoccupata dello stato di salute del bambino fa continue richieste di informazioni al bambino sulla presunta sintomatologia patita.

Il bambino si sentirà allora “obbligato” a mostrarsi sofferente, per assecondare le richieste materne.

Questo gioco perverso, in molti casi, porta allo sviluppo di sintomi veri nel bambino, nonostante non ci sia alcun segnale clinico che li possa motivare.

Questo gioco perverso che mettono in atto madre e figlio è difficilmente smascherabile, poiché si tratta di madri talmente informate da tener testa ai medici in modo magistrale.

In questi casi solo la segnalazione effettuata da un familiare, può arrestare la spirale pericolosa in cui la madre ha trascinato il figlio.

Ma l’iperprotezione si manifesta anche quando si cerca con ogni mezzo di spianare la strada al bambino, anticipando le sue richieste e eliminando eventuali ostacoli che potrebbero presentarsi sul suo cammino, anche in riferimento al rendimento scolastico, offrendo talvolta un aiuto eccessivo che conferma al figlio l’ incapacità di far fronte alle difficoltà autonomamente. Si rafforza l’idea nel fanciullo di non essere in grado di farcela da solo e che pertanto, avrà bisogno costantemente di aiuto per risolvere i suoi problemi.

Il figlio si sentirà sempre più incapace di potercela fare e per lui chiedere il sostegno per qualunque cosa sarà abbastanza normale.

Un tale comportamento reiterato nel tempo favorirà la crescita di una persona fragile, insicura, confusa, impreparata nel prendere decisioni, sempre alla ricerca di una stampella a cui appoggiarsi.

Ci sono anche genitori che giustificano i comportamenti negativi del bambino, avvalorandone maggiormente la condotta insolente e scorretta.

Col risultato di aumentarne l’arroganza e la prepotenza.

Il bambino sarà sempre più concentrato su se stesso ed incapace di ascoltare gli altri.

Molto spesso in questo tipo di famiglia si riscontra anche un comportamento discolpante ad oltranza verso il figlio. Siamo di fronte a genitori che giustificano le trasgressioni e le disubbidienze del bambino in ogni modo.

Il figlio ha sempre ragione, anche quando i fatti dicono il contrario.

Questo eccessivo riconoscimento di capacità, genera nel bambino atteggiamenti di prevaricazione e di prepotenza, e la conseguenza sarà di non riconoscere più nessuna autorevolezza, non solo del genitore ma anche di ogni altra forma di autorità, (insegnanti, figure professionali, etc.) mettendo in atto, col passare degli anni, atteggiamenti sempre più tesi alla deriva sociale.

Sono bambini che si credono in diritto di avere tutto ciò di cui impulsivamente sentono il bisogno.

Si comportano in modo da mettere in atto ogni tipo di azione, senza preoccuparsi delle conseguenze che questi atti possono avere per gli altri.

Seguono i loro impulsi, non riuscendo ad innescare alcuna capacità di riflessione né di gestione emotiva, questo perché non sono stati educati ad assumersi la responsabilità di quello che fanno.

La conseguenza sarà di crescere bambini arroganti che non riusciranno a stabilire relazioni socialmente accettabili con i coetanei, pensando di essere sempre un passo più avanti rispetto agli altri, di avere risorse infinite e di poter agire come credono.

I genitori si trovano, in questo modo, a crescere dei piccoli satrapi e loro stessi per primi subiscono, paradossalmente, le vessazioni dei figli, non riuscendo ad arginare le loro sempre più cospicue pretese.

Sono proprio questi bambini ad avere molte più probabilità di mettere in atto episodi di bullismo a danno dei loro coetanei, sentendosi in ogni occasione protetti dai genitori e giustificati in tutte le loro azioni, anche quelle più nefaste.

Figli cresciuti con queste modalità avranno le caratteristiche che contraddistinguono coloro che vivono la cosiddetta “adolescenza allungata”, riferendosi proprio al periodo della crescita caratterizzato dall’incapacità di progettare una vita propria e di assumersi la responsabilità di operare scelte. Il genitore che non consente al figlio di sperimentarsi nelle diverse situazioni della vita, non gli sta concedendo l’ opportunità di iniziare a comprendere i suoi limiti reali e le sue risorse, indispensabili per dare l’avvio a quel processo di crescita verso l’ emancipazione della propria persona.

Quest’atteggiamento iperprotettivo infatti, non favorendo lo sviluppo delle capacità di autonomia del bambino, può rappresentare una traccia per una personalità dipendente, sia dal punto di vista affettivo che relazionale.

Una personalità strutturata con questa modalità alterata di ricevere attenzioni, avrà come esito l’esigenza di avere sempre bisogno di qualcuno per superare il benché minimo ostacolo nella vita, ma anche di “usare” gli altri per soddisfare i propri bisogni.

Un bambino deve cadere e farsi anche male, per capire come fare per non cadere e non farsi male.

Un bambino cresciuto in questo modo non avrà la coscienza del limite, quel margine oltre il quale non bisogna andare per non invadere gli altri.

Ma non conoscerà nemmeno la demarcazione oltre la quale gli altri non devono andare, per non occupare il suo spazio interiore.

Il limite è il rispetto per se stessi e per gli altri, che si insegna attraverso la considerazione e l’accettazione della norma.

E’ il genitore che stabilisce le regole, ed è sempre il genitore che deve farle rispettare.

Regole condivise da entrambi i genitori e in alcun modo contrastanti.

Il rispetto delle regole consente al bambino di predisporsi a soddisfare anche i desideri degli altri e non solo i propri, come in una danza dove i passi si alternano e si incrociano senza mai calpestarsi.

Rispetto delle regole e rispetto dei ruoli, sono i due cardini imprescindibili per ogni genitore.

Le regole vengono fissate dai genitori e fatte rispettare dal bambino, ma è soprattutto attraverso il modello di vita che gli stessi genitori presenteranno al figlio, che favorirà la capacità di apprendere il rispetto verso se stessi e verso gli altri. I bambini non amano troppe parole, imparano osservando.

La loro lente di ingrandimento è molto più grande di quello che si possa pensare, attraverso questa lente vengono osservati i genitori in tutto quello che mettono in atto. Per un bambino gli adulti rappresentano un mondo da scoprire e dal quale imparare come fare a sopravvivere e ad acquisire le risorse per viverci bene. Ma poiché è una realtà sconosciuta il bambino deve anche imparare il modo con cui potersi difendere, pertanto egli è attento e vigile.

E’ proprio l’istinto di sopravvivenza che gli impone attenzione verso tutto ciò che è in movimento. Il bambino osserva, raccoglie ed elabora tutti gli elementi che si presentano all’interno del suo campo vitale.

Scruta la realtà che lo circonda e ne deduce considerazioni, compone la sua oggettività quotidianamente apportando i correttivi con le esperienze che egli mette in atto attraverso la percezione di ciò che lo circonda.

La sua realtà è plastica, si modifica, si corregge attraverso il suo “occhio sul mondo”. Proprio perché la realtà del bambino è in divenire e non ha una storia non può essere identica a quella degli adulti, per qualche aspetto potrà essere somigliante ma mai identica.

Basti considerare il punto di osservazione del bambino che parte dal basso, la percezione delle cose intorno a sé ha una prospettiva che tiene conto della sua statura. Ci si dovrebbe inginocchiare per parlare ad un bambino, mostrandosi umili davanti alla loro innocenza, anziché esercitare il potere meschino della propria superiorità.

Dott.ssa Maria Tinto

Data pubblicazione: 18 agosto 2016

Autore

m.tinto
Dr.ssa Maria Tinto Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo

Laureata in Psicologia nel 1998 presso Università degli Studi di Napoli Federico II.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Lazio tesserino n° 20765.

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5 commenti

#3

Complimenti, uno scritto utile e interessante che farà' riflettere, speriamo.. Perché spesso i genitori non si rendono minimamente conto delle ricadute indelebili e pesanti del loro agire.. Bene arrivata e buon lavoro !! Magda Muscara'

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