Psicosi...e poi?

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Psicosi acuta o episodio psicotico sono diagnosi iniziali che necessitano di successiva definizione. Sono fasi di esordio di malattie tra loro diverse, con prospettive di cura e comportamenti da tenere che possono variare significativamente.

Le psicosi, una perdita di contatto con la realtà

Il termine psicosi è un termine molto generico per indicare la perdita del contatto con la realtà, sia nel senso di come la realtà percepita, sia di come la realtà è interpretata e giudicata.
La persona psicotica ha convinzioni che non sono il risultato di un processo di elaborazione critica sulle proprie impressioni o sui propri ragionamenti, ma si producono in maniera diretta come traduzione di pensieri in realtà.

Una situazione di psicosi è comune a diverse malattie, e si può osservare come crisi, cioè in condizioni di comportamenti agitati o pericolosi, oppure come stato stabile.
La psicosi “acuta” è una diagnosi che si può trovare nella dimissione da un ospedale, quando la persona ha già un trattamento in corso. La diagnosi di psicosi acuta è però da definire dopo la fase iniziale di urgenza, perché a seconda del tipo di malattia le strategie di cura cambiano, così come cambia il tipo di evoluzione.

Alcune distinzioni possono essere già fatte nell’immediato, ad esempio con esami che ricercano eventuali sostanze in grado di provocare psicosi come cannabis, allucinogeni, cocaina, amfetamine, meno frequentemente alcol, o accertando eventuali stati di sindrome da sospensione di alcol e tranquillanti, condizioni piuttosto frequenti in pazienti ricoverati per altra causa che improvvisamente diventano agitati, confusi e deliranti.

Talvolta si osserva la dizione “psicosi NAS” (non altrimenti specificata) o “psicosi paranoide”: quest’ultima espressione indica semplicemente che è presente un delirio (paranoia) senza dare indicazioni precise sulla malattia.

Cause delle psicosi e diagnosi

Alcune cause possono essere accertate immediatamente, ad esempio l’uso di droghe, o la sospensione di droghe o farmaci che la persona assumeva. In base alla fascia di età ad esempio si può pensare a ipotesi più o meno probabili.

In una persona giovane le psicosi più probabili, tolte quelle indotte da droghe, variano dal primo episodio di una schizofrenia alla più frequente psicosi maniacodepressiva (altrimenti detta disturbo bipolare di tipo I) al disturbo schizofreniforme, fino alla psicosi reattiva breve.

Parte di queste diagnosi sono stabili, cioè individuano malattie propriamente dette che non cambiano nel tempo (psicosi maniacodepressiva, schizofrenia), mentre altre sono diagnosi provvisorie, per le quali non resta che l’osservazione nel tempo.

Dalle statistiche, risulterebbe che una psicosi breve (che spontaneamente cioè si risolve in tempi inferiori al mese con recupero completo delle funzioni) si conferma come unico episodio dopo anni di osservazione in un terzo dei pazienti, i casi restanti nel tempo vanno incontro a nuovi episodi, configurando o un disturbo bipolare, o, molto meno spesso, una schizofrenia.

In una persona adulta o anziana senza storia psichiatrica, una psicosi acuta fa invece sospettare la presenza di una malattia neurologica localizzata o diffusa, in quest’ultimo caso di tipo cerebrovascolare o demenziale. Da ricordare che la demenza di Alzheimer può avere un esordio di tipo psicotico e che la fascia di età caratterizzata è anche quella presenile.
Alcune psicosi invece si sviluppano in malati neurologici con sindrome di Parkinson che assumono farmaci anti-parkinson.

Nella fascia giovanile i quadri psicotici sono un po’ cambiati negli ultimi decenni, poiché la frequente presenza di droghe modifica il decorso classico, e aumenta la persistenza di sintomi psicotici anche dopo la risoluzione di una crisi di agitazione, limita il ritorno ad una buona funzione, e facilita i ripetersi degli episodi.
Questi quadri a volte ricalcano quelli già noti, e la droga funziona semplicemente da fattore scatenante, in altri casi si ipotizza che l’azione della droga produca nel tempo alterazioni cerebrali stabili, in quest’ultimo caso con una differenza pesante sulla prognosi.

La psicosi reattiva breve è una forma benigna, che tuttavia non può essere diagnosticata con certezza se nel frattempo la persona ha assunto terapia antipsicotica. Di solito ci si basa sul tipo di quadro clinico e sulla modalità di sviluppo, improvvisa e in reazione a fattori stressanti chiari, allo stato di coscienza “sognante” che accompagna la fase, talora con disorganizzazione nella sequenza passato/presente o anacronismi.
E’ una diagnosi definitiva, che non dovrebbe essere posta a distanza di pochi giorni in corso di terapia antipsicotica, poiché spesso questo equivoco fa pensare alla persona di poter sospendere la cura senza rischi.

Attualmente, per una diagnosi certa che almeno distingua tra le principali malattie psicotiche, sono necessari alcuni mesi di osservazione, a meno che nell’immediato non si osservino chiari segni di una fase affettiva di tipo maniacale (psicosi maniacodepressiva) o vi sia già una storia con precedenti fasi non curate dello stesso tipo. 
Un criterio importante da tener presente è se la persona nei mesi successivi all’inizio della cura tende a ritornare ai suoi impegni e alle sue preoccupazioni normali (magari anche lamentandosi di non riuscire a funzionare bene), oppure rimane passivamente “freddo” e disinteressato, specialmente sul piano delle relazioni con gli altri e della vita produttiva.

Terapia delle fasi acute delle psicosi

Le fasi acute delle psicosi si superano con terapie che possono funzionare bene sui sintomi (allucinazioni, deliri, agitazione, aggressività) indipendentemente dalla malattia, così come un farmaco per un’infiammazione o per un dolore. E’ però opportuno che il prima possibile si cerchi di individuare quale malattia si ha di fronte, in maniera da scegliere la cura più adatta sia per migliorare l’evoluzione e i postumi, sia per prevenire le ricadute.

La terapia di una fase acuta, se si tratta di una psicosi maniacodepressiva, potrà essere diversa da quella che poi si utilizza nella fase successiva. In una psicosi schizofrenica si può semplicemente programmare la prosecuzione della cura variandone le dosi. Non sempre la cura antipsicotica utile in fase acuta ha un’efficacia preventiva sulle ricadute, il che è fondamentale nella cura di una psicosi maniacodepressiva, che è per sua natura intermittente e ricorrente.

In questa malattia l’uso continuato di farmaci antipsicotici, specie a dosi piene, può inoltre facilitare la depressione che segue una fase agitata, mentre invece una volta risolta la fase c’è la possibilità di ricorrere ad altri tipi di medicine o quantomeno dosaggi più contenuti, passando da una tattica di contenimento di una urgenza ad una di prevenzione delle ricadute e limitazione degli effetti collaterali.

Prevenire e gestire le psicosi

Dal punto di vista della gestione e della previsione del rischio, esistono sostanziali differenze. Una persona con psicosi maniacodepressiva tenderà per sua natura a considerare intollerabili alcuni effetti collaterali, che potranno essere la causa della sospensione delle cure, oppure cercherà alcune situazioni o sostanze che funzionano da fattore scatenante sulle ricadute, perché in quelle circostanze tenta di prodursi uno stato di maggiore gratificazione. In assenza di queste possibilità la persona con psicosi maniacodepressiva, anche ben curata, potrà lamentare uno stato di apatia e abbrutimento, con distacco sociale e blocco delle iniziative.

In conclusione, dopo un episodio psicotico la diagnosi va orientata verso una diagnosi di malattia, per migliorare la scelta delle cure sia come efficacia preventiva che come tipo di effetti collaterali. Frequentemente sono presenti sintomi depressivi dopo la risoluzione di una psicosi, anche questi di significato diverso a seconda del tipo di malattia.

Data pubblicazione: 30 marzo 2011

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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