Tumore del fegato e cirrosi: il carcinoma epatocellulare, definizione, diagnosi e terapia

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Dr. Francesco Quatraro Gastroenterologo, Colonproctologo

La forma più comune di cancro primitivo del fegato è il carcinoma epatocellulare (HCC); esso costituisce circa il 5% di tutti i tumori, soprattutto a causa della elevata diffusione endemica dell’infezione da virus dell’epatite B (HBV). L’HCC è il quinto tumore più comune nel mondo, ed è la terza causa più comune di morte per cancro (dopo il cancro del polmone e dello stomaco). L'incidenza di carcinoma epatocellulare è in aumento, in gran parte ciò è legato all’aumento dei casi di infezione da virus dell’epatite C (HCV). Nei paesi occidentali una sempre maggiore percentuale di casi è, invece, legata all’uso cronico di alcol

Definizione

Il carcinoma epatocellulare (HCC, HepatoCellular Carcinoma), conosciuto anche con il nome di Epatoma Maligno, è un tumore maligno primitivo che origina dalle cellule epatiche (epatociti).

La prognosi è particolarmente severa, generalmente intorno ai 6-20 mesi; l’exitus si verifica per l’insufficienza epatica causata dalla progressione tumorale.

L’HCC insorge nella maggior parte dei casi su un fegato cirrotico (solitamente 20-30 anni dopo l'insulto epatolesivo); il restante 25% dei pazienti non è affetto da cirrosi e non presenta fattori di rischio per lo sviluppo di cirrosi.

Questa forma neoplastica è una delle cause più comuni di morte per cancro in tutto il mondo; un forte impatto sulla riduzione dell’incidenza del carcinoma epatocellulare potrebbe essere dato dai programmi di vaccinazione contro il virus dell'epatite B (HBV), dallo screening, dai trattamenti antivirali nelle infezioni da virus dell'epatite C (HCV), oltre che dalla lotta all’alcolismo.

 

Epidemiologia

In Italia (inclusa nelle aree geografiche a rischio intermedio) l’incidenza di HCC si aggira intorno ad 11 casi ogni 100.000 abitanti. 

Il riscontro di questa neoplasia solida è abbastanza frequente; infatti, in tutto il mondo, l'epatocarcinoma è il quinto tumore più comune negli uomini e l'ottavo nelle donne. Si stima che ogni anno, nel mondo, vengano diagnosticati oltre 600.000 nuovi casi.

Tra i fattori di rischio più rilevanti menzioniamo le infezioni da virus epatico B e C e l’abuso alcolico; per tale motivo l’HCC è comunemente associato con cirrosi ed epatite virale.

Per approfondire:Epatite acuta nei bambini: di cosa si tratta?

La variabilità geografica con cui si presenta questa neoplasia epatica è principalmente connessa ai fattori di rischio.

Aree geografiche come l'Asia e l'Africa sub-sahariana, afflitte da alti tassi di epatite infettiva, hanno un'alta incidenza, anche 120 casi per 100.000 abitanti; dai programmi di vaccinazione di massa ci si aspetta una netta diminuzione dell’incidenza di tale neoplasia.
A partire dalla metà degli anni '80 l'incidenza di carcinoma epatocellulare è in costante ed allarmante aumento (i tassi di incidenza sono raddoppiati tra il 1980 ed il 1998); il fenomeno sarebbe legato all’infezione da virus dell'epatite C. Alla maggiore incidenza di HCC si ritiene inoltre che possano contribuire sia l'enorme aumento dell’obesità nella popolazione che il diabete.

L'HCC è più comune negli uomini rispetto alle donne e negli afroamericani rispetto ai bianchi.

Nelle zone ad alto rischio (Cina, Africa sub-sahariana, Giappone), la differenza di incidenza tra i due sessi è più pronunciata, con un rapporto massimo uomo-donna di 8:1.

L'età in cui viene riscontrata la malattia varia molto a seconda della distribuzione geografica. La fascia d’età più colpita va dai 60 agli 80 anni. Negli Stati Uniti, ed in Europa, l’età media, nella quale viene fatta la diagnosi, è di 65 anni; raramente un HCC viene diagnosticato in persone di età inferiore ai 40 anni. Tuttavia, tra il 1975 e il 1998, la fascia di età 45-49 anni ha registrato un aumento del tasso di incidenza di carcinoma epatocellulare di 3 volte.

In Africa ed in Asia l’età media nella quale si perviene alla diagnosi è sostanzialmente più bassa, rispettivamente nella quarta e nella quinta decade di vita, a causa dell’alta incidenza, come già detto, di epatiti da virus B e C in età infantile.

 

Mortalità/morbilità

L’intervento chirurgico è possibile in meno del 5 % di tutti i pazienti.

La sopravvivenza mediana, dalla data della diagnosi, è in genere di 6 mesi. La sopravvivenza dipende in gran parte dallo stadio della cirrosi; i pazienti cirrotici hanno tempi di sopravvivenza brevi, oltre che opzioni terapeutiche molto più limitate. La neoplasia è, nel 75% dei casi, multifocale, localizzata all'interno del parenchima epatico; mentre, negli stadi finali di malattia, possono svilupparsi metastasi nel polmone, trombosi neoplastica della vena porta, lesioni periportali, e metastasi ossee e cerebrali. L’occlusione della vena porta, evento piuttosto comune, lascia presagire una sopravvivenza ancora più breve

Le complicanze legate all’HCC sono quelle tipiche dell’insufficienza epatica; la morte si verifica per cachessia, sanguinamento da varici, o (raramente) per rottura del tumore e sanguinamento nel peritoneo (emoperitoneo).

 

Sintomatologia

I pazienti di solito presentano i sintomi ed i segni di una cirrosi avanzata:

  • prurito,
  • ittero,
  • epatomegalia,
  • splenomegalia,
  • sanguinamento da varici,
  • cachessia,
  • ascite (spesso legata all'occlusione della vena porta da trombo, con conseguente rapido sviluppo di ascite), con aumento della la circonferenza addominale,
  • encefalopatia epatica,
  • caput medusae (aumento di volume delle vene paraombelicali, che, disposte a raggiera, diventano visibili a livello cutaneo),
  • aumento di volume delle emorroidi,
  • edemi declivi,
  • stimmate alcoliche (Spider nevi o angiomi stellati o aracnoidei, a forma di ragno: ovvero delle piccole formazioni vascolari cutanee. Morbo di Dupuytren o contrattura di Dupuytren: si manifesta con la formazione di noduli nel palmo e con l'ispessimento e la retrazione della fascia palmare)


 

Cause e fattori di rischio

Cirrosi

A prescindere dalla causa di origine, la cirrosi è il principale fattore di rischio per il carcinoma epatocellulare. Circa l'80% dei pazienti, a cui viene diagnosticato un HCC, è affetto da una preesistente cirrosi, le cui principali cause risiedono nell’abuso alcolico e nelle epatiti da virus B e C.

Alcol

Nel fegato i metaboliti tossici dell'alcol avviano un processo di infiammazione. Non è possibile stabilire con esattezza la quantità massima di alcol tollerabile giornalmente per evitare il processo cirrogeno, anche perchè esistono variabilità individuali su base genetica. Studi statistici evidenziano Secondo i dati statistici è possibile dire che i forti bevitori (= assunzione giornaliera di alcol ≥ 30 grammi), dopo 10 anni, sviluppano una steatosi nel 60-100% dei casi, un'epatite alcolica nel 20-30% dei casi ed una cirrosi alcolica nel 10-20% dei casi. Va comunque precisato che molti di coloro che assumono quantità di alcol ≥ 10 grammi (= 30 ml di whisky a 40°, o 100 ml di vino al 12%, o 250 ml di birra al 5%) al giorno, presentano un danno epatico.

L’abuso cronico di alcol, (> 80 g/die, o > 6-7 bicchieri al giorno) per più di 10 anni, aumenta di 5 volte il rischio di HCC. Si calcola che nel 50% degli alcolisti, se venissero sottoposti a riscontro autoptico, si potrebbe rilevare un epatocarcinoma subclinico. Paradossalmente il rischio di HCC è maggiore quando il paziente smette di bere alcol, questo perché i forti bevitori non sopravvivono abbastanza a lungo per sviluppare il cancro.

 

Virus dell'epatite B

Si stima che, nel mondo, 350 milioni di persone siano colpite dall’infezione cronica da HBV, che quindi rappresenta la causa più comune di HCC. Nel momento in cui l’epatopatia cronica evolve in cirrosi, il rischio di sviluppare un HCC aumenta di 1.000 volte.

L’HBV viene trasmesso da una persona all’altra per via parenterale (dal greco parà ènteron, ovvero "al di fuori dell'intestino"), attraverso il sangue, l’urina, lo sperma od altri fluidi corporei (saliva, secrezioni vaginali). Il contagio, quindi, si verifica tramite il contatto di fluidi corporei (soprattutto sangue) infetti su mucose o ferite, attraverso rapporti sessuali non protetti, oppure a causa di lesioni accidentali da aghi (come nella condivisione di siringhe ed aghi contaminati nei tossicodipendenti) o altri taglienti infetti (rischio tipico fra gli operatori sanitari), o strumentario medico-chirurgico non opportunamente sterilizzato. Nelle gravide infette da HBV è possibile la trasmissione da madre a figlio, in occasione del parto. Va citata anche la cosiddetta “via parenterale inapparente”, che prevede il contagio tramite l'uso di oggetti infetti che possono creare microtraumi cutanei, come, per esempio, spazzolini, rasoi e forbici da unghie. Il virus dell’epatite B è molto resistente, può sopravvivere nell'ambiente esterno fino a circa 7 giorni.

Il meccanismo con cui il virus dell'epatite B provoca il carcinoma epatocellulare si ritiene sia legato ad un insulto combinato, dato dall’infiammazione cronica del tessuto epatico e dall’integrazione del genoma virale nel DNA degli epatociti.

In uno studio asiatico (Taiwan), la vaccinazione contro l'epatite B nei neonati e nei bambini ha mostrato di poter ridurre del 75% l'incidenza di HCC; è presumibile che la realizzazione di un programma vaccinale su scala mondiale ridurrebbe l’incidenza di HCC-HBVcorrelato.
 

Virus dell'epatite C

L’HCV è una pandemia globale, che colpisce 170 milioni di persone, con alti tassi di infezione epatica cronica, rispetto all’HBV, poichè si sviluppa in circa l’80% dei soggetti infetti.

Le modalità di trasmissione dell'HCV sono identiche a quelle citate per l'HBV, in più occorre ricordare che veicolo di trasmissione sono state le trasfusioni di sangue e i trapianti di organo prima del 1992, a causa dell'assenza dei test di screening per l'HCV prima di tale anno. Il virus dell’epatite C può sopravvivere nell'ambiente esterno per almeno 16 ore e, comunque, per non più di 4 giorni.

Questo virus è diventato la causa più comune di HCC in Giappone e in Europa, e, di recente, anche negli Stati Uniti (circa 2,7 milioni di americani sono affetti da una infezione cronica HCV+, a cui si ritiene sia collegato circa il 30% dei casi di HCC).

La co-infezione da HBV aumenta ulteriormente il rischio; molti pazienti sono co-infettati da entrambi i virus. L'uso di alcol nel contesto di una epatopatia cronica HCV-correlata raddoppia il rischio di HCC rispetto alla sola infezione da HCV. Recenti studi dimostrano che il trattamento antivirale di infezioni croniche HCV-correlate può ridurre significativamente il rischio di carcinoma epatocellulare.

Emocromatosi

I pazienti con emocromatosi, soprattutto in presenza di cirrosi, hanno un aumentato rischio di sviluppo di HCC. Al carcinoma epatocellulare sono addebitabili circa il 30% dei decessi legati all’emocromatosi.
 

Aflatossine

Si tratta di agenti cancerogeni epatici (metaboliti secondari prodotti da funghi della specie Aspergillus), spesso rilevati in prodotti alimentari in Africa sub-sahariana e nell'Asia orientale e nel sud-est asiatico. Tali sostanze danneggiano il DNA, inducendo mutazioni del gene P53. Gli esseri umani sono esposti all'aflatossina attraverso l'ingestione di alimenti contaminati dalla tossina.
 

Associazioni (rare) con altre condizioni cliniche

  • Cirrosi biliare primitiva,
  • Uso di steroidi androgeni,
  • Colangite sclerosante primitiva,
  • Deficit di alfa1-antitripsina,
  • Thorotrast (un mezzo di contrasto radioattivo utilizzato fino agli anni ’50),
  • Uso di contraccettivi orali,
  • Porfiria cutanea tarda,
  • Obesità e Diabete, indicati come fattori di rischio per il carcinoma epatocellulare, molto probabilmente attraverso lo sviluppo di una steatoepatite non alcolica (NASH, NonAlcoholic SteatoHepatitis).

 

Diagnosi differenziale

Occorre differenziare i noduli neoplastici da lesioni nodulari come l’Adenoma epatocellulare o da noduli legati al Colangiocarcinoma ed alla Cirrosi.

 

Diagnosi

La diagnosi precoce (noduli con Ø < 2 cm) è molto importante, poiché il rischio di invasione vascolare microscopica aumenta significativamente quando il Ø > 2 cm, quando, cioè, diventa marcato il caratteristico apporto ematico arterioso. Il “very early HCC”, che ha la più alta probabilità di cura radicale mediante resezione o ablazione, richiede quindi una diagnosi prima ancora di aver sviluppato le caratteristiche che lo rendono identificabile dalle tecniche d’immagine.
 

Esami di laboratorio

L’Alfa-fetoproteina (AFP) è elevata nel 75% dei casi. Un valore superiore a 400 ng/mL predice per carcinoma epatocellulare con specificità superiore al 95%, mentre un valore superiore a 1000 ng/mL, per molti centri, rappresenta una prova presuntiva di HCC (senza necesistà di dover ricorrere alla biopsia epatica).

Analogamente a molti biomarcatori, l'AFP non è tumore-specifica, perciò è considerata inadeguata (per sensibilità e specificità) ai fini dello screening dell’HCC nella popolazione generale, a causa dell'alto tasso di falsi positivi nei casi di epatite attiva, oltre che del fatto che i valori aumentano quando la neoplasia ha già determinato l'invasione vascolare. L'AFP è di maggiore utilità nello screening di popolazioni ad alto rischio (quali, ad es., i pazienti cirrotici).

Naturalmente sono evidenti alterazioni di altri parametri, coerenti con uno stato di cirrosi, come i valori della bilirubina totale, dell’aspartato aminotransferasi (AST), della fosfatasi alcalina (ALP), dell’albumina e del tempo di protrombina.

La Des-gamma-carbossi-protrombina (DCP) è stata individuata come biomarker per la diagnosi precoce del carcinoma epatocellulare, poichè presenterebbe una sensibilità e specificità, al momento della diagnosi di HCC, fra il 74% e l’86%. La combinazione DCP+AFP aumentata la sensibilità al 91% ma abbassa la specificità al 74%. Lok et al., in un loro studio, hanno concluso che anche la DCP non rappresenta la soluzione ottimale per il rilevamento precoce di HCC.
 

Diagnostica per immagini

E’ possibile utilizzare diverse metodiche, ognuna, se eseguita per sospetto HCC a causa di un aumento di AFP, ha una probabilità del 70-85% di trovare una lesione singola, la sensibilità sale in caso di lesioni multiple.

  • L’Ecografia è la scelta meno costosa per lo screening, ma è fortemente operatore-dipendente. Una lesione, sospetta all’ecografia, in genere richiede ulteriori studi di imaging per confermare la diagnosi e lo stadio del tumore. La sensibilità dell'ecografia per il rilevamento di piccoli noduli è basso. Un vantaggio della metodica è rappresentato dal Doppler che può essere eseguito in corso di esame, con la possibilità di valutare la pervietà della vena porta.
  • La TC (Tomografia Computerizzata) ha una bassa sensibilità nella rilevazione di HCC, la tecnica trifasica può aumentare il numero dei noduli tumorali rilevati. La TC ha però il vantaggio di individuare la malattia extraepatica, in particolare la linfoadenopatia.
  • La risonanza magnetica (RM o MRI) può rilevare lesioni più piccole e può anche essere utilizzata per determinare il flusso nella vena porta. La sensibilità della RM è simile a quella della TC trifasica, ma sensibilità e specificità aumentano nei pazienti con fegati cirrotici.
  • L’Angiografia Epatica mostra la caratteristica intensa vascolarizzazione delle lesioni tumorali, ma l’invasività di questa metodica lascia preferire TC e RM. L’angiografia è oggi utilizzata a fini terapeutici (chemioembolizzazione).
  • La Biopsia percutanea delle lesioni focali epatiche ha visto limitare il suo impiego in seguito al miglioramento delle tecniche d’immagine, è indicata perciò solo nei casi controversi. 
    Esistono pareri discordanti riguardo al potenziale rischio di disseminazione tumorale lungo il tragitto dell'ago. Alcuni studi riportano un piccolo aumento del rischio (circa 1/1000), mentre altri non mostrano alcuna differenza.
    Indipendentemente da ciò, prima di eseguire una biopsia, i rischi e le potenziali complicazioni devono essere attentamente considerati.
    Lesioni del diametro inferiore o uguale a 2-3 cm. possono essere noduli displastici nell’ambito di un fegato cirrotico, probabilmente si tratta di lesioni pre-maligne, pertanto ottenere una biopsia può essere particolarmente importante per distinguerli da un HCC. La laparoscopia può consentire una facile biopsia percutanea, oltre che permettere di visualizzare direttamente il fegato e di valutare lo stadio evolutivo della cirrosi.
  • L'Esame Istologico può presentare aspetti quanto mai vari, si va da forme ben differenziate a quelle anaplastiche. Il sottotipo istologico fibrolamellare è associato ad una prognosi migliore, probabilmente perché non è associato a cirrosi e quindi è maggiormente operabile. La presenza di bile intracellulare, o la colorazione per AFP, possono essere utili per distinguere l’HCC da altre neoplasie epatiche (ad esempio il colangiocarcinoma).
  • L’Immunoistochimica, utilizzando il marcatore Hep-Par-1 (Hepatocyte paraffin-1), può essere di aiuto nella diagnosi di HCC.

 

Stadiazione

Non esiste un sistema universalmente accettato.

Sono stati proposti diversi sistemi di stadiazione, nel tentativo di identificare il migliore sistema di classificazione del paziente cirrotico con HCC, ciascuno caratterizzato da diverse variabili. Nel 1998 è stato proposto in Italia il Cancer Liver Italian Program score (CLIP) che prende in considerazione quattro variabili: il Child Pugh, la morfologia della massa neoplastica, i livelli sierici di alfa-fetoproteina e l’eventuale presenza di una trombosi della vena porta. Ve ne sono altri come il French scoring system (proposto nel 1999), il Chinese University Prognostic Index (CUPI) proposto negli anni '90, ed il Japanese Integrated Staging Score, proposto nel 2003.

Da ultimo citiamo il Barcellona Clinic Liver Cancer (BCLC) staging system, originariamente proposto nel 1999 e revisionato nel 2003, che consente la predizione della sopravvivenza del paziente e/o la definizione della prognosi, e consente anche di identificare una strategia terapeutica adeguata per ciascun paziente.

 

Trattamenti terapeutici

I trattamenti possibili possono essere essenzialmente di natura chirurgica o trattamenti ablativi percutanei, altri tipi di trattamento non hanno ottenuto risultati soddisfacenti.

Le variabili, che condizionano la scelta del trattamento, sono diverse:

  • dimensioni, numero e posizione dei noduli tumorali,
  • presenza o assenza di cirrosi,
  • malattie concomitanti,
  • pervietà della vena porta,
  • presenza di malattia metastatica.

 
 

Terapia chirurgica

La prima opzione da prendere in considerazione, per ogni paziente affetto da HCC, dev’essere il trattamento chirurgico resettivo, poiché la chirurgia (trapianto o trattamenti resettivi) è l'unica metodica terapeutica che possa fornire concrete speranze di cura.

I tipi di intervento chirurgico resettivo (epatectomia parziale) che possono essere eseguiti sono:

  • Epatectomia dx
  • Epatectomia sx
  • Epatectomie allargate
  • Segmentectomie o settoriectomie
  • Bi/Trisegmentectomie
  • Wedge Resection

 

Il fegato è un organo dotato di notevoli capacità rigenerative, al punto da poter, dopo la rimozione chirurgica di una sua parte, raggiungere nuovamente il suo volume originario. La restituzione alla normalità funzionale del fegato, dopo interventi effettuati su organi funzionalmente non compromessi, può raggiungere l'80% dei casi, con una mortalità operatoria inferiore al 5%. Tali trattamenti possono consentire ai pazienti una sopravvivenza a 5 anni superiore al 75%.

Purtroppo, nella stragrande maggioranza (>90%) dei pazienti, l’HCC insorge come complicanza della cirrosi epatica; in tali casi il fegato ha perso abbondantemente la sua capacità rigenerativa e la percentuale di fegato asportabile è, conseguentemente, assai inferiore. Anche le complicanze post-operatorie (spesso gravi) insorgono con percentuali rilevanti.


La gestione dell'HCC prevede un coinvolgimento multidisciplinare.

Pertanto è di fondamentale importanza un’appropriata valutazione dei pazienti prima dell’atto resettivo, in quanto la mortalità intraoperatoria è raddoppiata nei pazienti cirrotici rispetto ai non cirrotici; alcuni altri fattori, come il livello di HBV-DNA nel tessuto epatico circostante il tumore, possono essere determinanti nelle recidive tumorali dopo resezione chirurgica.

Le indicazioni attuali al trattamento chirurgico sono:

  • età inferiore ai 65 anni (criterio tuttavia non assoluto; infatti va tenuta in considerazione soprattutto l'età biologica del paziente, più che quella anagrafica);
  • nodulo singolo inferiore ai 5 cm. in posizione chirurgicamente aggredibile oppure due noduli, se vicini (nello stesso segmento di fegato) e sempre in posizione periferica;
  • cirrosi epatica compensata e cioè in assenza di ascite intrattabile, di encefalopatia, di gravi turbe funzionali del fegato, cioè occorre trovarsi nella situazione cosiddetta di Child A (secondo la classificazione di Child-Pugh). Occorre anche valutare l'eventuale ipertensione portale associata; pazienti con varici esofagee a rischio di sanguinamento, di grosse dimensioni (F2-F3), potranno essere trattati prima dell'intervento chirurgico resettivo in modo profilattico, mediante sclerosi o legatura delle varici.

Le principali controindicazioni sono:

  • la presenza di trombosi portale, che di solito è di natura neoplastica; seppure alcuni chirurghi accettino di trattare quei casi in cui la trombosi è molto periferica ed il tratto coinvolto dalla trombosi rientri nella porzione di fegato da resecare;
  • la presenza di metastasi a distanza, peraltro assai rare.

La chirurgia resettiva è possibile solo nel 5% dei pazienti, ovvero nei casi di lesione solitaria, confinata al fegato, senza invasione vascolare e con buona riserva funzionale epatica. Anche se non esistono criteri rigorosi in termini di dimensioni del tumore, molti chirurghi utilizzano il limite dei 5 cm. di diametro.

I tassi di sopravvivenza a cinque anni per le lesioni resecabili variano notevolmente, dal 30% fino ad un massimo del 90%. Il carcinoma epatocellulare fibrolamellare (una forma rara di epatocarcinoma che tende a interessare adulti giovani senza una cirrosi sottostante) può avere una prognosi migliore.

 

Trapianto ortotopico di fegato (OLT, orthotopic liver transplantation)

Molti pazienti non sono candidabili per epatectomia parziale, a causa della estensione della malattia epatica di base, mentre possono essere dei buoni candidati per il trapianto di fegato.

Vale il detto ““... si reseca il resecabile, si trapianta l’irresecabile.. .”, con possibilità di eliminare sia il cancro che di curare la malattia epatica di base; si calcola che appena il 5% circa dei pazienti con carcinoma epatocellulare sono eleggibili per un trapianto.

Il trapianto di fegato può essere preso in considerazione nei pazienti che soddisfano i criteri di Milano (Milan Criteria, MC), proposti nel 1996 da Mazzaferro et al.; essi basano la selezione dei pazienti da trapiantare in base ai parametri morfologici del tumore (lesione singola di dimensioni ≤5 cm, o fino a 3 lesioni, ciascuna con dimensioni ≤3 cm, in assenza di metastasi a distanza e di infiltrazione macrovascolare). Questi pazienti, altamente selezionati, hanno ottimi tassi di sopravvivenza, simili a quelli dei pazienti che si sottopongono a trapianto di fegato per malattia epatica allo stadio terminale senza carcinoma epatocellulare.

 

Terapie ablative

Sono delle metodiche utilizzate per trattare localmente tumori delle dimensioni inferiori ai 4-5 cm. Queste procedure sono dei trattamenti percutanei, e rappresentano la migliore opzione da riservare ai pazienti che non soddisfano i criteri per il trattamento chirurgico. Tutti questi trattamenti mirano a distruggere il tessuto neoplastico, determinandone, tramite insulto chimico o termico, la necrosi.

Distinguiamo:

 

1. L’ablazione chimica:

  • PEI (percutaneous ethanol injection), o alcolizzazione, ovvero l’iniezione percutanea intratumorale di etanolo.

 

 

 

 

 

 

2. L’ablazione termica:

  • RFA (Radio frequency ablation), ovvero l’ablazione con radiofrequenza,
  • Cryo, ovvero la crioterapia,
  • Terapia Termoablativa Laser,
  • MCT (microwave coagulation therapy), terapia coagulativa tramite microonde.

 

 

 

 

Altri trattamenti

  1. La TACE (TransArterial ChemoEmbolization), ovvero la chemioembolizzazione per via arteriosa. Si tratta di una procedura di radiologia interventistica. Attraverso un catetere si raggiungono i rami arteriosi del fegato, che irrorano le lesioni neoplastiche, rendendo possibile l’iniezione di agenti antitumorali direttamente nel tumore, favorendo così localmente una elevata concentrazione di farmaci antineoplastici, riducendone gli effetti collaterali sistemici. In pratica è possibile iniettare, in corso di un’angiografia epatica, un farmaco antiblastico (doxorubicina, epirubicina, mitomicina C, cisplatino o altri) veicolato con un mezzo di contrasto oleoso (lipiodol) direttamente nell’arteria afferente più vicina alla massa neoplastica. I pazienti trattati con successo, a seguito di chemioembolizzazione, possono essere eleggibili per il trapianto. La TACE rappresenta l’opzione terapeutica nei pazienti cirrotici, in buon compenso epatico, con tumore multifocale inoperabile. Controindicazioni alla TACE sono invece: la classe C di Child-Pugh, la presenza di trombosi portale o di ipertensione portale grave, con inversione di flusso nella vena porta o con fistole artero-portali e la presenza di metastasi a distanza.
  2. La radioterapia applicata al trattamento dell’HCC ha fornito risultati deludenti a causa della scarsa tolleranza del parenchima epatico alle radiazioni.
  3. La chemioterapia ha un ruolo piuttosto controverso, visto che il carcinoma epatocellulare è un tumore relativamente chemioterapia-resistente; quindi i risultati non sono soddisfacenti. Si deve aggiungere che la chemioterapia di solito non è ben tollerata, poiché la maggioranza dei pazienti con HCC presenta una ridotta funzionalità epatica.
  4. Immunoterapie, ormonoterapie e terapie nutrizionali si sono dimostrate inefficaci.

 

La speranza

Risultati promettenti, contro una neoplasia finora intrattabile, quale l’epatocarcinoma, potrebbero venire dall’uso nuove classi di farmaci come i farmaci anti-angiogenesi (Bevacizumab, Sorafenib), che funzionano bloccando la formazione di vasi sanguigni che alimentano questo tipo di neoplasie. Questi risultati promettenti sono gravati comunque da effetti collaterali importanti che richiedono, quindi, un'accurata scelta del paziente a cui somministrare il farmaco.

 

Prognosi

E’ legata a vari fattori, tra i quali il numero e le dimensioni dei noduli, oltre che il tessuto funzionale epatico residuo. A tre anni la sopravvivenza è circa del 55-75%, con possibilità di ulteriore miglioramento se il paziente è stato trattato.

Per noduli di diametro inferiore ai 5 cm, con paz. in classe Child-A, la sopravvivenza a 5 anni è del:

  • 44% con trattamento TACE,
  • 48% con trattamento PEI,
  • 49% se la lesione viene sottoposta a resezione,
  • 70% ed oltre, nei casi sottoposti a trapianto.

 

La prevenzione

E' fondamentale la sorveglianza dei pazienti ad alto rischio per HCC.
La prevenzione si attua innanzitutto evitando i fattori di rischio come il virus C, l'esposizione all'aflatossina e l'alcolismo cronico ed, inoltre, tramite i programmi vaccinali (vaccinazione per l’epatite B). I pazienti con cirrosi devono evitare il consumo di alcool. Anche lo screening per l'emocromatosi potrebbe risultare utile.


 

Per approfondire

  • Liver transplantation for the treatment of small hepatocellular carcinomas in patients with cirrhosis
    Mazzaferro V, Regalia E, Doci R, Andreola S, et al. (1996)
    N Engl J Med 334: 693-699.
  • Universal hepatitis B vaccination in Taiwan and the incidence of hepatocellular carcinoma in children. Taiwan Childhood Hepatoma Study Group
    Chang MH, Chen CJ, Lai MS, et al.
    N Engl J Med. Jun 26 1997;336(26):1855-9.
  • Hepatocellular carcinoma: the role of the North American GI Steering Committee Hepatobiliary Task Force and the advent of effective drug therapy.
    O'Neil BH, Venook AP.
    Oncologist. 2007;12(12):1425-1432.
  • Des-gamma-carboxy prothrombin and alpha-fetoprotein as biomarkers for the early detection of hepatocellular carcinoma.
    Lok AS, Sterling RK, Everhart JE, Wright EC, Hoefs JC, Di Bisceglie AM, et al.
    Gastroenterology. Feb 2010;138(2):493-502.
  • Doxorubicin plus sorafenib vs doxorubicin alone in patients with advanced hepatocellular carcinoma: a randomized trial.
    Abou-Alfa GK, Johnson P, Knox JJ, Capanu M, Davidenko I, Lacava J, et al.
    JAMA. Nov 17 2010;304(19):2154-60.
  • Management of Hepatocellular Carcinoma: An Update.
    Bruix J, Sherman M.
    Hepatology, Vol. 53,No. 3, 2011
  • Characteristics of patients with nonalcoholic steatohepatitis who develop hepatocellular carcinoma
    Yasui K, Hashimoto E, Komorizono Y, Koike K, Arii S, Imai Y, et al.
    Clin Gastroenterol Hepatol. May 2011;9(5):428-33
  • High HBV-DNA Titer in Surrounding Liver Rather Than in Hepatocellular Carcinoma Tissue Predisposes to Recurrence After Curative Surgical Resection
    Choi JG, Chung YH, Kim JA, Jin YJ, Park WH, Lee D, et al.
    J Clin Gastroenterol. May 2012;46(5):413-9

 

Data pubblicazione: 16 ottobre 2013

Autore

francescoquatraro
Dr. Francesco Quatraro Gastroenterologo, Colonproctologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1986 presso Università degli Studi di Bari.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Bari tesserino n° 8211.

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