Ernia del disco: il trattamento chirurgico e quello non chirurgico

L'Autore prende in considerazione alcune problematiche legate alla terapia del dolore lombare da ernia del disco,mettendo in risalto quando è opportuno intervenire chirurgicamente e quando invece la terapia conservativa può avere buoni risultati tali da evitare l'atto chirurgico o rimandarlo al fine di un inquadramento diagnostico più scrupoloso. L'A. conclude con la necessità/obbligo di informare il paziente candidato all'intervento dei rischi e e dei benefici dell'una e dell'altra strategia terapeutica.

Premessa

La patologia dell’ernia discale è essenzialmente chirurgica, ma è opportuno sapere che,salvo quei casi di cui si dirà più avanti, prima di giungere all’intervento è d’obbligo il trattamento conservativo, sgombrando però il campo di tutti quei presidi più o meno empirici che al giorno d’oggi nascono come i funghi e che poco hanno a che vedere con una seria terapia dell’ernia discale e/o del dolore lombare.

La terapia conservativa 

Il trattamento non chirurgico consiste essenzialmente in:

1) Riposo a letto

Spesso il riposo è ritenuto controindicato e inutile, reputando al contrario che il movimento e l’esercizio fisico siano il mezzo non solo per curare, ma anche per prevenire le affezioni dell’apparato muscolo-scheletrico.

Nulla di più errato! Il riposo a letto è il fondamento della terapia conservativa dell’ernia del disco e un paziente cui non è stato prescritto o non ha osservato la prescrizione di un congruo periodo di riposo a letto, non può dirsi che sia stato trattato correttamente.

E’ d’obbligo la posizione supina su superficie solida di un letto, in quanto essa riduce considerevolmente la pressione discale, responsabile sia del dolore lombare che del dolore radicolare o sciatico, mentre è sconsigliata la posizione prona, in quanto procura la tendenza alla flessione della colonna.

Tale provvedimento va escluso per quei pazienti con incipiente o conclamato danno neurologico o per altri motivi per cui il prolungato allettamento non sia possibile o controindicato.

Quanto tempo bisogna stare a letto?
Un periodo medio è stimato in 2-3 settimane con i successivi 10 giorni di ripresa di graduale mobilizzazione.

Cosa fare se compaiono deficit neurologici o il dolore non recede?
Se, nonostante il riposo, il dolore alla gamba ricompare o non scompare, bisognerà dichiarare fallita la terapia del riposo a letto e incominciare a pensare alla terapia chirurgica.

2) Trazioni

Le trazioni, molto in auge nel passato, oggi non trovano (o non dovrebbero trovare) alcuna indicazione e quindi non dovrebbero essere prescritte.

Infatti un tale provvedimento non aggiunge nulla alla terapia conservativa, essendosi statisticamente provato che pazienti sottoposti a trazione non dimostrano differenze significative rispetto a quelli non sottoposti a trazione.

La trazione potrebbe essere usata come “escamotage” psicologico per alcuni pazienti che non riescono ad osservare il periodo di riposo a letto.

3) Manipolazioni

Non vi sono prove scientifiche che le manipolazioni della colonna vetebrale abbiano una qualche efficacia, anche se in qualche caso si osserva la regressione del dolore, attribuibile però alla decontrattura muscolare originata dal dolore discale.

In ogni caso non vi è un reale vantaggio e soprattutto, come qualcuno avanza, non fa rientrare l’ernia del disco.

Perchè l’ernia non può rientrare?
L’ernia del disco non è un viscere che fuoriesce per una debolezza della parete addominale (ernia inguinale per es.). Il disco è composto da una massa semifluida interna, il nucleo polposo e un guscio fibroso, l’anulus.

La fuorisucita del nucleo può essere paragonata alla fuoriuscita della pasta dentifricia dal tubetto. Arduo sarebbe tentare di rimettere il dentifricio nel suo astuccio!

4) Terapia farmacologica

Fermo restando che il riposo a letto è il miglior modo per controllare il dolore e lo spamo muscolare, la assunzione di farmaci è finalizzata alla regressione della infiammazione delle radici nervose e al decontrattura muscolare.

Solitamente vengono somministrati cortisone e/o aspirina.

Ma il dolore, il più delle volte, ricompare alla sospensione dei farmaci, soprattutto se l’ernia del disco è conclamata.

5) Altro

In questo paragrafo possiamo annoverare altre procedure, come le infiltrazioni peridurali, la radiofrequenza intradiscale, ma esse vanno considerate nell’ambito dell’atteggiamento di attesa al fine di valutare l’indicazione all’intervento di discectomia.

 

Indicazioni al trattamento chirurgico

Le indicazione a rimuovere chirurgicamente un’ernia del disco dovrebbero essere (e lo sono) ben precise, ma in molti casi la decisione del chirurgo può essere ardua.

Ho sempre affermato durante la tutta la mia carriera (e ancora oggi) che il difficile non è eseguire l’intervento di discectomia, ma sapere quando eseguirlo!

La certezza indiscutibile è la evidenza di un’ernia espulsa con deficit, anche sfumato, neurologico (ipo-anestesia del piede-gamba, diminuzione della forza muscolare).

Per approfondire:Ernia discale: efficacia del trattamento per via percutanea

Problematiche non di poco conto

Le problematiche inerenti al trattamento chirurgico subentrano quando ci si trova di fronte a pazienti che si trovano sofferenti o invalidati, più o meno totalmente, per la presenza di dolore che non risponde alla terapia conservativa.

Cosa fare in questi casi?
Innanzi tutto non sottovalutare la storia clinica del paziente nè l’aspetto psicologico e cercare la massima corrispondenza tra la sintomatologia, l’obiettività clinica e quanto evidenziato agli esami strumentali.

I pazienti più problematici e, in un certo senso, più difficili da trattare sono quelli affetti da dolore più o meno consistente e che non hanno alcun deficit neurologico.

Questo gruppo di pazienti, cui il riposo a letto ha fatto regredire in modo soddisfacente il dolore, spesso non si dichiarano soddisfatti e dichiarano che non sono in grado di riprendere il lavoro, che non possono vivere una quotidianità normale ecc.

Tali pazienti solitamente hanno delle caratteristiche di cui il chirurgo deve tener conto e cioè: l’età,il tipo di lavoro, ovvero se autonomo o dipendente, se questo comporta la necessità di ipersollecitazioni della colonna vertebrale, la capacità psicologica di gestire il dolore, gli scopi nella vita, le aspettative immaginate e prospettate dall’intervento, comprese quelle di accettarne l’insuccesso.

I pazienti che hanno una sintomatologia meno grave sono, in genere, quelli che si aspettano risultati perfetti.

Al giorno d’oggi però le tecniche chirurgiche si sono affinate, l’uso del microscopio operatorio ha ridotto considerevolmente le complicanze e gli insuccessi e consente di non escludere più molti pazienti che un tempo si preferiva non sottoporre a intervento.

 

Vi sono criteri di selezione per tali pazienti?

No. Non vi sono precisi atteggiamenti o linee guida che consigliano di escludere un paziente piuttosto che un altro che abbia una patologia chirurgica o potenziamente chirurgica dell’ernia discale.

Vi sono però alcuni criteri, che definirei empirici, a cui bisosgnerebbe prestare maggior attenzione di quanto oggi si faccia.

Tali parametri possono riassumersi nei seguenti profili: l’umore e lo stato psicologico del paziente e la reale volontà di guarire.

Vi sono infatti persone che attribuiscono la propria patologia a lesioni derivanti dal proprio lavoro, altri a responsabilità di terzi in contenziosi giudiziari e psicologicamente sono più o meno inconsciamente spinti a di star bene.

La sindrome di fallimento della chirurgia spinale ovvero Failed Back Surgery Syndrome (FBSS) può trovare in questi aspetti la sua causa.

Allora non bisogna operarli?
Certo che bisogna operarli, soprattutto se vi sono incipienti alterazioni neurologiche (da sofferenza delle radici nervose lombari), ma per alcuni di tali pazienti bisogna, a mio parere, agire con molta cautela, valutare la reale entità della sintomatologia, non lasciarsi coinvolgere dalla fretta di intervenire, ma neanche abbandonare al proprio destino un paziente per quanto possa essere problematico.

 

L’intervento chirurgico 

Si danno qui solo brevi cenni alla tecnica maggiormente utilizzata e che dà migliori risultati, ovvero la microdiscectomia lombare dove il termine micro sta per tecnica microchirurgica ossia effettuata con l’ausilio della magnificazione ottica, cioè il microscopio operatorio.

L’uso del microscopio consente:

a) di effettuare una incisione cutanea di 3-4 cm.

b) di accedere al cavo spinale dove è erniato il tessuto discale soltando asportando il legamento giallo, ossia quel particolare tessuto che è interposto tra due lamine vertebrali senza quindi la necessità di abbattere tali elementi ossei.

c) di effettuare l’ampliamento del forame attraversato dalla radice nervosa compressa dall’ernia

d) di controllare qualsiasi fonte di sanguinamento

e) di riparare correttamente una eventuale lacerazione della dura (membrana che avvolge le radici lombari).

f) una precoce guarigione della ferita

g) la possibilità di riprendere la stazione eretta il giorno dopo l’intervento e, in alcuni casi, lo stesso giorno.

h) un minor tempo convalescenza (1-2 settimane)

i) di ridurre, cosa molto importante, il rischio di reazioni cicatriziali che possono dare, seppur nella maggioranza dei casi reversibili, disturbi post operatori.

 

Le complicanze

Ogni cosa a questo mondo ha un suo richio. Attraversare una strada,viaggi in aereo, in treno, in auto e così via, ma ciò non ci impedisce di viaggiare, di uscir di casa ecc.

Allo stesso modo ogni atto terapeutico, sia medico che chirurgico, ha dei rischi, dalla somministrazione di farmaci più o meno impegnativi, dall’estrazione di un dente al trapianto cardiaco.

Questo non impedisce che vengano somministrate terapie, non impedisce la necessità dell’intervento chirurgico.

Detto questo, è importante capire che, se un intervento chirurgico è effettivamente indicato e necessario, il rischio di non effettuarlo può essere maggiore che del rischio stesso dell’atto chirurgico.

Un esempio viene proprio dalla chirurgia spinale, dove un’ernia del disco che comprima il midollo e le radici nervose (in sede cervicale e dorsale) o le sole radici in sede lombosacrale, può danneggiare tali strutture con danni neurologici a volte molto gravi con rischio molto più alto di quello eventualmente possibile durante l’atto chirurgico.

Le complicanze, di entità media, cui si può andare incontro a seguito di un intervento di microdiscectomia sono:

1. Infezione della ferita e del tessuto osseo sottoposto a manipolazione chirurgica

2. Lesione-contusione della radice nervosa

3. Reazione cicatriziale

4. La cosiddetta recidiva

5. La lesione durale

Nel primo caso è la discite ovvero l’infezione dello spazio discale, quella più temibile per il lungo periodo di convalescenza e di cure con antibiotici, ma del tutto risolvibile.

Il secondo caso si può verificare per una eccessiva trazione che il chirurgo deve fare per poter rimuovere l’ernia, ma l’uso di cotonini protettivi, il tempo breve di compressione evitano tale complicanza.

La reazione cicatriziale con la tecnica microchirurgica è abbastanza rara, anche se spesso essa dipende da una predisposizione individuale. Nella maggioranza dei casi in cui si verifica, i sintomi (solitamente il perdurare della sciatalgia) regrediscono in qualche settimana.

La recidiva dell’ernia discale non è una vera e propria recidiva, nel senso che il tessuto discale, una volta rimosso, non si riforma.

Può invece succedere che, negli anfrattidello spazio discale rimangano dei piccoli frustoli di disco che nella stargrande maggioranza dei casi non creano alcun problema.

In qualche caso, anche e soprattutto per la precoce mobilizzazione post operatoria, questi frustoli possono essere nuovamente fuori, ossia nel cavo spinale nella sede della precedente ernia, configurandosi così la recidiva.

Quando ciò si verifica, è necessario reintervenire solo se il frustolo crea un conflitto con la radice tale da riproporre la sintomatologia precedente.

La lesione durale è una complicanza solo se essa passa inosservata al chirurgo, poichè la sua riparazione non produce alcun reliquato, essendo, in molti interventi di neurochirurgia, uno dei previsti tempi chirurgici.

Quando si verifica e non ce ne si accorge, si possono verificare fistole che vanno riconosciute per poter provvedere alla loro riparazione.

La complicanza più grave da considerarsi pressochè improbabile, è costituitia da lesione dei vasi addominali qualora il chirurgo non dovesse accorgersi di aver lacerato il legamento longitudinale anteriore. Evenienza questa davvero rarissima, che qui viene citata solo per completezza d’esposizione.

Elencare le possibili complicanze è un obbligo di Legge che viene formalizzato con il consenso informato accanto al quale è anche doveroso elencare i benefici della terapia chirurgica, in modo che il paziente abbia un quadro il più completo possibile e possa giungere con tranquillità e fiducia sul tavolo operatorio.

Data pubblicazione: 13 dicembre 2010

Autore

giovannimigliaccio
Dr. Giovanni Migliaccio Iscritto decedutoNeurochirurgo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1979 presso UNIVERSITA' DI NAPOLI.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Milano tesserino n° 31889.

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