Maltrattamenti e abusi: la violenza di genere

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Dr. Alessio Sandalo Psicologo, Psicoterapeuta

Maltrattamenti e abusi nella la violenza di genere: la violenza domestica con scenari, comportamenti, interventi - il gaslighting e le conseguenze della violenza nelle relazioni intime sulla salute delle vittime e degli spettatori

LA VIOLENZA DOMESTICA: SCENARI, COMPORTAMENTI, INTERVENTI 

Per descrivere il contesto complesso della violenza domestica, mi sembra efficace la descrizione e la testimonianza di lavoro di un operatore sul campo con profonda esperienza pluriennale.

Riporto dunque un brano tratto da Simonetta Agnello Hornby – Marina Calloni "Il male che si deve raccontare – per cancellare la violenza domestica" – Feltrinelli editore, Milano, maggio 2013.

La violenza avviene prevalentemente in casa. L'aggressore inizia con il colpire la vittima la sera, da solo, spesso dopo aver bevuto, o la mattina quando i bambini dormono ancora, o nei giorni di festa.

Con il passare del tempo può perdere le inibizioni e colpirla a qualsiasi ora, davanti ai figli, alle amiche, ai parenti, e perfino all'aperto, senza ritegno e senza paura delle conseguenze.

I testimoni della violenza raramente ne parlano. Per paura, per vergogna, e perché si sentono impotenti.

La violenza domestica è corporea e manuale: mani, piedi, bocca. Le armi bianche, specialmente i coltelli, sono molto usate, e così anche martelli, pesi e manganelli. Raramente in Inghilterra si usano le armi da fuoco. Quando la violenza diventa sevizia e crudeltà sfocia nel sado-masochismo.

E' raro che i rapporti tra vittima e aggressore siano violenti sin dall'inizio. Tuttavia, di recente la stampa inglese ha riportato i risultati di alcune ricerche da cui sembra che i rapporti tra i giovanissimi siano improntati a una violenza maggiore rispetto al passato: sotto accusa la televisione, il cinema e il comportamento di certi personaggi famosi, che subiscono violenza dai loro compagni e anche quando li lasciano poi ritornano da loro.

Sappiamo che la violenza esplode più facilmente durante i preparativi per le vacanze e le feste o in villeggiatura, quando si sta di più insieme e spesso gli spazi sono ristretti – l'automobile, il camper, la tenda, una camera d'albergo. Oppure esplode in cucina, mentre la vittima sta preparando il pasto per la famiglia e l'aggressore le ronza attorno o la guarda, torvo, da lontano. Oppure quando un figlio è malato e la madre lo accudisce amorevolmente, sottraendo tempo al padre. Oppure ancora, quando la coppia si ritrova sola in casa perché i bambini sono dai nonni o da amici.

La violenza scaturisce spesso da un cambiamento nel rapporto di coppia – matrimonio, gravidanza, nascita di un figlio con conseguente senso di esclusione del padre, disoccupazione, successo della donna sul lavoro.

Nasce anche da sentimenti, sensazioni, fatti, avvenimenti di cui la vittima è all'oscuro o che non ha cosciamente provocato. Ma l'aggressore la accusa di esserne responsabile.

Come seguendo un copione, le donne raccontano le sofferenze fisiche – braccia rotte, costole incrinate, ferite, bruciature – e altre più atroci, come stupro e incesto. Il loro atteggiamento è quello di chi sapeva di esserla cercata e si sentiva colpevole per aver risvegliato l'aggressività del proprio uomo: amante, marito, padre, dei propri figli. Mi dicono che lui aveva subìto violenza da bambino o da ragazzo, e per questo avevano sopportato i pestaggi, le parolacce, le umiliazioni. Si sentivano indegne e incapaci. Hanno paura di perdere i figli. E non hanno nessuno che le sostenga. Da parte loro, gli uomini negano e attaccano la reputazione e l'affidabilità delle donne; più negano, più quelle si sentono in colpa: “l'ho provocato, non avrei dovuto rispondergli in quel modo. E' colpa mia, mi creda,” ripetono, e mi guardano con occhi pieni di vergogna.

Le vittime si sentono responsabili di quanto io vedevo sul loro corpo e talvolta anche su quello dei loro figli: lividi, abrasioni, tagli. Queste donne senza speranza non avevano alcun rispetto di sé. Molte ritrattavano su pressione non dell'aggressore ma della loro famiglia di origine. Temevano di non essere credute dal giudice. Avevano paura di incontrare l'aggressore faccia a faccia nella sala d'aspetto di un tribunale, e di dover testimoniare al processo.

Sapevano che in aula non avrebbero avuto nessuno che desse loro sostegno. Una mi fece ascoltare un messaggio nella segreteria del telefonino: “Vai pure dall'avvocato! Diglielo cosa ti ho fatto, bugiarda! E io spiegherò nell'aula del tribunale quello che tu, schifosa, hai fatto a me. Mi hai rovinato la vita! E' tutta colpa tua!”.

La violenza domestica era un tabù, come l'incesto, e la gente era convinta che si vivesse meglio fingendo che non ci fosse. La solitudine della vittima era totale, e così la sua vergogna. Le amiche si defilavano, e non soltanto per paura di ripercussioni spiacevoli; venivano in ufficio per deporre a favore della vittima e se ne andavano incerte se avevano fatto la cosa giusta; poi, la telefonata: “Ho cambiato idea, non voglio testimoniare”. Oppure sparivano e non rispondevano alle mie lettere. Altri testimoni – il portiere, la vicina, la madre dell'amico del figlio, la maestra, e perfino gli stessi parenti – echeggiavano questo voler dimenticare, nascondere, perdonare, formando un coro che cresceva fino a diventare assordante.

Simonetta Agnello Hornby ha svolto la professione di avvocato per otto anni, è stata presidente part time dello Special Educational Needs and Disability Tribunal a Londra. Dal 2012 collabora con la Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence.

Per approfondire:Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: un solo giorno non basta!

LA VIOLENZA PSICOLOGICA ALL'INTERNO DELLA COPPIA: IL GASLIGHTING 

Nel 1944 il regista americano George Cukor produsse il film Gaslight, interpretato da Ingrid Bergman e Charles Boyer e tratto dall'opera teatrale Angel Street di Patrick Hamilton (1938). Il film, tradotto in italiano con il titolo Angoscia, è un dramma psicologico ambientato nella Londra vittoriana e incentrato sul rapporto tra due coniugi, nel quale il marito Gregory, uomo misterioso e carismatico, attraverso una sottile e diabolica strategia psicologica, conduce la più giovane moglie Paula sull'orlo della pazzia. Nel film, infatti, il perverso protagonista, attuando una manipolazione mentale lucida e costante, finalizzata a far dubitare la donna delle proprie facoltà mentali e del proprio esame di realtà, abbassa e alza le luci a gas (gaslight, appunto) della casa, attribuendo il fenomeno ad allucinazioni visive della moglie, della quale riesce a confondere il giudizio fino al punto di condurla alla convinzione di non essere più in grado di fidarsi delle proprie percezioni e di essere malata.

Sarà soltanto grazie al fortuito intervento di un detective, il quale farà affiorare la verità scoprendo l'indole psicopatica del marito e il suo intento criminale, che la vittima della sinistra manipolazione potrà alla fine salvarsi e riacquistare la propria lucidità.

Anche il film di Alfred Hitchcock Rebecca – la prima moglie (1940), tratto dal romanzo di Daphne du Maurier Rebecca (1938), è un chiaro esempio di gaslighting. Una timida ragazza diventa la moglie del vedovo Max De Winter, dopo averlo dissuaso dal suicidio. Nell’antica dimora dove la coppia vive, la nuova signora De Winter si accorge che tutti la considerano inferiore a Rebecca, la prima moglie di Max. In particolare la ragazza è sottoposta ai continui sbalzi d’umore del marito ed alla spettrale presenza della governante, signora Danvers. Quest’ultima, che vive nel ricordo della defunta, sottopone la nuova signora De Winter a continue umiliazioni, tanto da accenderle una sensazione di estraneità e farle nascere intenti suicidi.

Un meccanismo manipolativo

Il Gaslighting è inquadrabile in una forma di violenza psicologica e di abuso emozionale di cui la vittima difficilmente acquisisce consapevolezza e che, seppure tenda a manifestarsi prevalentemente nei rapporti di coppia, può svilupparsi anche in àmbiti diversi, quali quello familiare, lavorativo oppure amicale e pare non conoscere distinzioni di classe sociale e livello culturale.

In sintesi, si tratta di una sottile forma di violenza che può essere definita come un insieme di comportamenti che un manipolatore agisce nei confronti di una persona per confonderla, renderla dipendente, farle perdere la fiducia in se stessa e nel proprio giudizio di realtà fino a farla dubitare della propria sanità mentale. L'obiettivo del gaslighter è quello di privare la vittima dell'autonomia del suo Io, della sua autostima e della sua competenza decisionale, riducendola ad una condizione di dipendenza sia fisica che psicologica, esercitando e mantenendo su di essa controllo e potere.

Lo stato di soggezione psicologica in cui arriva a trovarsi imprigionata la vittima alimenta a sua volta, in una circolarità perversa, l'esigenza di rinforzare il suo legame con il carnefice, il più delle volte significativamente idealizzato e percepito come potente e sicuro, a fronte della propria vulnerabilità e insicurezza, alimentando così la spirale di dipendenza e ponendo le basi per la prosecuzione del comportamento manipolativo.

Sulla psicologia del gaslighting si sono pronunciati anche gli psicoanalisti Victor Calef ed Edward M.Weinshel (1981), inquadrandolo come una variante della relazione sadomasochistica.

Non vi sono parole per descrivere la sensazione di morte imminente che prova la persona colpita da questo tipo di maltrattamenti psicologici. Alla vittima è tolta la speranza del domani e ben presto manifesterà problemi psichici e psicosomatici.

In numerosi casi il comportamento di gaslighting è adottato dal coniuge abusante per chiudere rapporti coniugali travagliati dietro ai quali, molto spesso, si celano insoddisfazioni personali e relazioni extraconiugali.

 

Le fasi del gaslighing

Dal punto di vista degli effetti prodotti sulla vittima, il fenomeno del Gaslighting è caratterizzato da tre fasi:

  • la fase dell'incredulità, nella quale la vittima, mantenendo ancora una sufficiente sicurezza di sé e conservando un'adeguata dose di obiettività, non attribuisce grande credito ai messaggi provenienti dal gaslighter.

  • La fase della difesa, che interviene dopo che la strategia manipolativa del gaslighter si è già sviluppata attraverso molteplici espressioni vessatorie e che la vittima, abbandonando la sua precedente incredulità e, soprattutto, perdendo i residui della sua sicurezza, inizia a difendersi, confermando così che gli affondi del suo aguzzino hanno prodotto i risultati auspicati. In tale fase dilaga nella vittima anche la confusione, mentre il gaslighter si trova perfettamente a suo agio in quella che può essere definita una caccia del gatto con il topo.

  • L'ultima fase definita della depressione, rappresenta lo stadio della resa: la vittima ha raggiunto la convinzione di essere “sbagliata” e accetta passivamente la realtà che le viene comunicata dal suo torturatore come l'unica vera e possibile, sprofondando in balia di vissuti di insicurezza, autosvalutazione e dipendenza. E' in questa fase che interviene la cronicizzazione della violenza e la vittima diventa così dipendente dal suo aguzzino da isolarsi anche a livello sociale; da ciò deriva l'estrema difficoltà che essa riesca da sola a rendersi conto della trappola perversa nella quale è imprigionata e chiedere aiuto.

 

Un “sistema coppia” malato

Come ci mostra il film, Gregory ha bisogno di sedurre Paula per sentirsi potente e capace di esercitare dominio e controllo, ma d'altro canto anche Paula è desiderosa di essere sedotta: idealizzandolo, vede in lui un uomo forte e attraente e desidera disperatamente credere che sia dolce e protettivo nei suoi confronti.

L'insicurezza e la scarsa autostima di Paula, insieme all'idealizzazione che ha costruito del marito, da una parte, e le caratteristiche di personalità di Gregory, dall'altra, rappresentano l'alchimia perfetta per la messa in atto e la riuscita della strategia manipolativa del protagonista.

Quale sia l'àmbito nel quale questo fenomeno si manifesta, ciò che importa sottolineare è che il Gaslighting riguarda sempre e comunque non solo due persone, ma anche la loro relazione.

In un'ottica sistemica, che sottolinea l'importanza delle interazioni tra le persone, piuttosto che le singole caratteristiche individuali, il circuito perverso in cui si concretizza questa forma di subdola violenza è il frutto dell'intreccio sia di fattori legati alla personalità, sia di elementi comunicativi provenienti da entrambe le parti, che contribuiscono a forgiare e a dare un significato particolare a quella specifica relazione.

La scelta specifica dei due partner avviene attraverso una coesione psicologica ed emotiva che realizza un nuovo sistema, appunto il “sistema coppia”, nel quale il comportamento di ciascuno rappresenta contemporaneamente causa ed effetto di quello dell'altro, innescando così una circolarità reciproca.

D'altra parte, la relazione di coppia costituisce anche il soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali: la scelta del partner va a soddisfare aspettative profonde e inconsce della personalità, come l'esigenza di ottenere una conferma rispetto alla percezione di se stessi e degli altri e ai modelli relazionali.

Il gaslighting è una forma di violenza che nasce anche all’interno di rapporti precedentemente costruiti sull’amore. Poi, una frustrazione alla quale non si sa adeguatamente reagire e che mette in crisi la sicurezza e la fiducia che ripone in sé il manipolatore e tutto crolla: l’amore diventa maligno, aspro, fa soffrire emotivamente e distrugge la psiche della persona colpita dalle molestie. Così come le frecce del mitico Eracle, il gaslighting lascia ferite che nessuno potrà guarire.

Anche il gaslighting può essere quindi considerato una perversione relazionale basata sulla manipolazione psicologica, nella quale si realizza un incastro tra la personalità del gaslighter e quella della sua vittima.

 

Chi è il manipolatore?

Per essere un gaslighter è necessario in primo luogo essere un bravo manipolatore; al riguardo sono state identificate tre tipologie:

  • il tipico bravo ragazzo, che in apparenza sembra interessarsi e darsi da fare solo per il bene della vittima, sostenendola e incoraggiandola, mentre in realtà tutte le sue azioni sono mirate al soddisfacimento delle sue necesità;

  • l' adulatore, ossia colui che fa della lusinga il suo strumento manipolativo principale, per indurre la vittima alla vicinanza emotiva e alla totale fiducia: la vittima rimane preda dell'incanto del gaslighter, il quale non fa che sottolineare quanto lei sia superiore agli altri per cultura, bellezza, capacità e via dicendo;

  • l' intimidatore è invece chi esprime la violenza esplicitamente con un'aggressività diretta, ma anche attraverso la critica continua oppure il sarcasmo.

 

Dato che raramente è possibile dare una definizione univoca di tipologia psicologica, anche in questo caso può capitare che il manipolatore presenti in diversi momenti i differenti aspetti sopra citati, magari presentandosi nelle vesti di un adulatore in una fase iniziale della relazione, per conquistare la vittima e convincerla dei propri sentimenti, per passare poi a quelle del bravo ragazzo, mostrandosi attento e premuroso e indossare infine l'abito dell'intimidatore, allorché la vittima è ormai invischiata nella tela.

D'altronde i manipolatori sono estremamente abili nel rendersi affascinanti, e in un primo tempo può essere difficile riuscire ad avvertire note stonate in comportamenti che appaiono del tutto analoghi a quelli di un vero innamorato.

Oltre alla capacità di fingere nei sentimenti, e quindi di porsi da attore consumato nel ruolo di innamorato irriducibile e premuroso, un altro elemento che rende il gaslighter degno di questa definizione è la distorsione della realtà che riesce a produrre, non solo per manipolare la sua vittima, ma anche per gratificare se stesso, creando scenari nei quali assaporare un vissuto di importanza e di potere controbilanciando sentimenti di inferiorità e un'autostima deficitaria.

Il gaslighter avverte prepotentemente l'esigenza di dominare e controllare l'altro prosciugandone le energie da vero parassita psicologico e proiettando sulla vittima le sue inettitudini, e lo fa per dare un senso alla propria esistenza, altrimenti percepita come insignificante e inadeguata.

 

La psicologia bersaglio

Tuttavia, così come per essere gaslighter occorrono alcune caratteristiche particolari di personalità, anche per cadere nella rete di questa violenza psicologica, realizzando la circolarità perversa alla quale abbiamo accennato, è necessario che la vittima presenti determinate peculiarità soggettive, che accrescono la sua vulnerabilità e influenzabilità.

Fattori come una scarsa autostima, vissuti di insicurezza e una propensione alla dipendenza costituiscono elementi che posssono favorire la caduta in una spirale di violenza psicologica ad opera di un partner, per non parlare di esperienze pregresse di maltrattamento e abuso: è soprattutto in casi simili che può realizzarsi quell'epilogo apparentemente paradossale per cui, spogliata delle sue residue capacità di resistenza e completamente alla mercé del suo aguzzino, la vittima lo riconosce come unico sostegno e fonte di protezione, rinforzando sempre di più le maglie della sua catena psicologica.

E' a questo punto che il vissuto di potenza ed esultanza derivante al gaslighter dalla condizione della vittima rappresenta veramente la chiusura di un cerchio, simbolo di un equilibrio che non concede spazio ad opposizioni e rotture, nel quale le estremità della linea tracciata attraverso la dinamica relazionale perversa tornano a ricongiungersi precludendo ogni via d'uscita.

E' comprensibile quindi come la richiesta di aiuto o la capacità di far “aprire gli occhi” alla vittima arrivi da chi le sta intorno, altri familiari, amici o colleghi. E’ allora che può e deve iniziare il percorso di ricostruzione della propria identità, della fiducia e del senso di sè che porti la donna a liberarsi da una relazione perversa e dolorosa.

 

Un inquadramento giuridico

Il Gaslighting non gode di una propria esistenza riconosciuta in àmbito giurisprudenziale come fattispecie di reato; riconducendolo nell'àmbito delle manifestazioni di violenza all'interno del rapporto di coppia, il fenomeno comprende una serie di condotte qualificabili in termini di abuso psicologico, controllo e isolamento della vittima ed è classificabile come comportamento maltrattante. In linea di massima, il Gaslighting può essere dunque ricondotto al dettato degli art. 570 e 572 del Codice Penale, che disciplinano in generale la violenza morale e psicologica relativa ai maltrattamenti in famiglia.

 

Bibliografia:

  • Calef V., Weinshel E. (1981), “Some clinical consequences of introjection: Gaslighting”, Psychoanalytic Quarterly, 50(1), 44-66.
  • Filippini S. (2005), Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Franco Angeli, Milano.
  • Mascialini R. (2009), Il gaslighter e la sua vittima, tesi di specializzazione A.I.P.C.
  • Rinaldi L. (2012), Quando il delitto non è reato. Il Gaslighting, tesi di specializzazione A.I.P.C.
  • Stern R. (2007) The Gaslight effect, Morgan Road Books, New York.
  • Zemon Gass G., Nichols W.C. (1988), “Gaslighting: A Marital Syndrome”, Journal of Contemporary Family Therapy, 10(1), 3-16.

 

 

VIOLENZA DI GENERE: L'ACCOGLIENZA IN TRIAGE OSPEDALIERO 

La violenza di genere è definita come: “L'insieme degli atti di violenza diretti contro il sesso femminile e che causano o che possono causare alle donne un pregiudizio e delle sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, inclusa la minaccia di tali atti, l'imposizione o la privazione arbitraria della libertà, sia essa nella vita pubblica o in quella privata”, è un fenomeno esteso e sottostimato.

L'OMS afferma che una donna su quattro subisce violenza da un uomo nel corso della vita e che la violenza è la prima causa di morte per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni; ha definito la violenza una priorità in tema di salute pubblica e il Parlamento Europeo ha indetto programmi d'azione volti a combattere la violenza contro le donne e i bambini.

In Italia, secondo l'indagine Istat 2006, quasi una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, ha subìto una violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Si tratta di 6.743.000 donne vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, 3.961.000 violenze fisiche, 1.300.000 donne ha subìto stupri o tentati stupri. Lo stesso rapporto riporta come la quasi totalità delle violenze non siano state denunciate, il sommerso raggiunge il 96% delle violenze da non partner ed il 93% di quelle dal partner.

Una percentuale significativa delle donne che ricorrono al Pronto Soccorso e ad altri Servizi Sanitari della Regione Piemonte presenta sintomi riconducibili a maltrattamenti subìti, in atto o pregressi.

Il problema è meritevole di un'attenzione specifica da parte delle strutture che curano la salute e l'integrità della persona, tenuto conto che la violenza sessuale e il maltrattamento hanno un impatto sulla salute delle persone, e di conseguenza sulla sanità pubblica, che va oltre il singolo evento violento, ma che ha conseguenze a breve e lungo termine fisiche, psichiche e sociali: il non riconoscimento della violenza come causa di malattia è uno dei fattori che favorisce l'incidenza degli esiti a distanza.

Le donne maltrattate ricorrono ai Servizi Sanitari con una frequenza da 4 a 5 volte superiore rispetto alle donne non maltrattate, il numero delle vittime che si rivolge al Pronto Soccorso è nettamente superiore a quello delle donne che si recano alla Polizia, ai Consultori, ai Servizi Sociali e ai Servizi messi a disposizione dal Volontariato, tuttavia il riconoscimento sanitario rimane difficoltoso e così la codifica di dimissione.

La definizione di percorsi e protocolli nell'urgenza rende l'azione degli operatori più efficace, efficiente e meno gravosa anche per gli operatori stessi, e ciò è sicuramente importante per tematiche così complesse e difficili da trattare.

La Regione Piemonte ha approvato l'8 luglio 2008 il Piano regionale per la prevenzione della violenza contro le donne e per il sostegno alle vittime e la Legge Regionale n.16 del 29 maggio 2009 “Istituzione dei Centri Antiviolenza con Case rifugio” che promuove e finanzia all'interno dei Pronto soccorso dei presidi ospedalieri specifici Centri di Soccorso per violenza sulle donne, seguite dalla D.G.R. n.14 – 12159 del 21 settembre 2009 istitutiva del Coordinamento della rete sanitaria per l'accoglienza e presa in carico delle vittime di violenza sessuale e domestica attivando referenti medici ed infermieristici in ogni Pronto Soccorso della regione.

Allegate a tale Delibera Regionale sono le linee guida dove si raccomanda di assegnare un Codice di triage GIALLO a tutti quei casi dove la violenza è attuale e non solo anamnestica.

In particolare, occorre ricordare che sul problema della violenza altrui l'operatore sanitario, anche in fase di triage, deve tenere a mente i còmpiti legali affidatigli dal legislatore: laddove possa sospettare o identificare estremi di reato o di possibile reato è tenuto a darne tempestiva comunicazione all'autorità giudiziaria.

La recente emanazione della Legge 38/2009 contro gli atti persecutori contiene una norma che obbliga il personale degli Enti pubblici a fornire alla vittima di tali eventi assistenza ed informazioni utili come la messa in contatto con il più vicino Centro antiviolenza.

Da non dimenticare inoltre che sulle registrazioni del triage e le affermazioni rese in questa circostanza si può essere chiamati a testimoniare e quindi è meglio costruire uno strumento certo di affermazione.

Occorre anche prevedere la necessità di prelievo di prove a scopo giudiziario.

In alcuni casi, dovrà essere prevista la possibilità di proporre particolari procedure per il rispetto della privacy (oscuramento dei dati informatici) o predisposizione di allocazione temporanea protetta per pazienti potenziali vittime di nuova violenza (anche nei locali del Pronto Soccorso).

Frequentemente inoltre, la vittima presenta una alterazione anche solo temporanea delle performances mentali (Disordine da Stress Post-traumatico), potrà quindi essere utile provvedere a segnalare tempestivamente in fase precoce la richiesta di supporto psicologico o psichiatrico (quest'ultimo disponibile in DEA 24/24 ore).

Potrà anche qui in fase precoce essere prevista l'attivazione del Centro Antiviolenza competente o del Servizio Sociale Ospedaliero, soprattutto nei casi in cui si possa prevedere che l'attesa di queste pazienti superi i 60 minuti. Esiste certamente la possibilità che una lunga attesa determini l'abbandono della struttura sanitaria per paura dei risvolti legali o ripensamenti.

E' compito del personale di triage fornire rassicurazioni sulla attenzione che sarà data al caso, sulla riservatezza e sul supporto che potrà essere fornito.

Perciò è possibile offrire un percorso privilegiato, dall'ingresso in Pronto Soccorso, alla effettuazione degli accertamenti diagnostici e terapeutici, con l'assegnazione di un codice di triage (mai bianco) che consenta una presa in carico delle vittime con tempi di attesa ragionevoli.

Altra possibilità praticata in almeno due situazioni note (Asti-Grosseto) è quella di prevedere un apposito codice colore di triage (è stato proposto il rosa).

E' consigliabile e ritenuto opportuno il coinvolgimento di operatori dipendenti o volontari reperibili, che possano dedicare all'assistenza delle vittime di violenza un tempo superiore a quello abitualmente possibile nei nostri, spesso affollati, pronto soccorso; requisiti strutturali e organizzativi che premettano di dare alla donna la massima assistenza nel rispetto della dignità, della tutela della riservatezza e sicurezza della vittima con locali adeguati di accoglienza in Pronto soccorso, locali idonei alla visita, sala d'aspetto attrezzata per eventuali bambini, possibilità di ricovero ospedaliero nell'emergenza, convenzioni con case di accoglienza per donne in situazioni di rischio.

Si può predisporre nei locali del Pronto Soccorso del materiale informativo adeguato, tenendo a mente che queste persone cercano attenzione, comprensione, sostegno umano e protezione:

  • indicare come affrontare la situazione nell'immediato e in prospettiva.

  • cercare di individuare la violenza domestica anche quando presentata come lesione casuale o diversamente motivata

  • ricordare che le nostre risposte ma soprattutto il modo con il quale sono fornite possono modificare sostanzialmente la condotta e le decisioni della vittima (orientarsi verso la formalizzazione della denuncia dell'atto violento o rimanere in silenzio)

  • richiedere se necessario l'intervento del mediatore culturale.

 

I compiti del personale del Pronto Soccorso nei casi di Violenza Domestica comprendono:

  • identificare la violenza nei suoi aspetti e manifestazioni

  • fornire aiuto e supporto alla vittima

  • stimare il rischio di danno al fine della sua tutela

  • documentare con precisione i reati o possibili reati, assolvendo agli obblighi di legge

  • informare e indirizzare la vittima all'Autorità competente o ai Servizi Sociali preposti indicando nominativi, numeri di telefono e indirizzi delle strutture alle quali potrà decidere se rivolgersi.

 

 

LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI INTIME (IPV) SULLA SALUTE DELLE VITTIME E DEGLI SPETTATORI

La violenza di genere è un'epidemia globale che si ripercuote negativamente sulla salute fisica e mentale di donne e ragazze e impedisce di condurre una vita pienamente produttiva.

La violenza domestica (IPV) è un problema comune, che colpisce un gran numero di donne, uomini e bambini che richiedono assistenza primaria.

Assume molte forme, tra le quali l'abuso psicologico/emotivo, fisico e sessuale, e i suoi effetti sulla salute delle vittime e dei loro figli sono molteplici.

I problemi di salute mentale sono frequenti, in particolare depressione e sindromi da stress post-traumatico (PSTD). Sono anche rilevanti i danni alla salute fisica, ma questi sono meno familiari al personale sanitario non addestrato a riconoscerli: medici e infermieri hanno un ruolo enorme da svolgere per riconoscere e affrontare i bisogni di salute delle donne che hanno subìto violenza. La conoscenza di pazienti vittime di IPV può aiutare i medici a sviluppare una migliore comprensione di pazienti che presentano sintomi e rischi per la salute, creando relazioni terapeutiche più efficaci, e lavorando per ridurre gli effetti nocivi per la salute associati con l'IPV(1).

Sebbene poco noti, esistono molti studi che documentano i danni fisici e psichici delle violenze subite e assistite. E' importante per gli studiosi e per i clinici sia in campo di salute fisica e mentale, capire e riconoscere gli effetti sulla salute fisica e mentale della violenza domestica sulle donne maltrattate e ai loro figli.

Ricordo che circa una donna su quattro e un uomo su tredici subiscono nella loro vita molestie e abusi e che molte di queste vittime non si libereranno mai delle sequele di questa esperienza e avrano conseguenze negative per la salute a causa della violenza fisica, sessuale ed emotiva che hanno vissuto.

Rischi elevati sono stati osservati per una vasta gamma di effetti negativi sulla salute.

La ricerca ha notevolmente migliorato la nostra comprensione della fisiologia che sta alla base dell'associazione tra vittimizzazione, violenza, e una serie di effetti negativi sulla salute.

Tuttavia, per raggiungere quest'obiettivo, rimane l'urgente necessità di integrare le informazioni sull'IPV in medicina e programmi di assistenza sanitaria, e per formare futuri medici e altri operatori sanitari circa la pervasività di IPV e le implicazioni di vasta portata per la salute del paziente.

L'IPV genera effetti psichici e fisici su donne e bambini (2). La violenza anche solo psicologica è associata con una serie di malattie, tra le quali: disabilità al lavoro, malattie autoimmuni, dolore cronico, emicrania e altri mal di testa, balbettio, infezioni sessualmente trasmesse, dolore pelvico cronico, ulcera gastrica, colon spastico e frequenti indigestioni, diarrea o costipazioni.

La violenza domestica, comprese le minacce, stalking, emotiva, fisica e violenze sessuali da parte di un partner, ha influenze significative sul benessere delle donne di tutte le origini etniche e sociali. Un'associazione tra la violenza domestica e la scarsa salute fisica e mentale è stata riconosciuta (3).

Importante è sapere che anche solo assistere alla violenza da bambini crea danni a volte non riparabili tramite processi biologici di epigenetica che innescano il circolo vizioso della perpetuazione generazionale della violenza nelle relazioni intime.

Alcuni autori hano individuato nei processi di Metilazione delle molecole biologiche il meccanismo attraverso il quale si generano malattie come l'ansia e la depressione nei soggetti che sono stati esposti alla violenza da bambini, come vittime e come spettatori.

Il lavoro si Svennson e coll. ha dimostrato che i bambini stanno peggio quando assistono alla violenza rispetto a quelli che la subiscono (4).

La presenza o l'assenza di cure materne parentali possono influenzare l'ansia e il peso corporeo della prole in modo permanente, esitando in malattie psichiatriche attraverso una proteina del cervello prodotta dal gene Npyr1 (5).

Milioni di bambini ogni anno sono esposti a violenza domestica (IPV) spesso associata ad altre forme di violenza e di aggressione in casa. L'IPV è associata a disturbi psichici e problemi comportamentali di tipo aggressivo (6).

Lo stress cronico come quello che deriva da situazioni di disagio familiare e maltrattamento inibisce direttamente la produzione di NGF, a livello dell'Ippocampo e del Giro dentato, determinando una riduzione della neurogenesi e della produzione di neurotrasmettitori a livello di queste strutture nervose (7).

Recenti ricerche condotte con Risonanza Magnetica Funzionale dimostrano una riduzione effettiva del peso di queste aree, che sono quelle deputate alla memoria a breve termine e all'apprendimento, con l'induzione di psicopatologia acquisita (8).

Da non dimenticare il lavoro che è stato premiato con il Nobel della Medicina nel 2009 sull'invecchiamento cellulare.

Lo stress psicologico cronico può accelerare l'invecchiamento a livello cellulare. I telomeri sono componenti di protezione che stabilizzano le estremità dei cromosomi e modulano l'invecchiamento cellulare.

Le donne esposte a violenza domestica (IPV) subiscono stress cronico e riferiscono una salute peggiore. Nel lavoro lo scopo era esaminare la lunghezza telomerica del DNA nelle donne che hanno subito uno stress cronico da IPV. La lunghezza dei telomeri era significativamente più breve nelle 61 donne maltrattate in precedenza rispettto ai 41 controlli. Numerosi studi suggeriscono che le donne che soffrono di IPV hanno meno salute generale.

Spesso si presume che lo stress da IPV può essere la causa maggiore di morbilità.

I risultati di questo studio descrittivo suggeriscono un legame tra l'esposizione IPV, la durata dello stress, e la lunghezza dei telomeri e dei meccanismi molecolari che regolano l'invecchiamento cellulare (9).

Vissuti di violenza e maltrattamento sono in relazione anche con malattie specialistiche: lo stupro con PTSD (disturbo post-traumatico da stress) concomitante può essere un fattore di rischio per sintomi cardiaci (10).

Lo Stress durante la gravidanza è stato associato a eventi avversi: uno studio ha messo in relazione i parametri neuroendocrini nelle donne che riferivano percosse durante la gravidanza e in donne che non hanno riferito maltrattamenti.

I livelli neuroendocrini non erano differenti tra i due gruppi. Tuttavia, i rapporti tra ormoni erano diversi tra i gruppi. I risultati suggeriscono che l'esperienza materna di stress altera il rapporto dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene-placenta (11).

Le donne manifestano maggiore tendenza a sviluppare disturbo post-traumatico da stress (PTSD), il doppio circa degli uomini.

Gli studi forniscono la prova di alterazioni del sistema neuroendocrino che coinvolgono i livelli e l'attività di cortisolo e DHEA e modifiche della funzione immunitaria che predispongono le donne verso un'alterazione della risposta immunitaria Th1. Pochi studi hanno affrontato il possibile ruolo di queste alterazioni biologiche in una maggiore vulnerabilità delle donne allo sviluppo di PTSD (12).

Altri studi fanno emergere chiaramente alterazioni della funzione immunitaria di difesa nelle donne maltrattate (13) e della produzione di Interferone (14) e nella frequenza di cancro della cervice uterina (15).

Diversi studi hanno dimostrato che la violenza domestica (IPV) influenza la risposta immunitaria nelle donne, ma nessuno ha studiato l'impatto longitudinalmente nel tempo. Uno studio ha dimostrato che il recupero del controllo immunitario su HSV-1 è possibile nelle donne che erano state esposte a IPV fisico/psicologico, nonostante una capacità antivirale inizialmente bassa (16).

Uno studio indaga la presenza di sintomi di salute mentale e disturbi segnalati da donne ospitate in un rifugio per vittime di violenza domestica e l'impatto di qusti sintomi sul lavoro, a scuola, e nei rapporti sociali. Il campione presentava tassi significativamente più ampi di condizioni mentali e di menomazioni funzionali in questi campi (17).

 

Data l'alta prevalenza di IPV e le relative conseguenze mediche e dei costi di IPV, è fondamentale affrontare questo problema di salute pubblica.

Prevenzione e interventi specifici possono sostanzialmente ridurre il peso dell'IPV sul sistema di sanità pubblica e migliorare notevolmente la salute dei/lle pazienti. Medici di Assistenza Primaria e medici di famiglia sono in una posizione ideale per diagnosticare le vittime di IPV e per fornire alle vittime e alle loro famiglie le cure appropriate.

IPV è anche associata ad un uso eccessivo di servizi sanitari e a scarsa soddisfazione per le prestazioni.

Una definizione comune di IPV non è ancora utilizzata. Infine, con alcune importanti eccezioni, c'è stato scarso successo nello spostamento del sistema sanitario per lo screening di routine per le donne IPV (18).

 

Per le donne, qualsiasi tipo di abuso si verifica raramente in isolamento di altri tipi, e una sola esperienza di abuso è spesso l'eccezione piuttosto che la norma. L'importanza del concetto di carattere cumulativo degli abusi e il suo impatto negativo sulla salute è stato ben riconosciuto nella letteratura empirica, tuttavia c'è stato scarso consenso su come chiamare questo fenomeno o il modo di studiarlo.

C'è una crescente evidenza empirica che suggerisce che non tutte le vittimizzazioni sono uguali nel determinare dannoe che alcune vittimizzazioni possono avere un effetto più deleterio sulla salute di altre. Questi dati evidenziano una sostanziale sottovalutazione del fenomeno da parte dei nostri attuali metodi di studio e suggeriscono che questo fenomeno e la sua relazione alla salute sono molto più complessi e suscettibili di avanzata ricerca (19).

Se poi affrontiamo gli effetti di IPV non solamente dal punto di vista della salute, ma anche da quello dei costi della violenza domestica (IPV) sul posto di lavoro: per il numero di ore di lavoro perse a causa di assenteismo, ritardi e per la distrazione, e dei costi per i datori di lavoro vedremo che l'IPV ha effetti molto negativi sull'organizzazione, ma che la natura e il costo di questi effetti variano secondo la tipologia di vittimizzazione (20).

Il rapporto 2012 sulla salute pubblica della Svezia mette in risalto i danni sanitari e socio-economici di un paese dove la violenza viene contrastata con molto rigore: “la violenza nelle relazioni fra partner ha conseguenze significative per la salute fisica e mentale, tra 12000 e 14000 donne cercano cure ambulatoriali ogni anno a causa della violenza commessa da un partner. La violenza può anche avere gravi ripercussioni sociali: isolamento, difficoltà finanziarie, il congedo per malattia dal lavoro, la disoccupazione, ecc. e le donne sottoposte a questa forma di violenza hanno difficoltà a cercare assistenza medica o di altro tipo.

I bambini sono spesso coinvolti. Circa il 10% di tutti i bambini hanno subito violenze in casa e il 5% l'hanno sperimentata frequentemente. Molti bambini che assistono alla violenza sono anche loro maltrattati (21).

 

 

Bibliografia:

  1. Black MC: Intimate Partner Violence and Adverse Health Consequences: Implications for Clinicians American Journal of Lifestyle Medicine September 1,2011 5:428-439

  2. Campbell JC, Lewandowski LA: Mental and physical health effects of intimate partner violence on women and children. -The Psychiatric Clinics of North America 1997, 20(2):353-374

  3. Lacey KK; McPherson MD, Samuel PS, Powell Sears K, Head D: The impact of different types of intimate partner violence on the mental and physical health of women in different ethnic groups. -J Interpers Violence. 2013 Jan;28 (2):359-85

  4. Svensson B, Bornehag CG, Janson S: Chronic conditions in children increase the risk for physical abuse – but vary with socio-economic circumstances. - Acta Paediatr. 2011 Mar; 100(3):407-12

  5. Eva C. “Effetto della delezione condizionale del recettore NPY-Y1 sulla risposta comportamentale e neurochimica a uno stres cronico e all'etanolo -J. Neurochem, 104:1043-5, 2008

  6. Holmes MR: Aggressive behavior of children exposed to intimate partner violence: An examination of maternal mental health, maternal warmth and child maltreatment. -Child Abuse Negl. 2013 Jan 14. pii: SO145-2134

  7. Gambarana C. Experimental Protocols for the Study of Stress in Animals and Humans in: Nutrients, Stress, and Medical Disorders. Edited by: S.Yehuda and D.I. Mostofsky Humana Press Inc., Totowa, NJ

  8. Schatzberg AF et al: Hippocampal and Amygdalar Volumes in Psychotic and Nonpsychotic Unipolar Depression – Am J Psychiatry 2008; 165:872-880.

  9. Humphreys J, Epel ES, Cooper BA, Lin J, Blackburn EH, Lee KA: Telomere Shortening in Formerly Abused and Never Abused Women – Biol Res Nurs. 2012 Apr;14(2):115-23.

  10. Davis Lee EA, Theus SA: Lower Hear Rate Variability Associated With Military SexualTrauma Rape and Posttraumatic Stress Disorder- Biol Res Nurs, October 2012; vol.14, 4:pp.312-418.

  11. Talley P, Heitkempern M, Chicz-Demet A, Sandman CA: Male Violence, Stress And Neuroendocrine Parameters in Pregnancy: A Pilot Study – Biol Res Nurs, January 2006; vol.7, 3: pp.222-233.

  12. Gil JM, Szanton SL, and Page GG: Biological Underpinnings of Health Alterations in Women With PTSD: A Sex Disparity – Biol Res Nurs, July 2005; vol.7, 1:pp 44-54.

  13. Costantino RE, Sekula LK, Rabin B, Stone C: Negative Life Experiences, Depression, and Immune Function in Abused and Nonabused Women – Biol Res Nurs, January 2000; vol.1, 3: pp.190-198.

  14. Woods AB, Page GG, O'Campo P, Pugh LC, Ford D, Campbell JC. The mediation effect of posttraumatic stress disorder symptoms on the relationship of intimate partner violence and IFN-gamma levels. Am J Community Psychol. 2005 sp;36(1-2):159-75.

  15. Coker AL, Hopenhayn C, De Simone CP, Bush HM, Crofford L: Violence against Women Raises Risk of Cervical Cancer. - J Womens Health (Larchmt). 2009 Aug; 18(8)1179-85.

  16. Sanchez-Lorente S, Blasco-Ros C, Coe CL, Maritnez M: Recovery of immune control over herpes simplex virus type 1 in female victims of intimate partner violence. Psychosom Me. 2010 Jan; 72(1):97-106. doi:10.1097/PSY.Ob013e3181c5080a. Epub 2009 Nov 20.

  17. Helfrich CA, Fujiura GT, Rutkowski-Kmitta V: Mental Health Disorders and Functioning of Women in Domestic Violence Shelters – J Interpers Violence April 1, 2008 23:437-453.

  18. Plichta SB: Intimate Partner Violence and Physical Health Consequences: Policy and Practice Implications – J Interpers Violence November 1, 2004 19:1296-1323.

  19. Scott-Storey K: Cumulative abuse: do things add up? An evaluation of the conceptualization, operationalization, and methodological approaches in the study of the phenomenon of cumulative abuse. Trauma Violence Abuse. 2011 Jul; 12(3):135-50.

  20. Reeves C, Anne M. O'Leary-Kelly AM: The Effects and Costs of Intimate Partner Violence for Work Organizations – J Interpers Violence March 1, 2007 22:327-344.

  21. Leander K, Berlin M, Eriksson A, Gådin GK, Hensing G, Krantz G, Swahnberg K, Danielsson M.: Violence Health in Sweden: The National Public Health Report 2012. Chapter 12. - Scandinavian Journal Of Public Health, 2012; 40(Suppl 9): 229-254.

 

Data pubblicazione: 09 agosto 2013

Autore

alessio.sandalo
Dr. Alessio Sandalo Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2005 presso Università degli Studi di Torino.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte tesserino n° 6066.

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