Curare la balbuzie tra mito e scienza

Specialista cancellato
PsicologoPsicologo

Parlare di balbuzie non è mai poco sopratutto quando i dati scientifici rivelano sempre di più la sua complessità. In questo articolo il Dr. Elton Kazanxhi esperto nel trattamento della balbuzie rivela un primo sguardo scientifico sul tema. Articolo redato e tratto dal suo ultimo libro in stampa intitolato: La balbuzie nel corpo

La balbuzie: definizioni, sintomatologia, epidemiologia ed eziologia

Se, in accordo con Wingate (1964:484), definire significa “determinare e stabilire la natura e i limiti di” potrebbe risultare presuntuoso tentare di fornire una definizione standard di balbuzie. Tuttavia la fondata necessità di una definizione operativa della stessa può essere soddisfatta aderendo a determinati criteri. Una definizione quindi dovrebbe:

a) identificare ed enfatizzare caratteristiche discriminative;

b) poter essere applicabile in generale;

c) essere in accordo con le attuali conoscenze sulla balbuzie.

Le caratteristiche del parlato sono di fondamentale importanza per chi si accinge a descrivere la balbuzie e tali caratteristiche sono evidenti in alcuni casi di balbuzie, ma non è detto lo siano in tutti. Va ricordato inoltre che, fino ad oggi, non si sa cosa causi la balbuzie. La definizione della balbuzie sarà dunque fenotipica, ovvero sarà attinente ad elementi osservabili ed escluderà ipotesi eziologiche. Premesso ciò, si riportano ora tre definizioni che hanno riscosso particolare consenso per la loro esaustività.

La prima, detta “definizione standard” è quella di Wingate (1964:315), secondo cui il termine balbuzie significa:

  • a) un disordine nella fluenza di espressioni verbali, che è
  • b) caratterizzato da ripetizioni o prolungamenti involontari, udibili o silenti nell’emissione di brevi elementi del parlato, vale a dire: suoni, sillabe e parole di una sillaba. Queste interruzioni
  • c) occorrono frequentemente o sono ben definite
  • d) e non sono facilmente controllabili dal soggetto. Talvolta le interruzioni sono accompagnate da
  • (e) attività accessorie come gesti collegati al parlato, caratteristiche verbali, spostamenti ausiliari del corpo. Inoltre molto spesso vengono riferiti
  • (f) stati emozionali che vanno da una generale condizione di “eccitamento” o “tensione” a più specifiche emozioni di natura negativa come paura, imbarazzo, irritazione, frustrazione, vergogna, o simili.
  • (g) La manifestazione più visibile della balbuzie è rilevabile in qualche incoordinazione espressa nel meccanismo periferico  relativo alla produzione verbale.”

La seconda definizione importante è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità : “la balbuzie è un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà” (W.H.O., 1977: trad. a cura di Zmarich, 1998).

 

Johnson sostiene che l’essenza della balbuzie non risiede nella bocca del parlante, ma nell’orecchio dell’ascoltatore; se fosse così allora le disfluenze  sarebbero il sintomo più sicuro e patognomonico della balbuzie (Williams, Silverman & Kools, 1968). A proposito di ciò Zmarich (1991:495) sostiene che “…la balbuzie è sempre stata associata in modo diretto alla percezione dell’ascoltatore e in modo indiretto ai suoi pregiudizi e ai suoi riferimenti culturali. Per l’ascoltatore infatti è possibile distinguere alcune disfluenze come episodi di balbuzie o come normali disfluenze confrontando la produzione di questi soggetti con le proprie categorie cognitive”. Ma che cosa s’intende con il termine “disfluenze”? Secondo la definizione fornita da Wingate (1984), la disfluenza è una qualsiasi interruzione o modificazione della fluenza, cioè della scorrevolezza con cui si legano insieme le unità della produzione verbale.

Starkweather (1987), basandosi su questa definizione che pone l'accento sugli aspetti della continuità e della sequenzialità del parlato naturale, osservò che metà del tempo utilizzato dai così detti "normofluenti" per parlare è impiegato per produrre sintagmi che non sono più lunghi di tre parole, e che sono separati da una pausa.

Anche i normoparlanti sono quindi disfluenti. In generale gli studiosi si sono dunque trovati ad accettare la teoria della “continuità” tra le disfluenze dei normoparlanti e dei balbuzienti (Bloodstein, 1974; 1995).

Per classificare le disfluenze la maggior parte di loro ha adottato le otto categorie individuate da Johnson (1961):

  1. interiezioni ("ehm", "bene", “ecco", "cioè", etc.);   
  2. ripetizioni di parti di parola: ripetizioni di foni o sillabe di una parola;
  3. ripetizioni di parola;
  4. ripetizioni di frasi (“io stavo, io stavo andando”);
  5. revisioni (“io stavo…sto andando”);
  6. frasi incomplete (“Lei era-e dopo che andò là tornò”);
  7. parole interrotte: (“io stavo an-(pausa)-dando a casa”);
  8. prolungamenti.

 

Al fine di differenziare la produzione linguistica normale da quella balbettata, si sono basati sull'analisi percettiva di uno o più ascoltatori che rilevano e valutano le disfluenze nel comportamento linguistico osservabile. Queste ultime sono poi classificate nelle loro dimensioni misurabili di durata, posizione, tipo e frequenza, che permettono di formulare degli indici qualitativi/quantitativi discriminanti (Magno-Caldognetto & Zmarich, 1995). Ci sono però buoni motivi per credere che questa continuità sia solo apparente: Wingate (1988) evidenziò come la stretta associazione tra occorrenza della balbuzie e collocazione dell'accento di  enunciato, diversifichi la distribuzione delle disfluenze dei balbuzienti da quelle dei normoparlanti. Silverman (1992) indicò  che le pause di tensione, cioè le pause caratterizzate da livelli percepibili di tensione muscolare eccessiva degli articolatori, costituiscono l’unico tipo di disfluenza non prodotto dai normoparlanti.

Zmarich (1999: 101-102) a proposito di balbuzie, fluenze e disfluenze sostiene che:  La definizione e la diagnosi tradizionali di balbuzie si basano sulla rilevazione uditiva e valutazione qualitativa delle disfluenze, che per numero, tipo, durata e posizione sono giudicate anomale e qualificano chi le produce come balbuziente.  Molti studi che seguono quest’impostazione si sforzano di individuare i loci dell’enunciato balbettato associati con l’occorrenza delle disfluenze e di spiegare questi patterns distribuzionali invocando le stesse malfunzioni dei processi mentali che nei parlanti normali generano lapsus e disfluenze […]. Il loro difetto principale è l’esclusiva attenzione alle disfluenze, che qualificano il parlato come “discontinuo”. Ma la fluenza è multidimensionale, e un parlato fluente oltre ad essere privo di discontinuità sarà anche prodotto con una scansione ritmica regolare, in modo rapido e senza eccessivo sforzo sia fisico che mentale […]. Infatti è ben conosciuto in letteratura il caso di balbuzienti che non presentano disfluenze […]. Questi soggetti sono affetti da “covert/subperceptual stuttering” e avvertono spesso nel parlare livelli eccessivi di sforzo muscolare e “tensione” cognitiva che possono sfuggire all’occhio e all’orecchio del clinico”.

Brown (1945) fu il primo che individuò i “loci linguistici”, cioè i punti dell’enunciato, ove si concentrano maggiormente gli episodi di disfluenza. In breve, questi loci linguistici sono conosciuti con il nome di “4 fattori di Brown”:

  1. parole contenuto;
  2. parole che iniziano per consonante;
  3. parole che occorrono nelle prime tre posizioni della frase;
  4. parole lunghe cinque o più lettere.

Maggiore è il numero di tali caratteristiche che una parola possiede, tanto maggiori sono le probabilità che la parola venga balbettata. In seguito Wingate aggiunse ai quattro fattori di Brown un quinto fattore: l’accento lessicale (Bernardini 1996-1997). A questo punto prenderemo in considerazione una terza definizione tratta dal DSM-IV (autori vari,1996: 80-82):

Criteri diagnostici per la balbuzie:

  • Un’anomalia del normale fluire e della cadenza dell’eloquio (inadeguati per l’età del soggetto) caratterizzata dal frequente manifestarsi di uno o più dei seguenti elementi:
    1. ripetizioni di suoni o sillabe
    2. prolungamento di suoni
    3. interiezioni
    4. interruzioni di parole (cioè pausa all’interno di una parola)
    5. blocchi udibili o silenti (cioè pause del discorso piene o vuote)
    6. circonlocuzioni (sostituzioni di parole per evitare parole problematiche)
    7. parole emesse con eccessiva tensione fisica
    8. ripetizioni di intere parole monosillabiche
  • L’anomalia di scorrevolezza interferisce con i risultati scolastici o lavorativi, oppure con la comunicazione sociale.

L’entità dell’anomalia varia da situazione a situazione, e spesso è più grave quando vi è una speciale pressione a comunicare. La balbuzie è spesso assente durante la lettura corale, il canto, il colloquio con oggetti inanimati o animali.

In accordo con Zmarich (in corso di pubblicazione) i sintomi della balbuzie possono essere suddivisi in sintomi primari e sintomi secondari. I primi fanno parte delle cosiddette “disfluenze” della balbuzie e sono: gli arresti, le ripetizioni e i prolungamenti di un fono. I secondi invece si riferiscono alla grande varietà di caratteristiche accessorie di tipo psicologico e fisiologico molto importanti nel fenomeno della balbuzie.

In particolare queste caratteristiche accessorie rientrano negli atteggiamenti di rinuncia e fuga di fronte a situazioni di conversazione, nella non adeguata ed eccessiva tensione muscolare e nello sforzo di tentare di nascondere i sintomi primari (Zmarich, in corso di pubblicazione).

La sintomatologia fondamentale della balbuzie riguarda i processi di respirazione, fonazione e articolazione, che possono essere descritti dal punto di vista fisiologico ed acustico tramite l’applicazione di tecniche d’analisi sempre più raffinate come l’elettromiografia,  spettrografia del segnale acustico, la visualizzazione dell’attività laringea tramite le fibre ottiche, l’analisi, cinematica dei movimenti articolatori e l’analisi aerodinamica della gestione del flusso aereo.

Per la descrizione di tali caratteristiche farò riferimento al capitolo sulla sintomatologia di Bloodstein (1995), che integrerò con le informazioni più recenti tratte da articoli pubblicati a partire dal 1995 sulle riviste specializzate.

 

Il disordine della funzione respiratoria è associato con la balbuzie così spesso ed in maniera cosi evidente, che è stato uno dei primi fattori ad essere stato studiato come una possibile causa di balbuzie. Per un lungo periodo di tempo sono state condotte ricerche di tipo pneumografico, che hanno fornito i seguenti risultati: a) le curve della respirazione durante la balbuzie mostrano una serie di anomalie, alcune delle quali ovviamente parallele ad aspetti udibili e visibili della sintomatologia; b) tra le anomalie vengono annoverati: antagonismi tra la respirazione toracica e quella addominale, irregolarità nelle sequenze dei cicli respiratori, inspirazioni ed espirazioni particolarmente prolungate, completa cessazione della respirazione, interruzioni del movimento espiratorio con quello inspiratorio e tentativi di parlare con movimenti di tipo inspiratori.

 

Fonazione

In numerosi studi, che presero in esame gli episodi di balbuzie, si riscontrarono irregolarità della fonazione a livello laringeo. Bar, Singer e Feldman (1969), grazie all’impiego dell’elettromiografia, misurarono i potenziali d’azione dei muscoli a livello laringeo durante un episodio di balbuzie e notarono un incremento dei potenziali d’azione sia prima che durante la balbuzie.

Freeman e Ushijma (1975, 1978), sempre utilizzando l’elettromiografia, osservarono elevati livelli d’attività muscolare laringea durante gli episodi di balbuzie, e specificatamente anomale contrazioni antagonistiche tra i muscoli adduttori ed abduttori delle corde vocali, che precedettero e cooccorrono ai momenti di balbuzie.

Un’iperattività a livello laringale fu inoltre riscontrata da Thurmer, Thumfart, e Kittel (1983) in uno studio d’elettromiografia effettuato su 42 balbuzienti.

Conture, Schwartz e Brewer (1985) osservarono nel corso del loro studio, basato sulle fibre ottiche, che l’attività adduttoria e abduttoria della laringe non era congruente con i foni da produrre. E’ evidente dunque, parafrasando Bloodstein (1995), che, nella balbuzie, vi sono prove certe di un comportamento abnorme della laringe, ma che non è ancora chiaro se questo comportamento è primario e/o causativo oppure secondario e/o derivato.

 

Articolazione

Le prime ricerche trovarono che la balbuzie era caratterizzata, tra le altre anormalità, da intervalli temporali più lunghi tra l’inizio del movimento della mandibola e l’inizio della fonazione, da un numero anomalo di oscillazioni nel movimento della mandibola, e da intervalli temporali più lunghi tra l’inizio del movimento della mandibola e il suo primo cambiamento direzionale (Zmarich, 1986-87).

Studi di tipo elettromiografico, aerodinamico e spettrografico hanno permesso di osservare il comportamento dei singoli muscoli coinvolti nell’articolazione durante gli episodi di balbuzie.

Lo studio elettromiografico dei muscoli massetere (muscolo elevatore della mandibola) mostrò che durante gli episodi di balbuzie è spesso presente un difetto di sincronizzazione e una presenza di altre anormalità nei potenziali di azione muscolare.

In uno studio condotto da Shapiro (1980), quattro soggetti balbuzienti con elettrodi applicati sulle labbra e sulla lingua mostrarono un’eccessiva attività muscolare durante le parole balbettate, una scarsa coordinazione muscolare e intervalli (inappropriati) d’attività durante il silenzio.

Guitar, Neilson, O’Dwyer e Andrews (1988) condussero uno studio elettromiografico sui muscoli delle labbra di tre soggetti balbuzienti e tre di controllo durante l’articolazione del fono “p” delle parole peek, puck, pack. Emerse che, mentre i normoparlanti, tipicamente, attivano prima il muscolo depressore degli angoli della bocca (depressor anguli oris) e successivamente quello del labbro inferiore (depressor labi inferior), i balbuzienti invertono questa sequenza la maggior parte delle volte quando balbettano e metà delle volte quando non balbettano. Gli autori ipotizzarono che i balbuzienti irrigidissero deliberatamente le loro labbra nell’attesa dell’episodio di balbuzie. Al fine di riuscire ad indagare più direttamente i movimenti articolatori di soggetti balbuzienti e normoparlanti, ricercatori quali Caruso, Abbs e Gracco (1988) hanno utilizzato l’analisi cinematica, la quale permette di disporre di dati analitici qualitativi e quantitativi, affidabili ed esaustivi, dei movimenti degli organi articolatori, in termini di spostamento, durata, velocità e accelerazione. In un loro studio furono investigati adulti balbuzienti e normofluenti nel gesto di chiusura delle labbra per la prima “p” in una produzione fluente di una parola senza senso: ”’sapapple”. Emersero differenze significative tra i due gruppi di soggetti nelle caratteristiche cinematiche dei movimenti articolatori.

In un altro studio Alfonso (1991) riportò che tali differenze significative tra adulti balbuzienti e non balbuzienti possono essere in correlazione con l’organizzazione spaziale della lingua, delle labbra e della mandibola, associate al gesto di chiusura dell’occlusiva e fricativa sorda e sonora.

In una pubblicazione successiva di Mc Clean, Kroll e Loftus (1991) risultò che alcune misure di durata e velocità di movimenti articolatori mostrarono correlazioni positive e negative, rispettivamente, con misurazioni di gravità della balbuzie in un gruppo di soggetti balbuzienti che non avevano ricevuto trattamento logopedico.

Un altro approccio alla descrizione della balbuzie è l’analisi aerodinamica, ovvero, la misurazione dei livelli di pressione sottoglottica, intraorale e la fuoriuscita dalle labbra e/o dal naso del flusso d’aria della cavità orale durante l’eloquio. Hutchinson (1975) identificò sette ‘patterns’ della balbuzie definiti in modo aerodinamico. Questi sette patterns aerodinamici furono messi ciascuno in rapporto con i loro correlati percettivi ( ad es. il tipo di balbuzie tipicamente udito), con le caratteristiche definienti della balbuzie stessa.

  1. Ripetuti aumenti nella pressione d’aria intraorale erano associati con le ripetizioni di sillaba.
  2. Un graduale aumento nella pressione d’aria intraorale era associato ad un breve prolungamento.
  3. Picchi multipli della pressione d’aria intraorale in assenza di flusso d’aria erano associati con il prolungamento di blocchi silenziosi.
  4. Un prolungamento del flusso d’aria che terminava con picchi eccessivi nella velocità del flusso, corrispondeva ad un prolungamento aspirato.
  5. Un arresto improvviso e simultaneo della pressione d’aria intraorale e della velocità del flusso era accompagnato da un abbreviamento.
  6. Un picco prolungato di pressione intraorale e nessun flusso d’aria concomitante significava un prolungamento silente di una postura articolatoria.
  7. Continue fluttuazioni nella pressione d’aria intraorale senza flusso erano concomitanti ad una pausa prolungata tra due sillabe.

 

Queste caratteristiche aerodinamiche corrispondono alle ripetizioni, prolungamenti, e in generale alla produzione disfluente dei balbuzienti, com’è convenzionalmente descritta, ma esse riflettono anche la tensione sottostante che pervade gli organi della fonazione durante un blocco.

Terminando il capitolo sull’articolazione, Bloodstein (1995), ricorda come gli studi sperimentali sono serviti in particolar modo a confermare un certo numero di impressioni cliniche significative. Durante un episodio di balbuzie, infatti, vi è un funzionamento anormale dell’intero sistema fonatorio, inclusa la laringe e un’evidente ed eccessiva tensione muscolare proprio a livello laringeo che impedisce il normale fluire dell’aria espiratoria, provocando un aumento della pressione all’interno dell’apparato fonatorio.

  

La balbuzie non è “solo” ripetizioni, prolungamenti o pause. Se si vuole fornire una descrizione esaustiva di tale disordine, bisogna includere i cosi detti sintomi ‘associati’. Bloodstein decide di utilizzare questo termine, ’associati’ appunto, in un modo ampio e in qualche misura vago per denotare:

  1. reazioni visibili e/o udibili che accompagnano le disfluenze prodotte dai balbuzienti;
  2. correlati fisiologici della balbuzie;
  3. cambiamenti nella percezione che i balbuzienti hanno del loro ambiente e dei loro stati soggettivi quando provano delle difficoltà nella produzione verbale.

 

I balbuzienti spesso mostrano reazioni visibili ed udibili che accompagnano la balbuzie come: strizzare l’occhio, corrugare la fronte, spalancare la bocca, mordersi le labbra, serrare il pugno, oscillare le braccia, innalzare la testa, inspirare bruscamente, deglutire, raschiare la gola. E’ difficile tuttavia catalogare tutti gli atti o le tensioni che potrebbero associarsi con la balbuzie, in quanto ogni parte della muscolatura volontaria del corpo potrebbe essere chiamata in causa. Queste reazioni sono spesso compresenti alle interruzioni linguistiche, ma possono presentarsi indipendentemente da ogni loro presenza osservabile ed essere quindi o isolate e di breve durata, oppure complesse e più durature. Bloodstein (1995) inserisce in questa categoria dei ‘sintomi concomitanti osservabili’, alcune delle caratteristiche maggiormente attribuibili alla forma e al contenuto delle produzioni linguistiche dei balbuzienti come l’interpolazione di frammenti di frasi e le anomalie vocali. Le interpolazioni possono riguardare suoni, sillabe, parole, o frasi, come ad es. “ehm”, “infatti”, “dunque”, “volevo dire” e tendono ad essere superflue, come in “Io vivo a—in altre parole—a Tirana”. Le anomalie vocali, che accompagnano l’episodio di balbuzie, riguardano invece le descrizioni di fenomeni quali la velocità d’emissione verbale, i cambiamenti nella qualità vocale, le inflessioni strane o i bruschi sbalzi nella frequenza fondamentale (quest’aspetto sarà discusso in dettaglio nel secondo capitolo), o all’opposto, una monotonia particolare e l’arresto completo ed improvviso della fonazione.

Questi sintomi concomitanti osservabili sono maggiormente presenti in quei balbuzienti che li utilizzano da molto tempo e in maniera ormai inconscia ed automatica. La maggior parte di questi sintomi all’inizio è impiegata come espedienti atti a minimizzare o evitare i blocchi e se poi hanno successo vengono mantenuti anche in seguito, almeno finché non perdono la loro caratteristica di novità e il balbuziente, per prove ed errori, non ne scopre altri con l’illusione che siano più efficaci. E’ tramite questo percorso che si vengono a sviluppare quelle complesse configurazioni di gesti che sono connaturati al comportamento di alcuni balbuzienti gravi.

A questo punto della trattazione è interessante riportare il sistema di classificazione in cinque categorie dei sintomi concomitanti esterni proposto da Van Riper (1973), che riguarda le tecniche con cui i balbuzienti possono prevenire le difficoltà che pensano d’incontrare:

  1. Strategie d’evitamento: consistono in sostituzioni delle parole temute con sinonimi e circonlocuzioni, che possono creare difficoltà così estreme da arrivare a compromettere la comunicazione.
  2. Strategie di posposizione: consistono in manovre che il balbuziente adotta nella speranza che, riempiendo l’attesa con pause strategiche, con ripetizioni di parole già dette, con inserimenti d’espressioni come ”dunque”, ”cioè”, “appunto”, la paura e la tensione concentrata sulle parole temute possa calare in modo da riuscire a pronunciarle.
  3. Espedienti per l’avvio: permettono al balbuziente di dire la parola temuta rendendo meno difficoltosa la pronuncia del suo primo fonema. Tale scopo si ottiene utilizzando opportuni movimenti facciali e laringali e con l’uso di vocalizzazioni facilitanti come :”mmh”, “ah”, “eh” da emettere immediatamente prima della parola.
  4. Tentativi di fuga: sono tutti gli sforzi che il balbuziente adotta per porre fine ad un ‘blocco’, “aiutandosi” con movimenti bruschi del capo, con il respiro affannoso, con interiezioni; esaurendo tutto il respiro e finendo la parola con l’aria che gli è rimasta; oppure tornando indietro e utilizzando una partenza veloce per pronunciare la parola.
  5. Sintomi d’antiaspettativa (cfr. “anty-expectancy”): includono gli espedienti che il balbuziente impiega per impedire l’insorgenza d’esperienze d’anticipazione delle difficoltà nella pianificazione mentale delle sue esecuzioni. Un esempio può essere quando una persona che balbetta parla in un modo rapido e monotono così che nessuna parola particolare possa riuscire a mettergli paura. Parlando in questo modo innaturale, il balbuziente riuscirebbe a restare calmo e a non pensare al disturbo, mantenendo il livello emotivo ed affettivo del suo discorso sotto la soglia critica, oltre la quale inizierebbe a balbettare.

 

La balbuzie è accompagnata da una serie di fenomeni fisiologici e corporei che, essendo “interni” e non rilevabili in modo diretto, devono essere misurati con l’impiego di strumentazioni idonee. Qui di seguito si fa riferimento ai risultati più consolidati di ricerche menzionate nel manuale di Bloodstein (1995).

  1. Movimenti oculari: sono stati riscontrati dei movimenti inusuali degli occhi, per lo più associati ai blocchi caratteristici della balbuzie, sia durante la lettura che nel parlato spontaneo. Questi movimenti includono: la fissazione prolungata, saliscendi verticali, rapidi scatti orizzontali (saccadi) e incordinazione binoculare.
  2. Fenomeni cardiovascolari: è stato rilevato che durante l’attività linguistica e immediatamente prima di situazioni che provocherebbero la balbuzie, accade spesso un’accelerazione dell’attività cardiaca, le cui conseguenze visibili si manifestano in rossori e pallori subitanei. Inoltre è emerso che, durante un episodio di balbuzie, vi è un minor afflusso di sangue nell’aria di Broca (emisfero sinistro) e che durante l’attività linguistica di un balbuziente sono presenti variazioni della massima pressione sanguigna (vedi paragrafo successivo sugli studi di brain imaging).
  3. Tremori: è stata inoltre riscontrata una diminuzione della frequenza dei normali tremori della mano (8-14 per secondo) e una accelerazione dei tremori di tipo più rapido (40-75 per secondo).
  4. Registrazioni elettroencefalografiche: queste registrazioni misero in luce che durante il blocco si verificava un aumento delle onde alfa e una minore regolarità e sincronizzazione interemisferica nei soggetti balbuzienti rispetto ai soggetti non balbuzienti e che ciò è probabilmente dovuto ad un maggiore coinvolgimento emozionale dei primi.
  5. Livello biochimico: è stata presa in considerazione l’esistenza di una relazione tra l’aumento dei blocchi e la diminuzione di zuccheri e proteine nel sangue. Si è rilevato inoltre un aumento eccessivo dei tassi d’adrenalina e dopamina dopo che i balbuzienti sono stati sottoposti ad una lunga attività linguistica.
  6. Attività elettrodermica (conduttività elettrica naturale della cute): vi è evidenza di un’attività inusuale immediatamente prima dell’occorrenza dei blocchi.

 

Ora verrà fatta qualche considerazione in merito al significato dei risultati riportati qui sopra. E’ largamente condivisa l’opinione che i sintomi concomitanti fisiologici sopra descritti vadano considerati solo come aspetti inerenti alla sintomatologia, ovvero che siano più effetti che cause della balbuzie. Infatti, essi sono confinabili solo agli episodi di balbuzie e ai pochi attimi che la precedono o la seguono, lasciando libera la restante produzione fluente. Non vi sono poi riscontri validi sul fatto che ciascuno di questi sintomi sia sempre presente in ogni episodio di balbuzie di tutti i balbuzienti. E’ inoltre da rilevare che, molti di questi cambiamenti corporei, sono stati trovati spesso anche in parlanti normali che si trovavano in una condizione di stress psicologico, sotto sforzo, in uno stato d’eccitazione o che simulavano episodi di balbuzie.

 

Le valutazioni soggettive o analisi che i balbuzienti riportano mentre stanno facendo esperienza delle proprie interruzioni d’eloquio, sono una parte molto importante ed imprescindibile della sintomatologia della balbuzie.

Per Bloodstein (1995) queste autovalutazioni introspettive sono essenzialmente di tre tipi:

  1. SENSO DI FRUSTRAZIONE: i balbuzienti si sentono completamente bloccati quando tentano di parlare, e riportano di sentirsi letteralmente incapaci di muovere gli articolatori o controllare il loro apparato vocale per riuscire a realizzare la parola voluta. Bloodstein (1995) riporta alcune indicative impressioni sulle sensazioni provate dai balbuzienti più consapevoli al momento del blocco, quando le loro labbra “diventano involontariamente dure”, la loro lingua “s’incolla” sulla volta del palato, la “gola si chiude saldamente” etc.
  2. SENSAZIONI DI TENSIONE MUSCOLARE: queste sono esperite dalla maggior parte dei balbuzienti durante il verificarsi di un blocco. Di solito questa tensione si localizza nella muscolatura dell’apparato vocale adibito ai processi di respirazione, fonazione e articolazione, ma in alcuni casi anche in altri parti del corpo, come per esempio nelle braccia, nelle gambe, o nelle spalle.
  3. REAZIONI AFFETTIVE: ve ne sono di tre tipi diversi:

a) prima del blocco: sono riportate sensazioni negative, che vanno dal leggero disagio fino al panico estremo e che sono generate dalla percezione della difficoltà incombente. Questa sensazione, che è presente in quasi tutti i balbuzienti adulti, è conosciuta col nome di ‘anticipazione’ (cfr: expactancy or anticipation), e da molti studiosi le è accordato il potere di causare il blocco. Essa può ugualmente presentarsi anche nel caso in cui il balbuziente presenti un parlato che a livello superficiale (cioè alla percezione dell’ascoltatore) possa risultare normale.

b) durante il blocco: il balbuziente che si trova in  questa fase temporale del blocco, soprattutto se grave, prova senso di smarrimento e confusione mentale. Addirittura, nei casi estremi, i balbuzienti possono esperire una certa forma di momentanea perdita di “contatto”.

c) dopo il blocco: molti balbuzienti raccontano di aver provato sentimenti di frustrazione, imbarazzo, esasperazione e ansia verso i successivi blocchi.

 

Per terminare, Bloodstein (1995) afferma che le due caratteristiche essenziali della vera balbuzie riferite dai suoi pazienti sono la tensione e la qualità involontaria. Spesso queste reazioni emotive sono comprensibili considerando i problemi che il balbuziente incontra nel formarsi le relazioni sociali. Questo disturbo può distruggere la vita comunicativa dei balbuzienti e provoca reazioni imprevedibili da parte delle persone con cui essi sono a contatto. Per questi motivi, i balbuzienti spesso sviluppano nascoste reazioni emotive nei confronti del parlare, delle situazioni linguistiche e di certi tipi d’ascoltatori.

In un qualsiasi preciso istante temporale, la balbuzie coinvolge circa l’1% della popolazione mondiale (tasso di prevalenza), percentuale che sale al 5% se si considerano le persone che riferiscono di averne sofferto in qualche modo durante la loro vita (tasso di incidenza). Come si può notare vi è una grossa differenza tra i due tassi e ciò è spiegabile se si considera l’alta percentuale di remissione spontanea o attraverso terapia. Rilevante è il fatto che in tre bambini su quattro si verifica una scomparsa spontanea del disturbo e ciò generalmente accade a distanza di 12-18 mesi dal momento dell’insorgenza.

Secondo ricerche epidemiologiche recenti, per il 75% dei soggetti colpiti da balbuzie, l’insorgenza si situa dai 18 ai 41 mesi (età media 32 mesi), quando le strutture anatomofisiologiche e le abilità linguistiche, cognitive e motorie del bambino sono interessate da un rapido processo di maturazione e sviluppo, e vi è una scomparsa virtuale di nuovi casi dopo i 12 anni (Felsenfeld, 1997; Yairi & Ambrose, 1999).

Dando uno sguardo all’ereditarietà risulta che le ricerche di tipo genetico basate sugli antecedenti famigliari, sui gemelli di tipo monozigote, sulla sex-ratio (4:1 per i maschi), e sulla maggior suscettibilità dei maschi verso altri disordini a base neurologica (sindrome di Down, di Tourette, autismo, cecità congenita) fanno ritenere che venga trasmessa per via genetica una predisposizione a rotture della fluenza, che interagisce con variabili di tipo ambientale. Anche se il meccanismo di trasmissione resta sconosciuto, il tipo di legame parentale e il sesso contribuiscono a determinare le probabilità che un bambino cominci a balbettare e forse anche quelle del suo recupero (da Yairi & Ambrose, 1999).

 

Gli episodi di balbuzie avvengono sul primo fono o sillaba di una parola, specie all’inizio dell’enunciato. Le parole più lunghe sono balbettate più spesso delle brevi e le parole contenuto di più di quelle funzione. Inoltre bisogna sottolineare che un’alta percentuale di balbuzienti è fluente sulla maggior parte delle parole e la gravità varia da persona a persona e, all’interno della stessa persona, da situazione a situazione.

 

Secondo Schindler et al. (1994), “le differenti teorie eziopatogenetiche, organicistiche, psicogenetiche, foniatriche, non sono in grado di spiegare l’intero percorso dalla causa al quadro clinico, in quanto in genere illuminano soltanto alcuni aspetti sensoriali”.

Sembra dunque largamente accettata l’idea di un’eziopatogenesi multifattoriale delle balbuzie, che non si può assolutamente ricondurre ad una semplice incoordinazione motoria tra il pensiero ed il linguaggio. L’inquadramento eziologico deve essere globale, multifattoriale e diretto agli aspetti comunicativi e relazionali. Avvicinandoci quindi ad un modello multifattoriale che vada a colmare le lacune lasciate ora su di un aspetto ora su un altro, cercheremo di individuare i molteplici fattori a rischio, anziché le cause della balbuzie.

Questa ipotesi, esposta da Schindler at al. (1994), prevede una genesi complessa della balbuzie che si articola in 3 punti:

1) FATTORI ORGANICI PREDISPONENTI – ENDOGENI:

condizionamenti genetici, familiari, congeniti, patologie acquisite dopo il concepimento (encefalopatie), sono tutti elementi necessari affinché il fluency device (insieme delle strutture nervose centrali, non ben precisate, che garantiscono al parlante una buona fluenza) risulti meno efficiente.

2) FATTORI FUNZIONALI SCATENANTI ESOGENI:

acuti (traumi emotivi), cronici (conflitti familiari, scolastici, sociali, inadeguatezze comunicative), che incidono sulla preesistente situazione critica del fluency device, dando origine al sintomo disfluenza.

3) SINTOMO O DISFLUENZA PERCEPIBILE:

Perché il sintomo disfluenza divenga contemporaneamente il punto di partenza per la patogenesi progressiva della balbuzie, è necessario che il soggetto esperisca disagio, malessere, sentimenti negativi, ogniqualvolta la disfluenza si presenta. Per Bellussi e Accornero (1994), le disfluenze, riconosciute come la causa della anormalità nel proprio eloquio, generano paura del parlare e timore del giudizio degli altri; ciò fa aumentare l’ansia e diminuire la possibilità di autocontrollo; il circolo vizioso si chiude cosi con l’aumento della disfluenza. Anche Freeman (1982), sottolinea l’importanza di individuare una multifattorialità causale nel descrivere la sindrome balbuzie, in particolare considera come rilevanti i seguenti 4 fattori:

1. Fattore linguistico come causa scatenante;

2. Cause sottostanti necessarie: genetiche, neurologiche, psicologiche;

3. Cause ambientali di natura familiare o sociale;

4. Cause meccaniche, attribuibili al malfunzionamento del condotto vocale.

 

Nel caso particolare della balbuzie, dunque, non è consigliabile utilizzare il termine “causa”, ma è più corretto considerare le condizioni ‘necessarie’ e ‘sufficienti’ che la determinano. Vi potrebbero essere, infatti, delle cause necessarie che singolarmente non sono sufficienti, oppure potrebbe non esistere alcuna causa necessaria ma molte singole cause sufficienti (Zmarich, in corso di pubblicazione).

A parere di molti studiosi (cfr. Van Riper, 1982; Smith e Kelly, 1997) potrebbe addirittura non esserci alcuna singola causa sufficiente ma piuttosto diversi fattori critici, che in varie combinazioni possono divenire sufficienti. Quindi, se molti ricercatori ritengono di poter identificare la causa della balbuzie nella variabile sperimentale comune a tutti i balbuzienti e assente in tutti coloro che non balbettano, non hanno un atteggiamento consono all’attuale ricerca scientifica e le loro posizioni sono perciò da rifiutare. Tra coloro che si occupano in modo scientifico di balbuzie, è sempre più radicata la convinzione che le modificazioni della fluenza caratteristiche di questo disordine, siano il risultato di una inadeguata coordinazione tra processi di natura complessa, dinamica e multifattoriale (Zmarich, in corso di pubblicazione).

 

Gli scienziati che sino ad oggi si sono interessati al problema balbuzie, non riescono ad andare oltre ad un genere di teoria che in accordo con Starkweather (1987) potrebbe essere definita “descrittiva”.

Infatti, ciò che emerge dai risultati delle varie ricerche non contribuisce a fornire una spiegazione esaustiva del disordine, ma accresce esclusivamente il numero di informazioni utili a descriverlo. O. Bloodstein nel suo fondamentale manuale, A Handbook on Stuttering (1995), propone una classificazione delle teorie sulla balbuzie in base ad un principio che può risultare molto efficace. Egli suddivide le teorie esistenti in teorie del disordine e teorie dell’evento, sostenendo che se una teoria  ambisse ad essere valida ed esauriente, allora dovrebbe essere in grado di rispondere alle seguenti domande: “qual è l'origine del disturbo?” (come e perchè un bambino diventa un balbuziente, cfr. etiological theories= teorie del disordine), e “che cosa avviene ogni singola volta che un balbuziente produce un episodio di balbuzie?” (cfr. moments theories = teorie dell'evento).

Nonostante vi siano ancora dubbi sull’eziologia di tale disordine della fluenza, è ormai un dato di fatto che le conseguenze della balbuzie compromettono la comunicazione linguistica. A proposito di ciò, McClean (1990), propone un’ulteriore classificazione che si riferisce alla terminologia raccomandata dall’OMS. Egli sostiene che la balbuzie compromette la comunicazione linguistica a tre livelli:

  • menomazione: in questa accezione la balbuzie è vista come il prodotto di deficit o disfunzioni (ancora sconosciuti) ad opera dei sistemi motorio e sensorio che sono alla base della produzione verbale.
  • disabilità: a questo livello la balbuzie è considerata l’effetto di fenomeni percettivi e fisici concomitanti alla disfluenza, che interessano anche sistemi somatici non esplicitamente coinvolti nella produzione verbale.
  • handicap: a questo livello la balbuzie è considerata come il frutto di conseguenze negative che hanno origine nella disabilità. Queste conseguenze risultano dannose in quanto interferiscono sulle competenze comunicative e verbali del balbuziente ed hanno ripercussioni nella sfera personale, in quella educativa, nella scelta professionale e nella funzione sociale.

                                             

Brain imaging

Nelle ultime quattro conferenze internazionali tenute in Olanda e organizzate dall'Università di Nijmegen (Olanda) nel 1985 (Peters & Hulstijn (1987), nel 1990 (Peters, Hulstijn & Starkweather, 1991), nel 1996 (Hulstijn, Peters & van Lieshout, 1997) e nel 2001 (Maassen, Hulstijn, Kent, Peters, van Lieshout, 2001), sono testimonianza del fatto che negli ultimi anni vi è stato un nutrito numero di indagini eziologiche aventi per oggetto il livello della causa e quello connesso della menomazione. In particolar modo nelle ultime due conferenze è stata presentata una numerosa serie di studi di brain imaging condotti su soggetti balbuzienti.

Sino al 2001, sette equipe differenti, hanno sottoposto 65 soggetti balbuzienti e oltre 121 non balbuzienti, a tecniche d’indagine quali SPECT,  PET e fMRI. In questi esperimenti i partecipanti sono stati sottoposti a diverse condizioni: mentre balbettavano, parlavano senza balbettare, erano a riposo, oppure prima e dopo l’intervento terapeutico. Queste ricerche hanno prodotto almeno 15 studi di brain imaging da cui si evince che:

  • nel parlato disfluente e fluente del balbuziente sono profondamente danneggiati i processi cerebrali di tipo semantico, sintattico, fonologico e articolatorio, quelli connessi dunque, alla produzione del parlato.
  • nel balbuziente, alcune aree cerebrali quali la corteccia prefrontale, frontale e il cervelletto risultano avere un pattern di attivazione non regolare.
  • Durante la produzione del parlato, i balbuzienti hanno un’attività cerebrale maggiore nell’emisfero destro rispetto ai non balbuzienti.

E’ un dato di fatto che i normali processi di produzione del linguaggio hanno sede nell’emisfero sinistro. Sembra, invece, che nel parlato disfluente e in maniera minore, in quello fluente del balbuziente vi sia una maggiore attività dell’emisfero destro rispetto al sinistro. Ciò porterebbe a pensare che nel balbuziente sia presente una riorganizzazione profonda dei processi che coinvolgono il linguaggio e che questa ristrutturazione non sia dovuta ad un semplice processo di natura cognitiva.

Una delle regioni cerebrali che riveste un ruolo importante nel focalizzare l’attenzione durante un compito di performance è la regione cingolata anteriore (Damasio, 1994; Posner & Petersen, 1990). Si è riscontrato che nei balbuzienti questa regione ha una maggiore attivazione rispetto ai normoparlanti. Solitamente, nei normofluenti, l’attivazione di questa regione cerebrale durante l’esecuzione di un compito è collegata ad un aumento dell’attenzione selettiva, ad un maggior coinvolgimento emotivo e ad una riduzione d’automaticità. La maggiore attivazione di quest’area cerebrale nei balbuzienti, dunque, potrebbe essere una spiegazione valida alla loro consueta perdita d’automaticità e d’integrazione naturale dei processi linguistici ed articolatori durante gli episodi di balbuzie.

 

Come si è potuto riscontrare, tecniche d’indagine quali PET, SPECT e fMRI (insieme con altre tecnologie diagnostiche quali i potenziali evocati, l’elettroencefalografia quantitativa, la risonanza magnetica nucleare di tipo funzionale, (cfr. Lauter, 1997), sono in grado di rilevare le aree compromesse nella produzione del parlato, ma:

  • non ci illuminano sul tipo di processo implicato
  • non sono in grado di specificare se le anomalie evidenziate sono manifestazioni dirette della causa, o piuttosto manifestazioni delle reazioni di adattamento del soggetto verso la causa
  • sono difficilmente applicabili ai soggetti in età evolutiva. 

Al fine, dunque, di identificare le strutture e i processi coinvolti dal disordine, nasce l’esigenza di riferirsi ad un modello dettagliato della produzione del parlato.

Generalmente, i modelli validi per la produzione del linguaggio orale dei normoparlanti sono stati elaborati proprio grazie all’analisi delle malfunzioni linguistiche a breve termine o lapsus (Fromkin, 1973; 1980; per l’italiano cfr. Magno Caldognetto & Tonelli, 1993), delle disfluenze (cioè i fenomeni di esitazione) e dei cosiddetti self-repairs (cioè le correzioni eseguite dallo stesso parlante sui propri errori di natura semantica, sintattica o fonetica; cfr. Levelt, 1989; Postma, Kolk & Povel, 1990; Blakmer & Milton, 1991, Berg, 1992).

In letteratura sono disponibili due tipi di modelli, i seriali-gerarchici e i connessionistici. In accordo con Magno-Caldognetto e Zmarich (1995), si può affermare che a prescindere dalle diversità delle soluzioni, tali modelli si pongono come obiettivo: individuare le unità di elaborazione, esplicitare la rappresentazione mentale dell'informazione linguistica e mettere in rilievo i processi di elaborazione di tali informazioni (selezione, richiamo, controllo e correzione ecc.). Sono previsti anche differenti tipi di feedback con il compito di controllare e correggere i vari processi. E’ importante sottolineare che l’antinomia tra i due modelli sopra citati è solo apparente e se esiste, si riscontra esclusivamente tra prototipi estremi. Ad esempio, “i modelli connessionistici più usati in ambito psicolinguistico sono del tipo spreading of activation e sono concepiti dai loro stessi autori come un completamento dei modelli seriali gerarchici, mentre i modelli connessionistici più spinti, come quelli ad elaborazione distribuita in parallelo e a rete neurale, sono suscettibili di grandi progressi grazie alle loro potenzialità di generalizzazione nella spiegazione dei comportamenti linguistici reali” (Magno-Caldognetto e Zmarich ,1995: 482).

 

 

Bibliografia:

  • La balbuzie nel corpo Elton kazanxhi in Stampa
  • L’io la fame l’aggressività collana Psicoterapie Edizione F. Angeli 1995
  • Balbuzie : Percorsi teorici e clinici integrati Edizione Mc Graw-Hill 2005.
  • La balbuzie: prevenzione e terapia F.P.Murray Edizione Red  2003.

 

 

Nel presente articolo il Dr. Elton kazanxhi tratta il tema della balbuzie riferendosi a ricerche scientifiche sul tema. Tratto dal suo libro in stampa la balbuzie nel corpo questo contributo vuole gettare luce sul tema e sulla sulla complessità.
 
Data pubblicazione: 03 dicembre 2014

Guarda anche balbuzie