Depressione post-partum

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Dr.ssa Roberta Calvi Psicologo, Sessuologo

La depressione post partum rappresenta una patologia complessa con gravi ripercussioni sulla salute della madre, della coppia e del bambino. E' necessario pertanto un intervento psicologico tempestivo che aiuti non solo nella risoluzione sintomatica ma anche nella comprensione e nella rielaborazione delle cause del disagio

Epidemiologia e profili 

La depressione post-partum, nome generico utilizzato per indicare una sindrome depressiva con origine in gravidanza o nei primi mesi dopo il parto, interessa oltre il 10% delle neomamme.

La considerazione, come bene indicato anche nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM5), che la depressione post partum non si sviluppa esclusivamente dopo il parto ma anche nei mesi di gravidanza, ha fatto sì che la comunità scientifica definisse tale sindrome come depressione peripartum.

Nella valutazione della depressione peripartum è necessario differenziare tale patologia dalla normale condizione del baby-blues, così come dai sentimenti di tristezza e dai cambiamenti d'umore che accompagnano la gravidanza, dovuti sia alla stimolazione ormonale sia alla complessa riorganizzazione psicologica che accompagna il processo di genitorializzazione.

Occorre anche tener conto che alcuni sintomi tipici della depressione quali astenia, alterazioni della quantità e della qualità del sonno e dell'alimentazione possono essere condizioni fisiologiche e non aspetti di una condizione patologica. 

Per poter correttamente valutare la presenza di una depressione peripartum occorre pertanto fare maggiormente attenzione ai sentimenti di colpa e di autosvalutazione spesso riferiti alla propria capacità materna di accudimento.

Non è raro incontrare anche una profonda rabbia proiettata sul partner e/o sul bambino e vissuta in modo ambivalente e conflittuale che alimenta a sua volta sentimenti di colpa e svalutazione.

La depressione peripartum può anche essere accompagnata da eccessiva ansia e apprensione, con preoccupazioni, talvolta deliranti, che al bambino possa capitare qualcosa di negativo.

La depressione peripartum rappresenta dunque una patologia che compromette gravemente le capacità materne e può generare conseguenze negative sulla salute del bambino; pertanto è necessario un intervento tempestivo ed efficace.

 

Prospettive psicologiche eziologiche

Il processo di genitorializzazione

La filiazione rimette in gioco la strutturazione dell’identità, il processo che ha portato la psiche ad instaurarsi nel corpo appoggiandosi all’esperienza corporea e alla psiche materna, ma anche alla cultura d’appartenenza giacchè quest’ultima influenza il rapporto fusionale della madre col bambino, le modalità di nursing e di contatto fisico attraverso una serie di norme culturali che sono così trasmesse e immediatamente e passivamente interiorizzate.

Elisabeth Darchis parla di un “complesso di Telemaco” per indicare il processo che, durante il periodo della gravidanza, struttura la psiche del futuro genitore che deve, con un movimento regressivo, recuperare le sue origini, legarsi ad esse per poi separarsene. Infatti l’instaurarsi del legame genitore-figlio è un viaggio psichico compiuto dal genitore nella propria storia familiare in cui avviene una rielaborazione delle proprie esperienze infantili: innanzitutto una riscoperta del bambino che si è stati e in secondo luogo un movimento di ricerca dei genitori che si sono avuti per costruire un personale significato dell’essere genitori.

In questo viaggio si compie una regressione allo stadio primitivo di fusione con la propria madre per risperimentare il bambino che si è stati identificandosi nello stesso tempo col bambino che si aspetta. Questa regressione consente anche di ritrovare il proprio contenitore psichico familiare e costruirne un altro differente. Allo stesso tempo il futuro genitore deve rielaborare ulteriormente il complesso edipico identificandosi con il genitore e assumendone a sua volta il ruolo.

Se il passato dei futuri genitori è caratterizzato da ferite e traumi non elaborati, la rielaborazione e identificazione con il bambino che si è stati e con il genitore che si è avuto non può essere intrapreso o non può essere portato al compimento, impedendo così il lavoro di identificazione e differenziazione tra le generazioni, indispensabile per l’assunzione di un sano ruolo genitoriale.

Quando il viaggio di identificazione e differenziazione generazionale non è stato effettuato il legame di filiazione si instaura secondo modalità fusionali di tipo adesivo in cui il genitore non riconosce l'esistenza separata del bambino.

Spesso alla base di patologie perinatali c’è l’identificazione con la madre onnipotente della fase edipica, che possiede il padre e detiene il potere generativo. La madre edipica è vista senza faglie e senza debolezze. Come sostiene Bydlowski per una maternità sana è necessario che si verifichi un indebolimento dell’identificazione con la madre rivale della fase edipica e il ritrovamento delle dimensioni di accoglienza e tenerezza originarie della madre pre-edipica. Ma se la madre pre-edipica non può essere rappresentata come tenera ed accogliente si verifica l’emergenza di rappresentazioni terrificanti e persecutorie che costituiscono un ostacolo all’identificazione e all’assunzione del ruolo materno.

La rappresentazione di una madre senza faglie impedisce alla neomamma di accettare le sue fragilità, le sue difficoltà di assunzione del nuovo ruolo e alimenta in essa la convinzione di non essere all’altezza del nuovo ruolo, di non essere una buona madre.

Questi vissuti sono alla base dello sviluppo di una depressione post partum.

Maternità e gravidanza sono cariche di antichi sentimenti di colpa.

Una ragione profonda di sensi di colpa è legata alla relazione della donna con la propria madre.

 Si può addirittura affermare che questa relazione è il centro dei problemi psicologici della gravidanza e di tutta la funzione della riproduzione(Deutsch ib pag 139).

E’ lo svincolamento psicologico più o meno forte dalla propria madre che decide il destino della maternità.(ibidem).

La neo mamma può durante la gravidanza regredire ad un funzionamento psichico infantile facendosi accudire, guidare, sostenere dalla propria madre, delegando quasi a lei la funzione di madre oppure può accadere che la gravidanza susciti la ribellione della figlia che cerca in ogni modo di allontanare sua madre per poterne finalmente occupare il posto: le antiche invidie si ridestano ma generano un profondo conflitto tra sottomissione e ribellione.

In entrambi i casi la neo mamma è ancora fortemente dipendente da sua madre e ciò suscita in lei la convinzione di non essere in grado, di essere incapace di diventare madre.

L'ambivalenza nei confronti di sua madre è quella che la donna rimette in scena con il figlio, amore e odio si intrecciano e possono impedire un attaccamento sicuro da parte del bambino.

 

La nascita del bambino come momento di crisi

La nascita di un figlio è per una donna un momento di crisi, di confusione e di profonda trasformazione.

 La crisi della maternità implica un vasto processo di riorganizzazione della personalità e così come può condurre all’assunzione di una corretta funzione materna, può d’altra parte essere il momento in cui si verifica un grave scompenso nevrotico o psicotico con la possibilità di sviluppare una depressione post- partum o una psicosi post-partum.

La separazione biologica, sancita dal parto, lascia uno spazio vuoto nel campo dell’esperienza della donna che si trova così di fronte all’ampio varco che separa la gravidanza dalla maternità.

Mentre durante la gravidanza la madre aveva a che fare con un contenuto dai caratteri indistinti e dai confini incerti, dopo il parto, ha di fronte a sé ciò che fino a quel momento aveva contenuto.

“Il bambino che prima per la madre era una parte del suo proprio io ora le sta di fronte come una personalità sempre più indipendente”(Deutsch, Psicologia della donna vol2 p285).

Il momento della separazione da qualche cosa (perdita) e quello della successiva elaborazione richiamano da vicino il concetto di lutto e di cambiamento che appaiono strettamente interdipendenti giacché ogni cambiamento comporta la perdita irrimediabile di una parte del Sé.

Ogni cambiamento sconvolge gli equilibri e i compromessi su cui si basava l’organizzazione della personalità e pertanto costituisce un momento di crisi.

Il post-partum rappresenta in questo senso il vero e proprio periodo critico nel passaggio dalla gravidanza alla maternalità.

La separazione biologica, come suddetto, rappresenta un lutto e pertanto richiede che la donna compia il lavoro del lutto necessario a poter poi investire la sua libido sul bambino reale che ora ha di fronte.

Nel celebre saggio Lutto e Melanconia Freud mostra come i vissuti, le emozioni, i comportamenti di chi compie il lavoro del lutto sono gli stessi che si ritrovano in un individuo depresso. La differenza tra il lavoro del lutto e la melanconia(depressione) è nella consapevolezza della perdita. Nel lutto l’individuo è consapevole dell’oggetto interno o esterno perduto, mentre nella melanconia la perdita avviene su un piano inconscio.

Qual è la specificità della depressione post- partum? Qual è la perdita inconscia che in una donna dopo il parto può generare il risvolto melanconico?

La perdita inconscia riguarda l’illusione di un tutto narcisistico, un’unità perfetta e indissolubile. La nascita e soprattutto il taglio del cordone ombelicale sanciscono la separazione del bambino dalla madre e la fine dell’illusione di onnipotenza narcisistica. La nascita infatti interrompe il regime narcisistico e fusionale della gravidanza. Per la madre come per il bambino, questa separazione corporea è una rottura e un trauma”.(Racamier)

Il parto rappresenta inoltre per la donna la riproposizione del primo lutto originario vissuto, quello del distacco dalla propria madre. La donna rivive quella ferita narcisistica mai realmente superata.

Se è vero che il taglio ombelicale scioglie in parte la dipendenza reciproca tra madre e figlio permettendo a quest’ultimo di sostituire progressivamente la madre con altri oggetti, tuttavia per quanto concerne l’unità psichico-emotiva della madre e del figlio questa liberazione è molto relativa, specialmente per la madre.

<<L’amore materno, vale a dire il vincolo affettivo col figlio, crea un cordone ombelicale psichico>>.(Deutsch Psicologia della donna vol2 p256). 

Insieme alle tendenze progressive della maternità che lottano per adattarsi allo sviluppo del bambino, si manifesta in ogni madre una tendenza regressiva che cerca di ristabilire l’unità prenatale.

In un primo momento tale tendenza regressiva è fondamentale per un buon sviluppo del neonato.

La regressione materna sembra essere indotta dal neonato che si muove nella direzione di avvolgere la madre e di guidarla sui binari dell’identificazione della madre col bambino.

Identificazione e regressione sono meccanismi di difesa, pertanto nel processo d’identificazione della madre col neonato, ella fa propri determinati aspetti, proprietà, attributi del neonato fino a trasformarsi totalmente o parzialmente sul modello del neonato. Identificazione e regressione rispondono così all’esigenza sentita da ambedue i versanti della simbiosi di colmare il vuoto che il parto ha creato.

La simbiosi si configura come una condizione difensiva sia per il neonato sia per la madre: grazie ai meccanismi di difesa messi in atto viene in qualche modo sostenuto il senso di una continuità dell’essere, anche corporea, tra madre e neonato superando il trauma della nascita

Nella fase di simbiosi la reciprocità empatica incoraggia l’illusione di una continuità madre-neonato che è psicologica e corporea.

Questa relazione detta “anaclitica” prolunga il regime narcisistico prenatale, smorzando così il “traumatismo” della nascita, per il bambino, ma anche per la madre, a condizione che la donna sia capace di entrare con il proprio bambino in quella relazione particolare in cui gli esseri, per quanto separati, restano comunque uniti e confusi.

Questo significa che la madre si identifica con il neonato, sentendolo psichicamente come parte di se stessa. E sempre a questa condizione la madre è capace di presentire i bisogni e gli stati d’animo del bambino.

Secondo Winnicott lo sviluppo sano del bambino dipende dalla qualità della holding materna.

Per holding si intende il sostegno, non solo fisico ma anche psichico, che viene fornito al bambino che non è ancora in grado di funzionare autonomamente. Letteralmente holding significa tenere, ma il concetto è meglio definibile come un con-tenere. La madre in questa fase avvolge l'io del bambino permettendogli di stare al mondo: da lei dipende l'integrità mentale, emotiva e fisica del bambino.

Tra madre e neonato si crea un’intensa relazione di reciproca seduzione che protegge il neonato dall’eccesso di stimolazioni interne ed esterne.

La chiusura narcisistica preserva l’unisono simbiotico che ispira a costituire un unico corpo, un unione che è certamente un’illusione, ma fondamentale e sana all’inizio della vita.

La regressione in simbiosi infatti è funzionale solo nelle prime fasi di vita del bambino. Se permane diventa patologica.

Il primo compito della coppia neonato-madre, è il lutto originario, ossia la rinuncia all’illusione onnipotente di un’unione perfetta che tiene lontano l’ambiente esterno e protegge dagli stimoli interni. Il lutto originario è il lavoro di rinuncia alla seduzione narcisistica, è un lutto dell’onnipotenza.

Il lutto originario determina la possibilità di poter affrontare tutti gli altri lutti della vita perché fonda la scoperta dell’oggetto e l’idea dell’Io.

Il lutto originario è quindi il processo tramite il quale la persona spinta dalla forze della crescita, si allontana dalla seduzione narcisistica e si volge verso l’individuazione, questo ha il costo della perdita dell’onnipotenza e del paradiso simbiotico. Una perdita indispensabile per instaurare la differenza tra sé e l’oggetto, tra ieri e domani. Il lutto originario costituisce una soglia che impedirà alla persona di tornare alla non-differenziazione.

 L’uscita dal lutto originario conduce progressivamente all’investimento di nuovi oggetti poiché fonda la fiducia di base in sé, nell’oggetto e nel mondo. “La capacità d’amore oggettuale, la capacità di gioire del piacere e la capacità di sopportare il sentimento di lutto, costituiscono tutt’insieme le condizioni di qualunque sanità psichica” (Racamier)

Il lutto originario è l’organizzatore interno dell’Antedipo, il suo limite essenziale.

L’Antedipo è il conflitto delle origini, è il conflitto tra le forze che mirano all’unisono narcisistico con la madre primaria con quelle che mirano alla separazione e poi all’autonomia.

La natura del conflitto è tra le forze di crescita e quelle narcisistiche.

Saranno le forze della crescita a spingere il bambino verso l’esterno e le pulsioni sessuali a spingere la donna verso il partner e la sua vita precedente. 

“I due massimi compiti della donna, in quanto madre, consistono nel raggiungere armonicamente la sua unità col figlio prima, e nello sciogliere altrettanto armonicamente quest’unità più tardi”.

(Deutsch, Psicologia della donna vol II, p283).

“Se la maternità, in quanto manifestazione psicologica della missione della donna al servizio della specie, colmasse da sola ed esclusivamente la sua vita psichica, la donna perderebbe le sue caratteristiche individuali, naufragherebbe, per così dire, nella maternità” (ibidem)  

Dopo che, con il parto, l’unità madre-bambino si è scissa, due tendenze esistono nella madre: una progressiva che ha per scopo d’aiutare l’io a riguadagnare i suoi diritti (la donna infatti ha desideri e aspirazioni che travalicano la funzione della riproduzione: possiede un proprio io che lotta per esprimersi, dilatarsi, godere, vivere), l’altra regressiva che vuole la riunione col figlio e il mantenimento del cordone ombelicale psichico.

In questa fase è necessario che il partner della madre intervenga a spezzare la simbiosi madre-figlio.

Secondo Lacan la dipendenza iniziale del bambino dalla madre non è solo funzionale ma anche strutturale.

Il bambino è inizialmente un assoggetto in quanto si sperimenta come assoggettato alla legge della madre, vale a dire che il suo desiderio si trova a dipendere dal desiderio della madre. Il suo desiderio infatti è essere l'oggetto del desiderio materno. Il motivo per cui il soggetto desidera proprio il desiderio della madre è che teme di poter non essere desiderato. Sotto questa luce, il desiderio risulta essere una mancanza di qualcosa, ciò che Lacan definisce “mancanza ad essere”. Affinchè il bambino svincoli il suo desiderio da quello materno e costruisca una propria personale dimensione del desiderio è necessario che egli scorga anche nel desiderio della madre la legge.

Il partner della madre entra in funzione simbolicamente come luogo della legge della madre. Il partner infatti è colui che priva la madre del fallo, dell'oggetto del suo desiderio: il partner è colui (o colei) che castra. Il partner priva la madre dell’esclusività sul figlio, esclusività che ha avuto soprattutto per nove mesi Il bambino accettando l'ingresso dell’altro genitore nell'ordine simbolico come colui che priva potrà modificare il suo rapporto con il fallo: da un rapporto di identificazione, essere o non essere il fallo, ad un rapporto di possesso, avere o non avere il fallo. Il partner della madre è l’elemento fondamentale che permetterà al bambino di distinguere i propri confini da quelli della madre e incominciare il processo di individuazione del sé, un sé inizialmente fuso con quello della madre.

L’altro genitore si introduce nel legame simbiotico madre-bambino impedendo a questo di divenire devastante. “Ravage”(devastazione) è il termine che Lacan utilizza per indicare il dramma che può contrassegnare la relazione madre-figlio. Relazione di amore e di odio, di divorazione e rigetto reciproci, legame disperante, impossibilità di separazione e impossibilità di unione. Ti amo, ma poiché resti altro da me ti odio. Si tratta di una relazione che tende ad annullare l'esistenza di un Altro come terzo asimmetrico.

Di fondamentale importanza il rapporto della madre con la castrazione. Secondo Freud infatti il bambino può rappresentare il tappo della castrazione materna. La “madre in mancanza” secondo Miller (1998) non ha come funzione primaria le cure e l'attenzione per il bambino bensì la sua divorazione. La madre infatti cerca di riempire ferocemente la sua mancanza.

Lacan definisce la madre una belva “Querens quem devoret”(1956), che cerca qualcosa da divorare. La struttura del desiderio della madre si presenta come tendenza a reincorporare il suo frutto. E' la mancanza del padre simbolico che lascia che la devastazione madre-figlio raggiunga il suo culmine Se egli non interviene a spezzare la simbiosi <>(Recalcati, 2003). Madre e figlio restano un tutt'uno rimanendo entrambi nell'illusione del narcisismo soddisfatto.

La relazione della madre è condizionata fin dall’inizio da varie influenze psicologiche dovute al suo sviluppo infantile, alla sua educazione, all’ambiente.

Gli antichi conflitti non risolti incidono fortemente sulla capacità della donna di non identificarsi totalmente e unicamente nel ruolo di madre, ma di ritrovare la donna oltre la madre.

Sintomi e strategie di intervento

Le cause che sono dietro ad un sintomo possono essere molteplici; è bene dunque non soffermarsi su una singola teorizzazione di una manifestazione patologica. La depressione post parto può trovare spiegazione nella storia del soggetto, nelle dinamiche con la famiglia d’origine, in traumi infantili non elaborati.

Generalizzare significa privare di dignità una sofferenza che merita di essere riconosciuta e trattata.

Di seguito un semplice elenco di possibili sintomi (e probabili cause) riscontrabili nella depressione post parto, sintomi che non necessariamente devono presentarsi contemporaneamente e con la stessa intensità.

Ogni persona inconsciamente trova un modo peculiare ed unico di manifestare il proprio disagio.

 

1) stato umorale caratterizzato da tristezza e disperazione. Desiderio costante di piangere.

Occorre sottolineare che la tristezza è un sentimento che si accompagna spesso alla nascita di un figlio proprio per le intense modificazioni che tale evento comporta alla vita della donna e della coppia, alla perdita di un precedente equilibrio proprio e familiare.

Il sentimento della tristezza viene spesso scambiato per depressione, qualcosa da cui liberarsi rapidamente senza considerarne la funzione e le origini. Per sentirsi vitali e reali è invece essenziale riconoscere i sentimenti - compresi la tristezza e la malinconia - ascoltarli, dargli spazio senza per questo temere di essere malati o depressi.

La depressione non corrisponde affatto al sentimento della tristezza, è una patologia che può manifestarsi anche senza tristezza ed è legata proprio alla mancata elaborazione di un lutto per una perdita, o per una ferita narcisistica.

Ogni depressione è frutto di un lutto impossibile a farsi, un lutto catastrofizzato (Freud).

Il processo del lutto inizia proprio nel riconoscere la sofferenza per la perdita.

 

Strategie d’intervento

L’intervento psicologico gruppale è il più idoneo per aiutare la neo mamma a riconoscere, esprimere ed elaborare la sua tristezza.

Il gruppo permette alla donna di avere uno spazio in cui esprimere la sua tristezza senza per questo sentirsi in colpa constatando che tale sentire è comune e condiviso. La condivisione permette anche di esplicitare il nucleo centrale della propria tristezza, comprendere quindi a quale perdita conscia o inconscia è legata.

All’intervento gruppale è necessario affiancare un trattamento psicologico individuale attraverso un numero variabile di colloqui clinici per comprendere, analizzare, elaborare gli aspetti della storia affettivo-relazionale che sono connessi alle difficoltà attuali.

 

2) senso di incapacità di provvedere alle esigenze del figlio e senso di colpa per non essere una buona madre.

Questo sentire in parte è legato ad una rappresentazione culturale della maternità che è vista come momento più bello della vita e quindi qualunque emozione negativa non è ammessa. La neo mamma quindi si trova spesso a non poter condividere con nessuno quei momenti di preoccupazione, disagio, paura e rabbia che accompagnano la maternità e ciò aumenta questi sentimenti a cui si accompagnano il senso di colpa e di incapacità.

Occorre sottolineare che l’ambivalenza è costitutiva della prima relazione madre-bambino.

Anche l'aggressività è una componente dell'amore materno, da sempre.

"Ci sono persone che rimangono colpite quando scoprono che un neonato non suscita in loro solo sentimenti d¹amore" (Winnicott)

Winnicott afferma che l’odio è un umano sentimento materno che ha ben diciotto validissime motivazioni. La madre viene grossolanamente usata, il suo serbatoio di energie individuato, forzato e svuotato. Non c'è pietà, non un ringraziamento esplicito, le vie di mezzo sono escluse, perché il compito principale del bambino piccolo è sopravvivere.

Sentimenti difficili da decodificare, ambivalenze che poco si legano a un¹idealizzazione dell'amore materno che provoca in molte madri l'incapacità di accettare momenti di stanchezza, di irritazione, di insofferenza, a volte anche di collera e di aggressività nel confronti del figlio, senza sentirsi in colpa. Il pianto del piccino è intollerabile. Lo vivono come un rimprovero; altre volte ne hanno proprio paura, si sentono incapaci di frenare quella furia irosa.

Un’abnegazione eccessiva nei riguardi del bambino, un abbandono troppo radicale degli altri interessi rafforza la tendenza a provare nei confronti del figlio delle paure nevrotiche: la donna si sente infatti sempre più incapace di prodigare al bambino quella somma di affettività che essa ritiene necessaria per il suo benessere.

Secondo Winnicott per affrontare e superare questi momenti difficili, queste emozioni contrastanti, alle madri serve condividere le proprie tribolazioni mentre le stanno vivendo. "Una parola al momento opportuno fa giustizia di tutti quanti i rancori(…) sono convinto, per dirla in termini pratici, che sia utile far toccare con mano alle madri i loro risentimenti, anche i più aspri". Condividere il mestiere di mamma, sollevare la coltre della solitudine consente alla mamma stessa, non più idealizzata, di "odiare a volte il suo bambino, senza mai fargliela pagare.

 

Strategie d’intervento

L’intervento psicologico gruppale è il più idoneo per aiutare la neo mamma ad accogliere e vivere le proprie emozioni e sentimenti attraverso un confronto ed una condivisione con altre mamme che condividono le stesse paure e preoccupazioni.

Il rispecchiamento nell’altra permette alle neomamme di sentirsi meno sole nella loro sofferenza, e meno in colpa per i loro sentimenti negativi

Al tempo stesso il confronto e lo scambio di opinioni permette la possibilità di ridimensionare le proprie fobie ampliando i propri punti di vista riguardo ad alcune situazioni ed eventi.

 All’intervento gruppale è necessario affiancare un trattamento psicologico individuale attraverso un numero variabile di colloqui clinici per analizzare la qualità delle rappresentazioni dell’adulto rispetto alla storia precoce di attaccamento con le figure significative dell’infanzia.

  

3)totale concentrazione solo sul bambino, assenza di spazi per sé, perdita di interesse per altre attività, isolamento sociale.

 “Se la maternità, in quanto manifestazione psicologica della missione della donna al servizio della specie, colmasse da sola ed esclusivamente la sua vita psichica, la donna perderebbe le sue caratteristiche individuali, naufragherebbe, per così dire, nella maternità”(deutsch) 

Un’abnegazione eccessiva nei riguardi del bambino, un abbandono troppo radicale degli altri interessi genera una tendenza a provare nei confronti del figlio delle paure nevrotiche: la donna si sente infatti incapace di prodigare al bambino quella somma di affettività che essa ritiene necessaria per il suo benessere.

L’assenza di un tempo e uno spazio per sé, per altri propri interessi, per le proprie amicizie è da un lato sentito dalla neo mamma come un problema, dall’altro come una necessità. La donna infatti non riesce più a concedersi del tempo per sé e ciò è dettato da sensi di colpa nei confronti del bambino: “ Che madre sono se non sto con lui 24 ore su 24, se non rinuncio per tutto a lui, come fa il mio bambino se non mi ha sempre affianco, come fa a vivere senza di me” Questi sono i pensieri che spesso albergano nelle menti delle mamme e impediscono loro di dedicarsi ad altro nella loro giornata. La loro vita è così totalmente assorbita dal bambino e ciò come un circolo vizioso non fa altro che alimentare l’ambivalenza naturale nei confronti del bambino e il senso di colpa. Vi è un’intima e profonda rabbia nei confronti del bambino che impedisce alla mamma di vivere la sua vita e con essa un profondo senso di colpa per tali pensieri e tali sentimenti che non fanno altro che rafforzare il senso di inadeguatezza e di incapacità come madre. Inoltre il senso di colpa rende ancora più adesivo il legame, rafforza la simbiosi.

La mancanza di tempo e spazio per sé della mamma è spesso motivo di discussione e litigio nella coppia. La donna infatti accusa il partner di non aiutarla e sostenerla nella gestione del figlio, la cui cura pesa unicamente su di lei togliendole tempo ed energie per altre cose.

Occorre sottolineare che anche quando alla donna viene offerto dal partner di prendersi del tempo per sé essa rifiuta. Vi è quindi anche una necessità di annullare tutto il resto della vita per dedicarsi unicamente al bambino nella speranza/illusione di ricreare quel rapporto simbiotico, totalizzante, unico della fase di gravidanza in cui mamma e bambino erano un tutt’uno.

 

Strategie d’intervento

L’intervento psicologico gruppale è il più idoneo per aiutare la mamma a prendersi del tempo e dello spazio per sé e ad uscire dall’isolamento sociale costruendo nuovi rapporti interpersonali. La condivisione delle esperienze crea un legame e, di conseguenza, consente di uscire dall’isolamento che spesso il disagio comporta. Partecipare ad un gruppo rappresenta già una grossa conquista perché implica organizzarsi per poter raggiungere il luogo dell’incontro e uscire dal ristretto ambiente frequentato abitualmente.

Il gruppo inoltre permette una condivisione dei sentimenti legati al senso di colpa per l’allontanamento dal figlio e la possibilità di confrontarsi circa il significato che assume per sé il separarsi anche per poco tempo dal figlio.

Nel gruppo inoltre la donna può, attraverso il confronto e il rispecchiamento, comprendere quanto in realtà le accuse talvolta poste al partner di non sostenerla ed aiutarla nel prendersi cura del bambino nascondono anche un proprio bisogno di non coinvolgerlo di tenerlo fuori dal rapporto col bambino. Ciò talvolta collude con il bisogno inconscio del partner di non assumersi la responsabilità che il nuovo ruolo conclude.

Questo aspetto va approfondito attraverso colloqui di coppia che permettono di comprendere la specificità delle dinamiche che caratterizzano i neo-genitori.

 

 4)inadeguatezza fisica e sintomi psicosomatici (senso di affaticamento, disturbi del sonno, eccessi di fame o perdita di appetito)

 Il corpo di una donna dopo il parto subisce dei cambiamenti come la perdita di tono muscolare e la ripresa della forma fisica non è immediata. L’attenzione eccessiva al corpo, il senso di inadeguatezza che la donna può percepire è espressione di un disagio psicologico ed emotivo legato alla difficoltà di assunzione del nuovo ruolo genitoriale, al proprio senso di incompetenza e di inadeguatezza rispetto alla capacità di prendersi cura del bambino che viene spostato sul corpo.

Quando angosce, paure, sentimenti conflittuali diventano incomunicabili perché inconsci ed inaccettabili, il corpo diventa un canale comunicativo sostituivo che la mente trova per poter parlare.

E’ necessario aiutare la neo mamma a focalizzare l’attenzione sul reale disagio spingendola a comprendere come l’inadeguatezza fisica celi in realtà un senso di sfiducia e inefficacia rispetto alle proprie capacità materne.

I sintomi psicosomatici sono anch’essi espressione di un disagio emotivo che non accolto ed elaborato, si esprime attraverso il corpo.

 Strategie d’intervento

L’intervento psicologico gruppale favorisce l’insight della donna rispetto al senso di inadeguatezza o ai sintomi psicosomatici; inoltre il confronto e la condivisione rafforzano l’autostima e l’autoefficacia. 

I colloqui individuali esplorano inoltre la presenza di un pregresso senso di inadeguatezza corporea e/o di sintomi psicosomatici indagandone l’origine e il significato inconscio.

 

Obiettivi del trattamento della depressione post partum

 La depressione post-partum necessità di un approccio psicologico integrato che comprenda intervento individuale, gruppale e di coppia.

Obiettivi del trattamento psicologico della depressione post partum sono:

 Miglioramento stato umorale

  • Comprensione delle motivazioni alla base dei sentimenti di tristezza e disperazione e del senso di inadeguatezza come madre.
  • Rafforzamento dell'autostima e dell'autoefficacia come donna e come madre
  • Sviluppo e potenziamento delle capacità di esprimere e condividere le proprie emozioni, anche quelle negative.
  • Prevenzione e/o riduzione dell'isolamento sociale.
  • Miglioramento del funzionamento interpersonale e sociale
  • Sostegno nella costruzione di un confine personale tra sè e il bambino e nella riappropriazione dei propri spazi.
  • Rafforzamento delle competenze genitoriali ed educative.
Data pubblicazione: 20 aprile 2016

Autore

roberta.calvi
Dr.ssa Roberta Calvi Psicologo, Sessuologo

Laureata in Psicologia nel 2011 presso Universita Federico II, Universita degli studi di .
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna tesserino n° 13.

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