Aneurisma dell'aorta addominale: diagnosi e trattamento

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Prof. Piergiorgio Settembrini Chirurgo vascolare, Chirurgo generale, Chirurgo toracico

L’aneurisma dell’aorta addominale è una patologia potenzialmente mortale. Si tratta di una dilatazione che non può regredire, ma anzi (per la legge fisica di Laplace) va incontro ad una crescita progressiva fino alla rottura, che peraltro non è assolutamente prevedibile. L’unica soluzione per evitare il drammatico avvenimento della rottura è l’intervento chirurgico in elezione.

L’indicazione chirurgica viene posta quando l’aneurisma raggiunge il diametro di 5 cm. Vi sono peraltro una serie di condizioni che permettono l’esecuzione dell’intervento anche con diametri inferiori (l’incremento del diametro di oltre 0.5 cm in sei mesi ovvero la presenza di alterazioni di parete che indichino un locus minoris resistentiae, che indica la sede di un possibile cedimento).

 

Diagnosi

La diagnosi di un aneurisma è semplice: nella maggior parte dei casi può essere sufficiente la palpazione dell’addome (massa pulsante) o addirittura il racconto del paziente di sentire “un cuore” che batte dentro l’addome! La diagnosi strumentale è raggiungibile mediante una semplice ecografia.

Non appena diagnosticato l’aneurisma, è necessario decidere quale sia il trattamento migliore per il paziente:  il trattamento chirurgico (tradizionale o endovascolare) o il monitoraggio con ecografie periodiche fino a che il diametro superi la soglia di rischio (circa 5 cm).

E’ comunque necessaria un’attenta valutazione del rischio di rottura, del rischio chirurgico, dell’aspettativa di vita e della volontà del paziente opportunamente informato.

 

Trattamento: open o endovascolare?

Sono stati eseguiti numerosi trials per comprendere quale dei due trattamenti (endovascolare o aperto) fosse il gold standard, ma per ora le conclusioni della maggior parte di essi dimostrano che nell’immediato postoperatorio il trattamento endovascolare sembra essere migliore perché permette una degenza più corta e una guarigione più rapida.

D’altra parte i pazienti portatori di endoprotesi devono sottoporsi ad una TC di controllo ad 1, 6 e 12 mesi dall’operazione e quindi ad ogni anno. Ma soprattutto in più il 30% delle endoprotesi possono svilupparsi i cosiddetti “endoleak” (rifornimenti della sacca aneurismatica) che possono causare un’ulteriore  dilatazione dell’aneurisma fino alla rottura e possono perciò richiedere un nuovo trattamento.

Di converso il trattamento chirurgico open causa una degenza e una convalescenza più lunga, ma i risultati a lungo termine dimostrano come sia più sicuro e presenti un minor numero di complicanze, richiedendo solamente un monitoraggio ecografico. Da ultimo la differenza dei costi non è da dimenticare: per un trattamento chirurgico open il costo è circa un terzo di quello per un trattamento endovascolare.

Nonostante ciò, rimane il fatto che il trattamento endovascolare sia assolutamente meno invasivo di quello tradizionale e per questa ragione deve essere riservato ai pazienti più anziani o a coloro che presentano delle importanti patologie concomitanti, soprattutto cardiache e respiratorie, e sempre che l’anatomia delle arterie lo consenta.

Dall’illustrazione dei rischi connessi al trattamento dell’aneurisma dell’aorta addominale bisogna far menzione delle possibili complicanze cardiologiche, soprattutto nella chirurgia open, e di quelle renali, soprattutto nel trattamento endovascolare a causa del mezzo di contrasto iniettato per il posizionamento della protesi e della “manipolazione” con i cateteri a livello delle arterie renali.

Come si è visto, probabilmente il trattamento open può essere considerato tuttora il gold standard di trattamento visto il rischio di complicanze a breve termine che risulta più alto nell’endovascolare e di ulteriori interventi chirurgici spesso entro i primi tre anni.

Drammatica infine può essere la necessità di espianto dell’endoprotesi, per la difficoltà dell’isolamento chirurgico dei vasi e del’estrazione dell’endoprotesi, con perdite ematiche cospicue. 

 

Conclusioni

Dopo questa analisi è importante ricordare come questa chirurgia debba essere insegnata e appresa con precisione e dedizione. La politica economica di questi anni ha spinto sempre di più la sanità verso una diminuzione della spesa e un aumento del ricavo: è un atteggiamento giusto, ma non deve essere causa di un mancato apprendimento da parte dei giovani.

L’Università con la Scuola di Specializzazione ha un ruolo fondamentale dando la possibilità di apprendere le diverse tecniche, ma in particolare di apprendere l’attività chirurgica che rimane, se non come primo approccio, sicuramente la migliore via di scampo nel caso in cui ci siano complicanze non gestibili e non controllabili nelle vie endovascolari.

Data pubblicazione: 29 aprile 2013

Autore

piergiorgiosettembrini
Prof. Piergiorgio Settembrini Chirurgo vascolare, Chirurgo generale, Chirurgo toracico

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1968 presso Università degli Studi di Padova.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Milano tesserino n° 27283.

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