Un approccio psicoanalitico lacaniano alle psicosi: la psicosi e la psicosi ordinaria

cdipasquale
Dr. C. M. Di Pasquale Psicologo, Psicoterapeuta

In questo breve scritto si intende dare una presentazione sebbene didascalica e non certo esaustiva di alcuni di alcuni passaggi logici relativi all'approccio clinico della psicoanalisi lacaniana alla psicosi sino a giungere a descrivere la cosiddetta psicosi ordinaria. Concetto questo che testimonia non solo dell’importanza che l'insegnamento lacaniano riserva alle psicosi ma anche di una ricerca sempre viva e continua in questo campo essendo questa una concettualizzazione nuova per la clinica psicoanalitica.

"Non indietreggiare davanti alla psicosi"
J. Lacan

Esistono tre momenti che si possono individuale nell’opera di Lacan rispetto alle psicosi. Il primo momento è imperniato intorno al discorso eziologico dove possiamo ritrovare una critica al riduzionismo della biologia. Un secondo momento è quello strutturalista: la forclusione del Nome-del-Padre produrrà la psicosi, l’esclusione del piano simbolico sarà prevalente.

Da ultimo Lacan individuerà, a partire di una rottura prodotta nei registri del nodo borromeo, il momento in cui si installerà la psicosi; è la cosiddetta clinica borromea o clinica dei nodi. Questi tre momenti sono però da leggersi come tre momenti logici che coesistono nella clinica Lacaniana. Quello che cambierà sarà piuttosto la rilevanza data nel corso del tempo dallo psichiatra e psicoanalista francese al Simbolico in relazione con il Reale e all’Immaginario nella struttura psichica.

In questo breve scritto si intende dare una presentazione sebbene didascalica di alcuni di questi passaggi logici prendendo a riferimento le psicosi sino a giungere a descrivere la cosiddetta psicosi ordinaria. Questo concetto testimonia non solo l’importanza che la Scuola lacaniana riserva alle psicosi ma anche della continua ricerca in questo campo essendo questa una concettualizzazione nuova per la clinica psicoanalitica.  

Nel Seminario III specificatamente dedicato alle psicosi, e in una fase iniziale del suo insegnamento, Lacan riprende le operazioni Freudiane di Bejahung, Verdrangung e Verwerfung per stabilire le differenze tra nevrosi e psicosi nella sua costituzione. Per Freud la Bejahung, l’affermazione, è la decisione primaria in cui il giudizio di attribuzione prende la sua origine è un “sostituto” dell'unificazione, unificazione che appartiene all'Eros. Freud lo pone come precedente necessario della Verneinung (denegazione), “che si oppone alla Bejahung primaria e costituisce come tale ciò che è espulso”.[1]

Lacan spiega la Bejahung come l’operazione fondante una simbolizzazione originaria per mezzo della quale i significanti si iscrivono nel registro del simbolico: “[…] un’ammissione nel senso del simbolico, la quale può far difetto”.[2]

La Verdrangung, sulla scia di Freud, è il meccanismo della rimozione. Rimozione propriamente detta mediante la quale il resto dei significanti della catena (S2) sono attratti verso l’inconscio a partire dalla rimozione originaria esercitata sull’S1, costitutivo dell’apparato psichico nella nevrosi. Affinché i significanti possano essere rimossi è necessario che siano stati inscritti nel simbolico: “Ciò che cade sotto la rimozione fa ritorno, giacché rimozione e ritorno del rimosso non sono che il diritto e il rovescio di una medesima cosa. Il rimosso è sempre lì, e si esprime in modo perfettamente articolato nei sintomi e in una moltitudine di alti fenomeni”[3] e ancora “è ciò che avviene quando qualcosa non quadra a livello di una catena simbolica”.[4]

In questo senso Lacan spiega che la rimozione è una operazione che agisce nel simbolico e il ritorno del rimosso, che si esprime in forma articolata nel simbolico, insiste sulla catena significante.

Sempre nello stesso passaggio citato poco sopra Lacan prosegue: “Per contro, ciò che soggiace alla Verwerfung ha una sorte completamente differente”.[5] La Verwerfunf è la preclusione (la forclusion in francese). Facendo una lettura di Freud, Lacan recupera il termine per spiegare che Freud teorizzava il meccanismo della psicosi come rifiuto per opporlo al meccanismo nevrotico della rimozione nella nevrosi: “Quando, all’inizio della psicosi, il non-simbolizzato riappare nel reale, ci sono delle risposte da parte del meccanismo della Verneinung, ma sono inadeguate”.[6] La prima differenza che stabilisce Lacan è che mentre la rimozione opera nel registro del simbolico, la preclusione o forclusione, trattandosi di un rifiuto è dell’ordine del reale: “La distinzione essenziale è questa: l’origine del rimosso nevrotico non si situa al medesimo livello di storia nel simbolico dell’origine del rimosso di cui tratta nella psicosi, anche se c’è il rapporto più stretto dei contenuti”.[7]

Ma come opera la forclusione? Si tratta di un rifiuto di un significante particolare, il Nome-del-Padre. “Di che cosa si tratta quando parlo di Verwerfung? Si tratta del rigetto di un significante primordiale nelle tenebre esterne, […]”.[8] Nella psicosi quindi non c’è Bejahung del Nome-del-Padre ma c’è comunque la simbolizzazione originaria dal momento che lo psicotico è un essere parlante e come tale abita il linguaggio. In questo senso la forclusione come rifiuto implica che un significante non accede all’iscrizione simbolica. Il simbolico lo rifiuta e quindi, se questo avviene, non può esservi la rimozione. Quindi quello che non si può iscrivere nel simbolico, ci dice Lacan, ritornerà necessariamente nel reale. Nel seminario terzo Lacan teorizza questo quando tratta le allucinazioni.

In altre parole nella nevrosi le formazioni dell’inconscio (lapsus, sintomi, etc.) manifestano un ritorno del rimosso nel simbolico. Rimosso che opera articolato nella catena significante. Nella psicosi questa articolazione alla catena significante non è possibile è quindi il ritorno, se così si può dire, è dal reale. Il meccanismo in opera sarà dunque non la rimozione ma la forclusione del Nome-del-Padre.

Continuiamo adesso sempre riferendoci alle “psicosi straordinarie” (schizofrenia e paranoia) che, come vedremo, possono essere chiamate così a partire dalle cosiddette psicosi ordinarie.

Il termine schizofrenia è posteriore alla psicoanalisi (a differenza della paranoia) e possiamo indicare il 1911 come un anno fondamentale per tale concetto. È l’anno del testo di Breur “La demenza precoce e il gruppo delle schizofrenie”, del lavoro di Freud sul caso Schreber e dell’opera di Jung sulla libido. Ma se esisteva una certa vicinanza tra la psichiatria classica e la psicoanalisi così non si può dire oggi. La psichiatria infatti si trova più vicina piuttosto alla neurobiologia, cosa che conduce a trattamenti basati quasi esclusivamente a terapie farmacologiche piuttosto che su una clinica fondata sui meccanismi di produzione delle psicosi. Riguardo alla schizofrenia vi sono quindi profonde differenze tra psichiatria e psicoanalisi. Differenze riguardanti la diagnosi, la lettura degli eventi che precedono lo scatenamento e la direzione della cura.

Nella psichiatria attuale la schizofrenia è diagnosticata, seguendo la logica dei manuali diagnostici, in raggruppamenti sintomatici più che in relazione a una certa entità clinica. È evidente come tre sono in questo caso gli assi principali: sommatoria, tempo e differenza. In altri termini si controlla se vi sono un certo numero di sintomi che devono persistere per un certo lasso temporale. Poca importanza avrà la causa se non apporta dati per una interpretazione neurologica (alterazioni morfologiche celebrali), neurobiologica (modificazioni a livello dei neurotrasmettitori) o genetica.

Per la psicanalisi la logica da adottare è quella che fa riferimento a due assi: quello della struttura e quello della posizione soggettiva ed entrambi profondamente articolati con il meccanismo causale in gioco. Per la diagnosi da una parte prenderemo in considerazione i fenomeni elementari,[9] fenomeni che non si sottomettono a nessuna significazione e dall’altra la posizione di quel particolare soggetto nel transfert, cioè la posizione del paziente in relazione all’analista. Per individuare quali siano i fenomeni di struttura che possiamo incontrare dobbiamo pensare al soggetto come costituito da una struttura a tre registri: immaginario, simbolico e reale. Questi tre registi si trovano annodati secondo la logica del nodo borromeo: i tre nodi sono articolati in una forma tale per la quale se se ne scioglie o si annulla uno gli altri due si separano. Nella psicosi il nodo simbolico non mantiene questo schema, è sciolto, e quindi il nodo dell’immaginario è destrutturato e il reale non può essere legato, tenuto direi. Si produce un quarto annodamento che Lacan chiama il Sinthomo. Nello specifico della psicosi l’assenza di presa del simbolico determina in questo quarto annodamento il tentativo di mantenere una certa coerenza e allo stesso tempo un tentativo di supplire a questa mancanza attraverso il delirio che sarà una compensazione immaginaria, una risorsa per supplire alla mancanza del Nome-del-Padre.

Lo scioglimento dei tre registri produce tragiche alterazioni. Il primo riferimento è alla particolare relazione che lo psicotico ha con il linguaggio, lo stesso Freud dice che lo schizofrenico tratta le parole come se fossero cose. In altri termini tratta il simbolico come il reale. Per un soggetto ciò che fa di un organismo un corpo è il simbolico, mancando questo il corpo si spezzetta ed ecco per esempio le numerose mutilazioni che possono ricorrere in pazienti schizofrenici. L’anello del registro immaginario si sgancia dal suo ormeggio, si emancipa dagli altri due producendo determinati effetti come per esempio i fenomeni di frammentazione corporea. I neologismi, le allucinazioni, la parola piena di significato o vuota di senso, il maneggio particolare degli affetti, sono fenomeni tutti che possiamo spiegare come tendenza all’indipendenza dei tre registi.

Però oltre a questa logica, che spiega la causa, che potremmo dire significante, dei fenomeni delle psicosi, non dobbiamo perdere di vista che ciò che distingue la psicanalisi dalla scienza positivista: la posizione soggettiva. Detto altrimenti si tratta di definire quale sia la relazione del soggetto con ciò di cui soffre e che la diagnosi delle psicosi per la psicoanalisi avviene nel transfert. È necessario relazionarsi a un altro per giungere a una diagnosi.

Consideriamo brevemente adesso la paranoia oltre alla schizofrenia

Lacan fin dal suo articolo del 1931,[10] differenzia i disturbi schizofrenici e le psicosi maniaco-depressive dalle psicosi paranoiche, facendo di queste ultime un punto cardine della sua riflessione sulle psicosi. Già nella sua tesi di specializzazione Lacan fa della paranoia una strategia finalizzata ad identificare il godimento con il luogo dell’Altro. Ed è attraverso la paranoia che Lacan reperisce il tempo inaugurale di istituzione dell’identità. L’Io, infatti, si struttura come fondamentalmente paranoico, ovvero vincolato e asservito alla propria immagine in quanto immagine dell’altro. Ecco quindi che la struttura della paranoia esemplifica in modo mirabile un concetto cardine il soggetto dipende nel suo essere dal campo dell’Altro. E infatti il godimento identificandosi al luogo dell’Altro da vita a fenomeni nei quali è l’Altro a perseguitare il soggetto. Freud e Lacan ci offrono quindi una doppia lettura, una legata a una fissazione narcisistica e l’altra alla proiezione difensiva. La particolarità della proposta lacaniana sta nel diverso statuto attribuito alla paranoia. Se già la schizofrenia è marcata dalla frammentazione del corpo, il delirio paranoico offre al soggetto psicotico un possibile trattamento, una consistenza di fondo che eviti il rischio della frammentazione.

Un ultimo passaggio è da dedicare alle cosiddette “psicosi ordinarie”. La creazione del significante di “psicosi ordinaria” ha come data di riferimento quella del 1998 ad Antibes.[11] Prima di questa vi furono altri due momenti: il prima è il lavoro del 1996 ad Anger[12] sugli “effetti di sorpresa”[13] mentre il seconda di Arcachon, nel 1997, affronta il tema dei casi rari e considerati inclassificabili, che resistono a classificazioni strutturali, a categorie cliniche ordinate a partire dalla presenza o dall’assenza del Nome-del-Padre. Casi questi che anche in assenza di disturbi del linguaggio paradigmatici della psicosi suggeriscono una diagnosi di questo tipo, sebbene la confusione con un quadro di normalità fosse possibile. Del resto già nel Seminario III Lacan ci dice che “diventa possibile considerare la psicosi fuori dallo scatenamento e dal delirio”.[14] Il lavoro condotto negli anni precedenti portò Jacque-Alain Miller, proprio nella conversazione di Antibes a coniare l’espressione “psicosi ordinaria”: ordinaria come ordinarie sono le vite dei soggetti che non soffrono degli stessi problemi “invalidanti” di chi invece può essere ricondotto con maggior certezza a una diagnosi di psicosi, a questo punto e per contrapposizione, definibile come “straordinaria”. Ma attenzione, la nuova nozione non deve essere intesa come una scorciatoia per la diagnosi là dove e quando non si riesce a definirne una. Miller mette in guardia da un suo uso disinvolto come “rifugio dell’ignoranza o dell’ostentazione”. Inoltre Miller non la presenta come una categoria diagnostica ma piuttosto come una qualità, variante diagnostica all’interno delle psicosi, come un sintagma. In altri termini si puntualizza con forza che siamo in presenza sì di un ambito preciso ma pur sempre all’interno di quello delle psicosi.

Non è quindi una etichetta da attaccare ai casi inclassificabili della clinica. Quello che è stata in un primo tempo la funzione di questa nozione fu una sistematizzazione della ricerca nel campo delle psicosi. Come ci dice Eric Laurent in un intervento dal titolo le psicosi ordinarie a Buenos Aires[15] si tratta di “un programma di ricerca e che continua ad esserlo, più di una categoria quindi, una categoria sintomatica”.

Lo spostamento importante che la sua introduzione ha apportato, utilizzando le parole di Guy Briol, è quello dato del passaggio da una clinica “dicotomica”, bipolare, nevrosi-psicosi, a una clinica della continuità. Proseguendo sulla scia del ragionamento di Briol è importante sottolineare come la clinica che la connota è poco florida, si presenta con pochi sintomi, piccoli disturbi del linguaggio, piccole idee di megalomania, qualcosa che si vive come vuoto, come se fosse la clinica della normalità. Ciò che maggiormente può richiamare la nostra attenzione è, nello specifico, lo sforzo di apparire normale, come diceva Jean Pierre Deffieux “sono soggetti psicotici con un vestito da nevrotici”. Sempre Briol: “Ciò che spiega la psicosi ordinaria è una grande varietà di annodamenti (psicosi non scatenate, …). Non si tratta di ciò che vediamo in ospedale, ha più a che veder con qualcosa che cigola, con qualcosa che, in riferimento a una frase di Lacan, ha a che vedere con il punto più intimo del sentimento della vita del soggetto, come se mancasse una facilità per muoversi, per pensare, per vivere i sentimenti, la relazione con gli altri, qualcosa che non è totalmente bloccato ma che cigola”.[16]

Ma da tutta questa faccenda si apre un problema clinico “perché effettivamente conosciamo l’identità psicopatologica di un soggetto quando ha una crisi, la prova del nove è la crisi. Invece, le psicosi ordinarie non hanno grandi crisi, ma dall’altra parte ci danno l’idea di quali siano stati i rimedi che hanno usato per non avere la crisi, quale annodamento, quale tappo ha inventato il soggetto per non scatenarsi. Quindi quando leggiamo della psicosi ordinaria abbiamo sempre tre denominatori comuni: una sintomatologia piccola o discreta, una pseudo normalità e il servire come tappo, ciò che evita qualcosa di peggiore”.[17]

Per identificare alcune coordinate minime si può far riferimento a un interessante articolo di Alexander Stevens che fornisce alcune caratteristiche sulla psicosi ordinaria quando non si è davanti a scatenamenti evidenti: “Il primo è una precipua registrazione del soggetto sull’identificazione immaginaria. Questo è il caso quando il soggetto trova il suo modo di far legame sociale e le modalità di identificazione esclusivamente o principalmente sull’asse immaginario. […] Una seconda caratteristica che potrebbe indicare una psicosi ordinaria è un senso di vuoto nella vita interiore del soggetto. […] il soggetto dice di non pensare a niente e che non incontra che il vuoto nei suoi pensieri. […] In terzo luogo, troviamo anche qualche fenomeno sul corpo. Questo è esplicito nei fenomeni ipocondriaci - che a volte precedono momenti di innesco delle psicosi […] Quarto, ci sono diverse declinazioni da fare sul girovagare, se si tratta di vagare in città o di peregrinazioni soggettivi. Sappiamo che molti senzatetto rientrano in questa categoria. E i nostri colleghi che lavorano negli istituti per tossicodipendenti possono testimoniare che questa la forma di “errare” che accompagna spesso i tossici è spesso un segno di psicosi che è coperto da questa scelta di godimento. […] È importante fare la diagnosi corretta perché da ciò dipende la direzione del trattamento. Ma c'è qualcosa di ancora più importante che la diagnosi di struttura che è quello di individuare il punto di capitone che stabilizza un soggetto e il suo sentimento di vita. I sintomi che servono a questo equilibrio devono essere rispettate in particolare per il soggetto psicotico, perché sono quelli che impediscono l'insorgenza della psicosi”.[18]

[1] J. Lacan, Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud, in Scritti, vol. 1, Einaudi, Torino 1974, p. 379

[2] J. Lacan, Il seminario, Libro III, Le psicosi (1955-1956), Einaudi, Torino 2010, p. 15

[3] Ibid, p. 16

[4] Ibid, p. 97

[5] Ibid, p. 16

[6] Ibid, p. 100

[7] Ibid, p. 17

[8] Ibid, p. 173

[9] Concetto che Lacan mutua da Clérambaut sebbene quest’ultimo ne avesse una concezione più meccanica.

[10] J. Lacan, Struttura delle psicosi paranoiche (1931), “La Psicoanalisi”, N. 39, pp. 10 - 24 (2006)

[11] J. A. Miller, La psicosi ordinaria. La convenzione di Antibes, Astrolabio Ubaldini, Roma 2000

[12] J. A. Miller, Il conciliabolo di Angers. Effetti di sorpresa nella psicosi, Astrolabio Ubaldini, Roma 1999

[13] A questo proposito Emmanuel Fleury scrive: “Che cos'è “essere sorpreso” per un soggetto psicotico? Un caso clinico ci permetterà di mostrare che per un verso è sorpreso colui che è “catturato” o “dominato”, per un altro verso è sorpreso ciò che, dovendo rimanere nascosto, è stato scoperto”. Ibid, p. 45

[14] A. Zenoni, La psicosi al di là del padre, Franco Angeli, Milano 2001, p. 17

[15] 27 gennaio 2006

[16] Guy Briol, La psicosis ordinaria es una psicosis, relazione tenuta presso la Facultad de Ciencias Políticas y Sociología de la Universidad de Granada il 29 novembre 2009

[17] José María Álvarez, Il sintomo nella psicosi, Relazione tenuta presso l’Istituto freudiano di Milano il 22 settembre 2012

[18]A. Stevens, La psychose ordinaire, Paris 2012- www.causefreudienne.net

Data pubblicazione: 30 marzo 2015

Autore

cdipasquale
Dr. C. M. Di Pasquale Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2001 presso Università Torino.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte tesserino n° 6458.

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