La fame d’emozioni: quando il cibo compensa bisogni emotivi

irene.bellodi
Dr.ssa Irene Bellodi Psicologo, Psicoterapeuta

Come mai, nonostante una buona conoscenza dell’educazione alimentare, di cosa sia giusto o meno mangiare, non riusciamo a seguire un regime nutrizionale adeguato? Che significato ha per noi mangiare? Che scopo ha per noi assumere determinati cibi? Le implicazioni psicologiche dell'alimentazione incontrollata

Le tematiche relative all’alimentazione sono al giorno d’oggi molto presenti sia in ambito medico specialistico, sia nell’opinione pubblica e nei media, dove l’argomento viene trattato sotto diversi punti di vista. Mentre l’attenzione sul tema dell’obesità aumenta, a causa dei costi sociali che questa provoca sulla popolazione, aumentano anche gli approcci che tentano di affrontare questa problematica dai risvolti sociali, sotto i più svariati punti di vista.

Questo articolo vuole proporsi come punto di vista integrato rispetto agli approcci medico-dietologici presenti al momento, fornendo l’ipotesi riguardante il lato emotivo di quello che clinicamente viene chiamato Binge Eating Disorder (BED), ovvero Disturbo da Alimentazione Incontrollata, che in molti casi porta ad obesità.

 

IL BED

Il BED viene definito dal Manuale Diagnostico dei disturbi come: episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un’abbuffata compulsiva è definita dai due caratteri seguenti (entrambi necessari):

a. Mangiare,in un periodo di tempo circoscritto (per esempio nell’arco di due ore), una quantità di cibo che è indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili.

b. Senso di mancanza di controllo sull’atto di mangiare durante l’episodio (per esempio sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto si sta mangiando).

 

Gli episodi di abbuffate compulsive sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri:

  • Mangiare molto più rapidamente del normale;
  • Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa di troppo pieno;
  • Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
  • Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
  • Provare disgusto di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo.
  • Le abbuffate compulsive suscitano sofferenza e disagio.
  • Le abbuffate compulsive avvengono, in media, almeno due giorni la settimana per almeno sei mesi.
  • Il disturbo non si riscontra soltanto nel corso di anoressia o di bulimia nervosa.

 

Gli approcci e le figure professionali

L’approccio multidisciplinare proposto dall’attuale pratica medica propone l’intervento di tre figure professionali, il dietologo, il medico internista e lo psicologo.

Mentre il dietologo e il medico internista si occupano della gestione alimentare e metabolica relativa all’assunzione di cibo e calorie, lo psicologo prende in carico la parte emotiva relativa al disturbo, ovvero l’uso del cibo per scopi che si discostano nettamente dai bisogni fisico-biologici dell’alimentazione, i vissuti di sofferenza relativi all’abbuffate e alla percezione del corpo.

Tutti noi sperimentiamo nella nostra vita momenti in cui assumiamo cibo per motivi che poco o nulla hanno a che fare con la fame.

Alimentarsi infatti è una pratica che contiene aspetti sociali, di condivisione, psicologici e di autoregolazione.

Di fatto, il cibo è presente in moltissimi ambiti della nostra vita, organizziamo eventi in cui è presente il cibo in contesti lavorativi ed in contesti familiari, usiamo il cibo nelle feste comandate, nelle celebrazioni nuziali ed in quelle funebri ed assume significati di condivisione, di affiliazione e di socializzazione.

Oltre all’aspetto sociale dell’alimentazione, un aspetto importante dell’assunzione di cibo è certamente l’aspetto psicologico.

Come mai, nonostante una buona conoscenza dell’educazione alimentare, di cosa sia giusto o meno mangiare, non riusciamo a seguire un regime nutrizionale adeguato?

Che significato ha per noi mangiare?

Che scopo ha per noi assumere determinati cibi?

 

La trasgressione

Un meccanismo abbastanza comune rispetto alla dieta ed alla restrizione alimentare ci mostra come in realtà, il fatto stesso di seguire una dieta, porti all’irresistibile desiderio di violarla assumendo alimenti che nella dieta non sono ammessi. Questo importante fattore psicologico, viene ormai ovviato dai professionisti che operano nel campo dell’alimentazione, grazie alla creazione di regimi alimentari (e non diete) che ammettano quasi ogni tipo di cibo, nelle giuste quantità.

Nelle persone che sono affette da obesità e da BED questo meccanismo però porta ad un’ulteriore passaggio mentale che inficia l’esito del regime alimentare sabotandone la buona riuscita. Infatti la tipologia del pensiero di chi soffre di BED si può definire come tutto o nulla; mentre nella maggioranza dei soggetti, la “scivolata” nel regime dietetico viene considerata come un’eccezione tollerabile alla quale si può porre rimedio, nei soggetti BED, un’abbuffata o l’assunzione di cibi che non rientrano nel regime alimentare viene vissuta come un irreparabile viraggio verso una condizione di discontrollo, mandando all’aria tutti gli sforzi fatti fino a quel momento.

Un primo intervento rispetto a questo importante fattore psicologico è infatti quello che ridefinisce il concetto di regime alimentare, di errore e di successo vs insuccesso. Aiutare le persone con BED a vedere le il mondo e il processo di guarigione non come tutto o nulla, bianco o nero, ma con le naturali sfumature di grigio che caratterizzano queste tematiche è uno degli interventi primari che accompagna la persona durante tutto il trattamento.

 

Il significato del cibo: cosa ci spinge ad assumere certi alimenti?

Un aspetto importante del cibo è che ha il potere di modificare il nostro stato, sia da un punto di vista elettrochimico, sia da un punto di vista emotivo.

Il cibo ci accompagna la nostra vita dal momento stesso in cui nasciamo. Non possiamo farne a meno perché è fonte di vita e di nutrimento, ma oltre alla’spetto biologico, porta con sé significati che vanno oltre l’aspetto prettamente nutrizionali.

Esistono infatti dei cibi che ci accompagnano durante la nostra vita ed ai quali diamo significati emotivi. Il dolce preferito di quando eravamo bambini, la pietanza preparata da una figura importante, la merenda che condividevamo con un nostro amico. Il cibo ci accompagna in tantissime situazioni emotive della nostra vita e contiene dei significati importanti su cui noi costruiamo parte della nostra storia.

Mentre però gli affetti, gli amici, le situazioni della nostra vita cambiano, si evolvono, mutano, il cibo rimane sempre uguale e grazie al legame mnemonico ed affettivo creato nel nostro passato, rimane un buon metodo per rievocare le sensazioni piacevoli che erano legate ad esso.

Così, mentre i ricordi o le persone possono essere fonte di emozioni negative, di frustrazioni, il cibo è in grado di offrire un’apparente conforto, disinteressato e assolutamente privo di frustrazioni, almeno nell’immediato.

Ecco dunque come l’assunzione di cibo assume significati totalmente opposti ai bisogni nutrizionali, ma serve per colmare necessità prettamente emotive.

Mangiamo dunque per modulare i nostri stati emotivi spiacevoli per tentare di placarli, colmarli, modificarli, attraverso sensazioni piacevoli derivanti dal cibo; si parla infatti di comfort food, cibo confortevole, che rassicura.

 

Il tentativo di soluzione che si trasforma nel problema

Se si è imparato a modulare le emozioni attraverso l’assunzione di cibo, è perché in un certo momento della vita questa soluzione si è mostrata efficace, utile e decisiva per rispondere ad un bisogno fondamentale, quello di non essere soli, di non soffrire, di stare meglio.

Il problema, come avviene in molti casi, è che questo tentativo di soluzione, che si è dimostrato utile in passato, è il motivo dell’attuale sofferenza.

Il cibo, fonte di conforto, diventa anche fonte di colpa devastante, di inadeguatezza, di disgusto e si caratterizza di quegli aspetti negativi che si tenta di rifuggire, creando così un circolo vizioso che imprigiona nei suoi meccanismi di ricompensa- insoddisfazione- emozioni negative-ricerca di nuova ricompensa.

In quest'ottica, l'uso di tecniche di tipo cognitivo (agire sui pensieri che provocano emozioni negative) e comportamentale (azioni atte a intervinire direttamente sull'assunzione di cibo e sull'emotività negativa), possono risultare molto efficaci per impedire l'innescarsi dell'abbuffata e delle conseguenti emozioni negative che ne derivano.

È proprio su questi meccanismi di reiterazione e gestione dell’emotività che il lavoro terapeutico psicologico si inserisce come coadiuvante al lavoro medico dietologico e che ne garantisce l’efficacia nel tempo.

 

Conclusioni

L’alimentazione e le problematiche relative ad essa, rientrano sempre di più nei tentativi di intervento sulle politiche della salute a causa delle massicce ricadute sociali e mediche che hanno sulla popolazione.

Proprio per l’importanza che l’alimentazione e l’obesità hanno sulla qualità della vita delle persone, risulta sempre più di fondamentale importanza intervenire con approcci integrati che si muovano sui molteplici piani che caratterizzano l’individuo nella sua totalità.

 

Bibliografia:

  • Vinai, Todisco. Quando le emozioni diventano cibo. Psicoterapia cognitiva del Binge Eating Disorder. 2007. Edizioni Libreria Cortina Milano.
  • Christopher Fairburn. La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione Ed. it. a cura di: A. Carrozza, R. Dalle Grave
  • Christopher Fairburn. Come vincere le abbuffate. 1996, Positive Press

 

Data pubblicazione: 18 dicembre 2012

Autore

irene.bellodi
Dr.ssa Irene Bellodi Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2008 presso Università di Psicologia Bologna.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna tesserino n° 6339.

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