Depressione, Alcol e Droghe

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

L’uso di alcol e droghe inizia solitamente con un umore tutt’altro che depresso, o quantomeno ambivalente. Certamente chi usa droghe, anche se è triste o di cattivo umore, ha l’istinto a spingere il proprio cervello in una direzione opposta. Altrettanto certamente il cervello è all’inizio in grado di rispondere in maniera euforica alle sostanze usate.

Quello che le persone non sanno, o a cui non riescono a dare il giusto peso, è che il cervello non è fatto per sostenere ripetutamente o abitualmente l’effetto euforizzante delle droghe e dell’alcol.

Il cervello funziona con un carburante chimico. Quando le sostanze fanno girare il motore al massimo, o comunque fanno accelerare rapidamente per produrre l’euforia, questo carburante è consumato. Soprattutto però non c’è un automatico rifornimento.

Questo effetto si vede bene “il giorno dopo” aver usato stimolanti, alcol, amfetamine e quant’altro. Se l’uso è episodico il cervello riesce a riprendersi in maniera “elastica”. Se l’uso è massiccio, o ripetuto a breve distanza, si crea un “debito” chimico, ovvero alcune zone del cervello non hanno più carburante per funzionare a dovere, pertanto si assestano su una funzione alterata, ridotta di solito.

Il problema è che quando questo “debito” si produce, la reazione che il cervello adotta non è più automaticamente elastica: quando si sospende l’uso dopo un periodo, non bastano giorni a recuperare la funzione normale.

L’adattamento del cervello al debito di carburante “mentale” corrisponde infatti ad una istruzione che si è “strutturata”, cioè a livello molecolare il cervello ha cambiato assetto, e questo fa sì che almeno per un po’ questo assetto non sarà modificato.

Il cervello, se stimolato al massimo dalle sostanze, reagisce mettendosi in posizione di riposo, se le sostanze continuano ad arrivare frequentemente, questa posizione di riposo è “prenotata” per così dire, per un certo periodo, a prescindere, cosicché anche se poi la persona sospende l’uso dovrà aspettare un po’ perché il cervello ricominci a girare da solo normalmente.

Se la persona insiste con l’esposizione alle sostanze, si possono verificare dei cambiamenti ancora meno elastici, che corrispondono a modificazioni cellulari, o in più, o in meno.
Il cervello, rispetto agli altri organi, è lentamente modificabile, per cui le modifiche tendono ad essere persistenti, anche se non si è effettivamente “rotto” niente, cioè anche se non vi è stata perdita di materiale.
In casi estremi, come nelle intossicazioni da metamfetamine, si può verificare anche questo, cioè una perdita vera e propria di sostanza cerebrale.

 

A seconda del tipo di sostanza, i danni possono variare. Costante è quello sull’umore e sulla capacità di provare piacere e interesse per le cose, che di solito ruota intorno all’umore.
I “reduci” dall’abuso di sostanze passano lunghi periodi in cui, nonostante la capacità di astenersi dall’uso di sostanze o l’esaurimento dell’interesse per esse, non vedono più orizzonti stimolanti e intriganti nella vita quotidiana, cioè non hanno più un “progetto di piacere”.

Paradossalmente, i danni più gravi e più persistenti su altre funzioni le producono con maggiore probabilità le droghe cosiddette leggere, cioè quelle che invece non tendono a dare vera e propria dipendenza.

Le sindromi depressive in chi ha abusato di alcol o droghe hanno quindi tre caratteristiche fondamentali. Sono incentrate sulla apatia, abulia e carenza di gratificazione e di stimoli, come se il cervello fosse incapace di identificare il piacere o di interessarsi alle cose disponibili.

Il sistema di gratificazione della persona è come un fiammifero, che può bruciare subito e molto ma per poco, mentre invece non riesce a prender fuoco piano piano, crescere e rimanere acceso a lungo. Inoltre, per produrre “fiammate” di piacere ed euforia è necessario spesso un innesco che corrisponde a situazioni rischiose.
La persona può quindi essere in cerca di entusiasmi sempre più effimeri o fasulli e disinteressata agli aspetti costruttivi o duraturi delle cose.

Il secondo aspetto è la l’atteggiamento fortemente distonico rispetto allo stato d’umore. Le persone con storia di uso di sostanze mal sopportano anche una situazione di depressione lieve, perché il punto di riferimento automatico del cervello non è più una ipotetica linea normale ma l’euforia “fatua” delle sostanze. “Star male” quindi è avvertito con il peso della differenza che passa tra il massimo e una tacca sotto la sufficienza, e non tra una tacca sotto e la sufficienza.

Spesso la depressione in queste persone non è neanche “completa”, ma si accompagna ad una capacità di funzionamento intermittente, o apparentemente normale o sufficiente, anche se con una grande differenza tra come la persona sembra da fuori e come dichiara di sentirsi.
La persona può alternare momenti di abulia e disinteresse generalizzato ad altri di smania, come a cercare soddisfazione in qualcosa che però non compare o non è ben identificato. Questa forma di insoddisfazione e incapacità di “agganciare” i piaceri normali rende i rapporti conflittuali o non duraturi.

 

Il terzo aspetto è il carattere “misto” delle depressioni. Spesso le persone con storia di uso di droghe hanno un temperamento reattivo, vivace, talora suscettibile o irritabile, talora vulnerabile.
Dopo l’uso di droghe l’ansia tende ad aumentare, ed è un’ansia che è scarsamente tollerata, vissuta con urgenza, rabbia e ha dei momenti di intensità crescente in cui la persona si sente paralizzata o angosciata, con pensieri veloci e confusi, un senso di urgenza e di non aver via d’uscita, ma di dover far qualcosa per evitare di soccombere o di “impazzire”.

Questi quadri corrispondono a quel che si chiama “stato misto dell’umore”, la persona che li vive, se li deve autogestire, di solito cerca come prima cosa di tenere a bada l’ansia.
Lo svilupparsi di un’ansia insopportabile durante o dopo aver cessato l’uso di sostanze può spingere a “cambiare sostanza”, magari passando da una che hanno intenzione di non usare più ad un’altra apparentemente più accettabile e innocua.

Inoltre, dalla posizione di un cervello che funziona al di sotto della sua precedente normalità, spesso c’è uno spostamento da sostanze “eccitanti” a sostanze “narcotiche” o “tranquillanti”. Questo tipo di evoluzione, che rincorre (almeno nelle dichiarazioni della persona) l’intento di tenere a bada l’ansia, finisce di fatto per peggiorare la depressione.

 

Una forma di depressione da sostanze diffusa e poco controllabile è quella indotta dall’uso continuato di tranquillanti, iniziati per motivi vari, dall’insonnia agli attacchi di panico, e poi proseguiti in dosi stabili o crescenti per mesi o anni.
In particolare le donne, anche che non abbiano storia di uso di alcol o droghe, possono ricorrere per mezzo dei tranquillanti al controllo dell’ansia portando però ad un progressivo calo delle energie, dell’umore e della capacità di tollerare gli stimoli esterni spiacevoli.

 

Il trattamento di questi quadri non è semplice e diretto, perché di solito quando si studiano farmaci antidepressivi per valutarne l’efficacia le persone che abusano di alcol o droghe sono escluse dal campione esaminato.
Il numero di persone in cui la depressione si presenta, già al primo episodio, insieme o dopo ad una abitudine all’uso di alcol o droghe è però in aumento, cosicché questo aspetto diventa sempre più interferente nel prevedere la risposta alle terapie, o nello scegliere quelle più adeguate.

Inoltre, spesso un trattamento focalizzato sulla depressione senza ulteriori specifiche tende a dare per scontato che l’uso di alcol o droghe scomparirà se l’umore migliorerà, cosa invece non probabile.
In particolare, un trattamento che si orienta verso la depressione come origine e centro della malattia può ritardare una diagnosi di dipendenza o alcolismo e addirittura peggiorare l’andamento dell’uso di alcol e droghe, come accade con alcuni antidepressivi.

Data pubblicazione: 02 marzo 2010

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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