Il trattamento della dipendenza da eroina. I dati nazionali e cosa ancora non va

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Torniamo ancora sul problema della cura della dipendenza da eroina, di come si cura e di come non si cura. Molti penseranno che le cure sono un palliativo, che non risolvono nulla, che i SerT sono luoghi di malattia ma non di cura, che i pazienti sono tutti lì fuori a parlare e spacciare sostanze. Questo può essere in parte vero in alcune realtà, ma la ragione è fondamentalmente (al di là del resto) una sola. Se prendete pazienti con la tubercolosi e non li curate come si deve, i reparti diventeranno simili ai vecchi sanatori, cioè pieni di gente con una brutta cera, che tossice, sputa e da cui è bene stare lontani. Se invece si danno le cure, ecco che cambiano i sintomi. I sintomi di un tossicodipendente da strada sono appunto l'esser sempre in giro a comprare, vendere, prendere accordi, litigare, per avere soldi o droga di vario tipo.

 

Passiamo alla Relazione sulle Tossicodipendenze consultabile sul sito del Ministero dell'interno, capitolo III (trattamenti).

 

Non ritrovo più il dato sul tipo di trattamenti, ma purtroppo temo che i trattamento non siano tutti farmacologici, come dovrebbe essere (perché tre sono quelli efficaci, e sono tutti farmacologici).

Passando a vedere come funzionano i trattamenti, si scopre che alcuni soggetti smettono o usano di meno l'eroina, e stranamente però questo avviene per dosaggi che sono quelli normali di buprenorfina (7-8 mg) ma molto bassi di metadone (50 mg), circa metà della dose media efficace.

Quindi, esistono soggetti classificati come “curati con successo” nonostante dosi mediamente inefficaci e un uso che è magari ridotto, ma non estinto. I soggetti che invece “non rispondono alle cure” sono persone che continuano a usare, e che, ancora più sorprendente, prendono esattamente le stesse dosi medie (8 mg e 50 mg). Dico sorprendente perché chi non risponde, a maggior ragione, dovrebbe ricevere dosi maggiori, in particolare di metadone, al fine di produrre la risposta. La risposta alla cura non deriva chissà da cosa, ma da due fattori: dose e tempo. Il tempo è di diversi mesi, e la dose si trova incrementando gradualmente e verificando se il quadro clinico migliora, con le urine ma anche vedendo che vita fa la persona. Se non basta, si aumenta, e per fortuna su questo il metadone è un farmaco maneggevole, perché adattadosi a parte degli effetti si può incrementare la dose per migliorare invece l'effetto sulla voglia di drogarsi, che fortunatamente non dà abitudine.

Dicevamo il tempo: da quanto si curano queste persone? In media da meno di un anno. Anche questo è un limite. Significa che una persone mediamente si reca a curarsi, riceve una cura con una media decisamente bassa come dose -e non il primo giorno, ma nell'arco di un annetto – e poi può aver risolto del tutto, in parte, o niente. Nonostante questa diversità di risultati, i trattamenti rimangono gli stessi, non sono adeguati.

Guardando un'altra tabella però si potrebbe pensare che aumentare la dose non serve, perché tanto chi prende più di 50 mg ha la stessa risposta (sempre 70% di urine pulite, come quelli che prendono meno di 50 mg). Anche questo è ovvio per chi conosce il dosaggio metadonico. La differenza si vede bene non tra più o meno di 50 mg, ma se mai tra più o meno di 100 mg. Anzi, più si aumenta la dose di riferimento, più è evidente che le dosi alte funzionano meglio. Per dosi molto asse è solo questione di dose, e poi i risultati sono uguali. Per dosi sotto o sopra i 150 mg la differenza è spostata sulle dosi maggiori, mentre scendendo questa differenza si perde.

Chi continua a drogarsi a 50 mg lo farà anche a 60 mg, a 80 mg e anche probabilmente a 90 mg. La vera differenza si vede quando si entra decisamente nella fascia di blocco narcotico, cioè quando aumenta l'interferenza con l'eroina. Il desiderio cala sempre di più, ma l'eroina che arriva è bloccata. Questo accade non sotto i 60 mg, e meglio sopra i 100 mg. Se io sono un dipendente, ancora preso dalla voglia di drogarmi, quando vado a prendere il metadone tenderò a tenerlo basso, sotto i 60 mg, per sentire l'eroina. E infatti, casualmente, la dose media è proprio 50 mg.

Alcuni, che magari ne prendono 100 mg perché stanno meglio, si sentono dei “mostri” perché credono, o gli si dice, che ne prendono tanto, e perché sembra che quelli bravi siano quelli che ne prendono poco, e lo smettono presto. Assolutamente no. I risultati migliori si ottengono con due fattori: dose e tempo.

Questi due fattori sono entrambi non utilizzati sulla media dei pazienti. Si curano male e poco. E infatti dopo aver finito il trattamento passa del tempo e poi ricadono, e lo ricominciano. Stavolta in maniera più efficace? No. Anzi, più ricadute passano, e più i pazienti si convincono che il metadone o la buprenorfina mica servono per smettere, ma solo come aiuto, come stampella, poi tutto sta in.... volontà, scelta di vita, cambiamento, carattere, appoggio degli altri, e metteteci pure quello che vi pare.

 

Infine, una nota dolente ulteriore. Le ricadute senza terapia addosso (per trattamenti durati poco) e le dosi basse non sono soltanto inutili, ma espongono a un rischio specifico, che è quello dell'overdose. I pazienti disintossicati sembrano più sensibili all'overdose, oltre che essere più sensibili di chi usa tutti i giorni, anche per un meccanismo di sensibilizzazione che amplifica il rischio. Possono drogarsi dopo aver preso tranquillanti o alcol, o durante i postumi della cocaina, che li rende ipersensibili all'eroina.

 

Prima di entrare nella porta girevole delle disintossicazioni, dei trattamenti brevi, o dei vari trattamenti “alternativi” alla medicina ufficiale (non esistono) che magari costano anche un bel po', considerate invece i trattamenti ufficiali, curando però una cosa importante. Che siano gestiti in maniera da raggiungere le dosi efficaci e che durino a lungo. Se vi trovate in condizioni di dosi basse, con risultati che non sono soddisfacenti o non ci sono proprio, considerate il fattore dose. Il tutto va sempre fatto gestire a un medico, senza alchimie o autogestioni delle dosi, perché se si ha una dipendenza si ragiona con la testa, e poi si agisce con la dipendenza. Le manipolazioni dei medicinali tendono a tutt'altro, ad aspetti urgenti o temporanei (astinenza, umore, sonno, effetti di altre sostanze) e si rischia di trovarsi a lavorare contro se stessi, senza rendersene conto. Così come fanno le centinaia di persone tossicodipendenti che si sforzano per togliersi o evitare le cure, convinti che se ne esca così, e che le cure peggiorino solo le cose.

 

Marcia indietro e fatevi consigliare per una soluzione più logica.

 

 

Data pubblicazione: 29 giugno 2016

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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