Caduti nella "Rete": il fenomeno dell'internet dipendenza

I cambiamenti indotti dall'utilizzo delle nuove teconologie della comunicazione e da Internet impongono un’analisi dei rischi psicopatologici ad essi correlati, tra questi, ovviamente, quello della dipendenza.

L'utlizzo pervasivo delle nuove tecnologie della comunicazione, della "Rete, ha innescato una trasformazione sociale, antropologica e psicologica irreversibile che coinvolge dalle categorie spazio temporali, all’identità, al vissuto corporeo, al contatto con la realtà, al rapporto con l’altro. Cambiamenti che, inevitabilmente, per la velocità con cui si stanno verificando, impongono un’analisi dei rischi psicopatologici ad essi correlati, tra questi, ovviamente, quello della dipendenza.

Il fenomeno è stato definito Internet dipendenza, Internet Addiction Disorder (IAD) Internet Related Pathology (IRP) ecc. La terminologia non univoca testimonia di per sé un disaccordo su criteri diagnostici, prognostici e terapeutici inoltre, gli studi effettuati risentono d’alcuni limiti fondamentali: esiguità dei campioni, errori metodologici e, spesso, il ricorso a tecniche d’indagine on line particolarmente soggette a distorsioni. Non c’è da meravigliarsi, pertanto, che non sia ancora chiaro, ad esempio, se la dipendenza è un disturbo che ha un'origine ed una sussistenza indipendente oppure se sia la conseguenza di altre patologie pregresse o concomitanti.

La IAD (Internet Addiction Disorder) si è imposta all’attenzione del mondo quando, in modo provocatorio, lo psichiatra Ivan Goldberg nel 1995, propose dei criteri mutuati dalla diagnostica per le dipendenze del DSM, inaugurando una prima fase della ricerca improntata all’assimilazione su un piano fenomenologico della dipendenza ad Internet alla dipendenza a sostanze psicoattive. Tale operazione sembrava poter essere giustificata in relazione alla comparabilità con i fenomeni di craving: sintomi astinenziali e ’isolamento sociale; danni alla salute, alla vita lavorativa e affettiva che entrambe le dipendenze possono provocare.

Goldberg approfondì quest’impostazione definendo un quadro patognomico della IAD caratterizzato dai seguenti sintomi:

  • Bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere soddisfazione;
  • Marcata riduzione d’interesse per altre attività che non siano Internet;
  • sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso della “rete”, d’agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line, classici sintomi astinenziali;
  • necessità di accedere alla “rete” sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all’intenzione iniziale;
  • impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet; dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla “rete”;
  • continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici provocati dalla “rete”.

Nel 1996 anche lo psicologo americano Brenner si interessò all’argomento, conducendo un’inchiesta on-line dalla quale risultò che i soggetti si collegavano ad internet mediamente 19 ore a settimana. Essi riportavano oltre dieci segni d’interferenza nel funzionamento della vita quotidiana e, complessivamente, almeno cinque di questi segni tra cui: incapacità di amministrare il tempo, perdita del sonno e dei pasti ecc.; interessavano l’80% del campione.

Questa percentuale cosi alta potrebbe suggerire che, in generale, qualche problema correlato all’uso della Rete sia normale e non necessariamente imputabile allo sviluppo di una dipendenza oppure confermare che il reperimento di un campione “on line” causa un “bias” metodologico, un’ “auto-selezione” di utenti già coinvolti dal problema dell’Internet-dipendenza.

Alla necessità epistemica di trovare riferimenti ancora più concreti e operazionalizzabili ad un fenomeno come l’internet Addiction, affascinante quanto disorientante nella sua polimorfa complessità, sembra poter rispondere, con ancora maggiore efficacia l’adozione di un modello patologico relativo alle cosiddette dipendenze comportamentali (bulimia cronica, comportamenti sessuali di tipo compulsivo, guardare la televisione in modo ossessivo, vizio del gioco e delle scommesse) in quanto più specificamente riproduttivo di quella condizione di dipendenza senza sostanza che si ritiene caratterizzare una IAD.

Griffith considera la dipendenza da Internet, definita tecnologica, una particolare forma di dipendenza comportamentale. L’autore specifica che le “technological addiction” possono manifestarsi in una modalità passiva (televisione), o attiva (videogiochi) e hanno proprietà di auto induzione e autorinforzo.

Griffith individua alcune caratteristiche essenziali comuni a dipendenze comportamentali e tecnologiche.

Dominanza (salience): l’attività domina i pensieri ed il comportamento del soggetto assumendo un valore primario tra tutti i suoi interessi.

Alterazioni del tono dell’umore: l’inizio dell’attività provoca cambiamenti nel tono dell’umore, il soggetto può esperire un aumento di eccitazione o maggiore rilassatezza come diretta conseguenza dell’incontro con l’oggetto della dipendenza.

Tolleranza: bisogno di aumentare progressivamente l’attività per ottenere l’effetto desiderato.

Sintomi d’astinenza: malessere psichico e/o fisico che si manifesta quando s’interrompe o si riduce il comportamento.

Conflitto: conflitti interpersonali tra il soggetto e coloro che gli sono vicini e conflitti intrapersonali interni a se stesso, a causa del suo comportamento dipendente.

Ricaduta: Tendenza a ricominciare l’attività dopo averla interrotta.

Una strenua sotenitrice della sovrapponibilità tra dipendenze comportamentali e IAD è la psicologa americana Kimberly Young la quale individuò in accessibilità, controllo ed eccitazione (modello ACE) i fattori che facilitano, analogamente, entrambi i disturbi.

Una sua ricerca “on line” (Young 1996), individuò 396 soggetti dipendenti e 100 non-dipendenti. La successiva analisi qualitativa dei dati mostrò che i primi utilizzavano Internet in modo significativamente differente rispetto ai secondi; spendendo, per esempio, otto volte di più delle ore a settimana spese dai non-dipendenti, con una tendenza ad incrementare progressivamente il tempo di collegamento. L’autrice rilevò, inoltre, che i “dipendenti” preferivano le “chat-rooms” ed i giochi di ruolo virtuali (i cosiddetti MUD’s) mentre i “non-dipendenti” usavano prevalentemente il servizio di posta elettronica e la ricerca di informazioni.

Un’elemento importante che emerge dalla ricerca è, comunque, che mentre i normali utenti non riportano interferenze nella vita quotidiana e vedono Internet come una risorsa; i soggetti dipendenti subiscono da moderati a gravi problemi a causa dell’abuso della “rete”. Tali problemi sono di varia natura e si manifestano in diversi ambiti della sfera personale:

Nell’ambito relazionale e familiare: poiché aumentando progressivamente le ore di collegamento, diminuisce il tempo disponibile da dedicare alle persone significative e alla famiglia. Il virtuale acquista un’importanza maggiore della vita reale dalla quale il soggetto tende ad estraniarsi sempre di più. Il matrimonio è spesso compromesso a causa dei frequenti rapporti amorosi che nascono in “rete” e che a volte si concretizzano in vere e proprie relazioni extraconiugali.

Nell’ambito lavorativo e scolastico:. poiché l'eccessivo coinvolgimento nelle attività di Rete distoglie l'attenzione dal lavoro e dalla scuola. Inoltre, i collegamenti esageratamente prolungati, addirittura anche durante le ore notturne, portano allo sconvolgimento del regolare ciclo sonno-veglia e ad una stanchezza eccessiva che invalida il rendimento scolastico e professionale.

Nell’ambito della salute: in quanto la dipendenza da Internet provoca numerosi problemi fisici che possono insorgere stando a lungo seduti davanti al computer (disturbi del sonno, irregolarità dei pasti, scarsa cura del corpo, mal di schiena, stanchezza degli occhi, mal di testa, sindrome del Tunnel Carpale).

Dal punto di vista finanziario:. soprattutto nei casi in cui il soggetto partecipa ad aste, commercio “on-line” e gioco d’azzardo virtuale oppure a causa dei costi dei collegamenti, che in alcuni casi raggiungono la durata di cinquanta ore settimanali o, ancora, per la fruizione di materiale pornografico da siti a pagamento.

In Italia tra i primi ad approfondire l’argomento delle IAD è lo psichiatra Tonino Cantelmi che con la sua equipe svolge attività di ricerca e rielabora in modo personale gli studi, soprattutto americani, sulla dipendenza da Internet in un quadro teorico coerente.

Egli definisce la IAD una forma di abuso-dipendenza da Internet che, come tutte le forme di dipendenza, provoca problemi sociali, sintomi astinenziali, isolamento, difficoltà coniugali, prestazionali, economiche e lavorative (Cantelmi, Talli 1998); identifica un soggetto a rischio, con un'età compresa tra i 15 e i 40 anni, afflitto da carenze comunicative legate a problemi psicologici e/o psichiatrici, emarginazione, difficoltà familiari e relazionali.

Altri fattori di rischio individuati sono: l'elevato grado di informatizzazione negli ambienti lavorativi, turni notturni, isolamento geografico. Le personalità più predisposte sono quelle ossessivo-compulsive e/o tendenti al ritiro socio-affettivo. Le IAD, in questo contesto, rappresentano un "comportamento di evitamento" grazie al quale il soggetto si rifugia nella “rete” per non affrontare le proprie problematiche.

L’ analisi di Cantelmi prosegue con la descrizione dell’oggetto d’attaccamento: “la droga Internet” ed in particolare, i “principi attivi” cioè cosa la rende cosi attraente. L’autore isola tre fattori mutuandoli dagli studi dell’americana Young sulle cosiddette Net-compulsion:

Accessibilità: relativamente all’accesso facilitato ad attività come l’”online gambling” o lo shopping ecc..

Controllo: in rete può essere esercitato con maggiore efficacia che nella vita reale.

Eccitazione: provocata dall’ enorme quantita di stimoli che la vita “online” offre.

Ma la Rete cattura anche grazie alla possibilità dell’ anonimato, che consente di poter assumere...“identità fittizie diverse da quelle reali dando sfogo a ciò che, in un linguaggio psicoanalitico, potrebbe essere definito comportamento regressivo: disinibizione generalizzata, uso eccessivo di proposizione di natura sessuale e generosità insolita” (Cantelmi et al. 2000).

Attraverso lo studio di sei casi acclarati di dipendenza da Internet (quattro maschi e due donne) lo psichiatra italiano riesce ad individuare due fasi di un percorso “virtuale" che porta il soggetto a sviluppare una vera e propria Rete-dipendenza; una prima, definita “tossicofilica, durante la quale si può evidenziare, schematicamente, una progressione patologica che: inizia con un interesse ossessivo per la e-mail; cui fa seguito un periodo “lurker” (guardoni), caratterizzato da sguardi fugaci a diversi siti (si può già notare un certo grado di malessere off-line); seguito, ancora, da un'intensa partecipazione a chat e a gruppi di discussione (periodo Irc Usenet) e prolungati collegamenti notturni; fino all’ossessione per i MUD (veri e propri mondi virtuali basati su testo) il cui utlizzo eccessivo segna l’ingresso nella seconda fase detta “tossicomanica”, correlata a fenomeni psicopatologici pregressi; in questa fase, ormai, i collegamenti sono così prolungati da compromettere la vita di relazione sociale e professionale.

Le numerose attività che si possono svolgere on-line suggeriscono che l’Internet Addiction Disorder non sia una categoria omogenea di disturbi ma si manifesti sotto varie forme, per questo Cantelmi preferisce usare il termine IRP (Internet Related Psicopatology).

Una sintetica descrizione di queste forme potrebbe essere la seguente:

Cybersexual Addiction: uso compulsivo di siti dedicati al sesso virtuale e alla pornografia.9

Cyber-Relational Addiction: la tendenza ad instaurare relazioni amicali o amorose con persone incontrate on-line (le applicazioni maggiormente utilizzate da questi soggetti non saranno, quindi, le “e-mail” ma soprattutto le chat ed i newsgroup). Progressivamente le relazioni virtuali divengono più importanti di quelle reali ed il soggetto si isola, vivendo in un mondo parallelo, popolato da persone idealizzate; anche in questo tipo di dipendenza gioca un ruolo molto importante l’anonimità, che permette di presentarsi agli altri con identità del tutto inventate sulla base dei desideri più profondi.

Information Overload: la ricerca ossessiva di informazioni tramite la “navigazione” sul World Wide Web. I risultati di una ricerca chiamata “Glued to the Screen: An investigation into information addiction worldwide.” (Cantelmi et al. 2000) che si basa su un campione di 1000 persone provenienti dal Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Singapore ed Hong Kong, dimostrano che circa il 50% dei soggetti intervistati passa molto tempo a ricercare informazioni sulla Rete ed il 54% sperimenta un senso di eccitazione quando riesce a trovare ciò che stava cercando, Young commenta: “Internet semplicemente alimenta la mentalità americana del “fast food” nei confronti dell’informazione. La gente desidera ardentemente essere sempre al corrente ed avere accesso alle informazioni, tanto che e poi si trova intrappolata in enormi scorpacciate di notizie.” (Young 2000)

Net Compulsions: i tre principali comportamenti compulsivi che si possono mettere in atto tramite Internet, cioè: gioco d’azzardo, partecipazione ad aste on-line, commercio in Rete. Queste attività hanno diverse caratteristiche in comune: la competizione, il rischio ed il raggiungimento di una immediata eccitazione. Young sostiene che partecipare ad un’asta è come giocare d’azzardo, le persone che sviluppano una dipendenza per una di queste attività, subiscono problemi finanziari gravi.

MUD’s Addiction: la tendenza al coinvolgimento nei MUD’s, giochi di ruolo interattivi in cui il soggetto partecipa costruendosi un’identità fittizia. L’anonimato consente di esprimere se stessi liberamente e di inventare dei personaggi che sostituiscono la vera personalità dell’individuo. E’ come nel teatro greco: gli attori indossano delle maschere per interpretare vari personaggi, che poi si toglieranno una volta scesi dal palcoscenico. “Su Internet si possono sperimentare sé alternativi e costruirsi una vita parallela, che può essere così coinvolgente e gratificante da assumere un’importanza addirittura maggiore di quella reale. Il soggetto vive così una sorta di sdoppiamento, intrappolato nel bisogno di uscire dalla propria vita quotidiana per trasformarsi nel personaggio virtuale, sul quale proietta tutti i suoi desideri e le sue illusioni” (Oliverio ferraris 2001)

Cantelmi, inoltre, ha collaborato con Del Miglio alla realizzazione di una ricerca (Cantelmi et al 2000) molto interessante in quanto, per la prima volta, realizzava un ‘indagine “off-line” su soggetti dipendenti e non dipendenti allo scopo di verificare una serie di ipotesi, tra cui quella di una correlazione tra IAD misurata con l’IAT (Internet addiction test di K Young) e tratti e dimensioni di personalità misurati rispettivamente con l’MMPI e il BFQ (Big Five Questionnaire). I risultati sembravano confermare l’ipotesi di una correlazione positiva, ad esempio, tra il tratto “deviazione psicopatica” e le dimensioni: “instabilità emotiva”, “scarso controllo delle emozioni”.

Bibliografia

  • Cantelmi T. Talli M. Del Miglio C. D’Andrea A. (2000) La mente in Internet Padova:. Piccin
  • Cantelmi T. (2000) Cyberspazio e rischi psicopatologici: osservazioni cliniche in Italia", in: Gruppi nella clinica nelle istituzioni, nella società Il giornale della COIRAG, gennaio-giugno 2000, F. Angeli, Milano
  • Oliverio Ferraris A. e Malavasi G. (2001). La Maschera dei Desideri. Psicologia Contemporanea
  •  Young K. S. (2000) Presi nella Rete Calderoni, Bologna

 

Data pubblicazione: 25 maggio 2016

Autore

davidebarone
Dr. Davide Barone Psicologo

Laureato in Psicologia nel 2005 presso sapienza.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Lazio tesserino n° 17082.

Iscriviti alla newsletter