I figli del femminicidio, chi penserà a loro?

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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo

Il femminicidio è in crescente aumento e continua a mietere vittime tra le donne; questo rende necessaria una riflessione sui “figli” del femminicidio e cioè “i bambini”, protagonisti passivi e silenti di un delitto terribile.
I protagonisti di questi delitti sono tre: lo stalker, la donna uccisa ed i loro figli.
Le cronache non ne parlano, perché spesso si tratta di minorenni pertanto la stampa focalizza la sua attenzione sulla donna uccisa e sul suo carnefice, trascurando quindi, la stretta associazione tra “donna e madre”.

I bambini subiscono passivamente dinamiche di possesso, uccisioni, solitudine e molto spesso dopo la tragedia si ritrovano senza la propria mamma e senza il proprio padre, la prima uccisa ed il secondo in carcere a scontare la pena, come se questa potesse rendere giustizia ad un torto o potesse riempire un vuoto oramai incolmabile.

I figli del femminicidio, oltre ad essere vittime dei propri genitori, dovranno attraversare percorsi estremamente dolorosi: si alterneranno tra tribunali, servizi sociali, famiglie affidatarie o famiglie adottive (nella migliore delle ipotesi). Sono bambini la cui infanzia è segnata dalla tragedia e dal dolore ed il cui futuro non ha più un percorso chiaro e lineare, sia sul piano affettivo che identitario.

Spesso dimenticati dalla stampa, sono invece i veri protagonisti dell’omicidio e a giustizia fatta, verranno poi dimenticati, nonostante “vittime ed orfani” in una sola volta.
"Orfani particolari", la cui elaborazione del lutto, sarà molto più complessa e controversa; dovranno elaborare la perdita di una madre ed allo stesso tempo la perdita di un padre, per “altre” ragioni, dalla difficile, se non impossibile comprensione.

Orfani, con due genitori scomparsi e con uno dei due in carcere e per di più impossibile da perdonare!

I dati sono impressionanti e sono veramente tantissimi:

“in Italia oltre 1500, secondo uno studio che sta portando avanti la dottoressa Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia all’Università Seconda di Napoli, consulente dell’Onu, della Nato e dell’Ocse in materia di violenza contro le donne e i bambini.

Lo studio prende in esame i casi di bambini vittime del femminicidio tra il 2000 e il 2013, dimostrando che in Italia non esistono protocolli, percorsi, strumenti che offrano a questi orfani una vita migliore”.

I casi vengono trattati dai tribunali dei minorenni alla stregua degli altri orfani, ma in realtà le loro storie sono completamente diverse. Un bambino orfano è un bambino straziato dalla perdita e dal dolore, un bambino che dovrà transitare da un processo psichico molto difficoltoso ed ambivalente e che dovrà sicuramente essere aiutato per la sua futura ricostruzione psichica.

Protagonista di una atrocità senza confini, deprivato di amore e di quell’indispensabile “base sicura” su cui fondare la futura forza psichica.
Il bambino orfano, figlio del femminicidio, è un bambino addolorato dalla perdita dei genitori e che dovrà attraversare le stesse fasi di una tradizionale elaborazione del lutto.

E’ un bambino abitato dalla rabbia, dall’aggressività e dal dolore e che dovrà rileggere la sua storia di vita familiare con gli occhi invasi dall’aggressività e dall’incomprensione.
Nella maggior parte dei casi, i tribunali dei minori affidano questi bambini ai parenti più prossimi, quasi sempre i nonni, ma non è detto che siano quelli materni, spesso infatti sono anziani o poco agiati economicamente.
Un timore palesato dal tribunale è quello correlato alla possibile strumentalizzare del bambino da parte dei nonni, i quali potrebbero crescere il nipote all’insegna dell’odio verso il padre, che comunque rimane sempre l’unica risorsa genitoriale rimasta in vita.

Senza regole e leggi severe, non esistono condotte univoche e questi bambini vagano da un’istituzione all’altra. 

La discrezionalità è massima, in assenza di regole e leggi universalmente riconosciute.

Un esempio di cronaca locale accaduto recentemente in Sicilia:

Il figlio di Rosi Bonanno, la donna uccisa a Palermo dall’ex convivente Benedetto Conti, verrà dato in adozione.
I genitori di Rosi però sono troppo anziani e disagiati sul piano economico, quindi non adatti a garantire un adeguato sviluppo del bambino che ha recentemente compiuto dodici anni; il bambino verrà dato in adozione non si sa bene a chi, smarrendo la possibilità di vivere una “continuità affettiva” con la famiglia d’origine.

Sarà un adulto senza radici e con un’infanzia interiorizzata nell’odio e nel dolore.

In Italia non esiste alcuna legge che tuteli economicamente e legalmente gli orfani di femminicidio.

Per ulteriori approfondimenti:


 

 IL FEMMINICIDIO: Dr.ssa Valeria Randone

Data pubblicazione: 08 marzo 2014

3 commenti

#1
Ex utente
Ex utente

Ed ai figli delle madri infanticide chi ci pensa cara dott.ssa Randone? (oggi l'ultimo di una serie infinita di infanticidi commessi da una donna/madre).
Quando sarà che voi donne vi assumerete la responsabilità dei crimini quotidiani commessi dal vostro sesso sulle vittime più deboli della società quali bambini, anziani, disabili, ecc. invece di ripetere continuamente solo e soltanto questa filastrocca del "femminicidio"?
Ps: spero che prima a poi si decidano a mettere al bando questa scienza fasulla spilla soldi qual è la psicologia.
Fosse per me la psicologia (e di questo passo anche la psichiatria) sarebbe da abolirei subito.

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