Dalle emozioni alle emoticon: ma le parole che fine hanno fatto?

valeriarandone
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo

Faccina triste e faccina sorridente.
Cuore che batte e cuore infranto.
Lacrime ed ammiccamenti vari.
Fuoco della passione ed acqua che lo stempera.

Il nostro universo sentimentale sembra essersi sbiadito ed avere - quasi obbligatoriamente - traslocato in questo mondo striminzito di chat e di immagini.

Grazie agli emoticon, nuovi segni di questa generazione a portata di tastiera e di smartphone, possiamo tradurre i nostri stati d'animo senza troppi patemi d'animo e senza stare troppo attenti a sfumature lessicali e semantiche.

Sono segni universalmente riconosciuti, quasi come il linguaggio dei gesti e le espressioni facciali.

Oltrepassano ogni barriera, ogni latitudine ed arrivano, forse, dritti al cuore.

Chi li riceverà avrà a sua volta uno smartphone e capirà.

Con l'utilizzo prolungato verranno interiorizzate delle nuove emozioni e per di più rinforzate dal vissuto del momento, così sarà possibile avere un vero cardiopalmo quando riceveremo un cuore che batte - grande e rosso, con i nuovi aggiornamenti delle app - sul nostro cellulare.

I nativi digitali - e noi che ci siamo adattati a questa forma di comunicazione iconografica - comunicano così.

Niente sdolcinatezze, niente incidentali, virgole e virgolette, il datato punto e virgola è andato in pensione.... .le emozioni si sintetizzano e si traducono in immagini.

 

Qualche riflessione e perplessità

  • Ma siamo davvero certi che, alla lunga, questa la forma di comunicazione così lapidaria ci emozionerà ancora o avremo nostalgia delle "parole"?
  • Una email d'amore o di sofferenza, sarà mai traducibile in una chat con faccine allegate?
  • Le parole che effetto hanno sui sentimenti?
  • Sulle relazioni?
  • Sul desiderio dell'altro?
  • Sull'immagine che noi ci costruiamo dell'altro?
  • Siamo certi che queste "sintesi emozionali" alla lunga non depauperino l'amore e le relazioni?

 

Sul significato delle parole si sono versati fiumi di inchiostro, ed oggi, infiniti fogli word, ma esiste un luogo ed un momento in cui le parole si fermano e lasciano il posto alle emozioni.

Esiste, soprattutto tra chi si ama davvero, un silenzio parlante, capace di comunicare più di mille parole o di altrettanti cuoricini e faccine sorridenti.

Un silenzio che non minaccia, che racconta, un silenzio che va oltre il punto in cui le parole si fermano a riposare...

 

Qualche riflessione sulle parole

Vorrei partire da lontano, dalle terre dell'infanzia.

Il primo vagito del neonato è già parola, parola che sancisce la sua presenza nella nostra vita e che noi mamme dobbiamo tradurre in bisogno.

  • Avrà fame?
  • Forse sonno?
  • Vorrà essere confortato?
  • Cullato?
  • Avrà paura del buio?

Come tutte le mamme sappiamo bene che, ogni pianto porta con se il proprio messaggio e che, un ascolto profondo, in silenzio, dove le anime si incontrano davvero, ci orienterà nella reale decodifica del suo bisogno.

Gli parliamo già in utero, lo rassicuriamo, lo culliamo, lo coccoliamo.

Le parole servono a lui, ma servono anche a noi.

Con le parole, dolci e lenitive, la mamma accarezza il neonato che piange, lo culla simbolicamente, lo rassicura e lo contiene con la sua voce calda ed autorevole.

La donna innamorata sussurra all'orecchio dell'amato parole d'amore e sospiri di desiderio.

Le parole faranno compagnia agli amanti lontani, scorrono da un telefono all'altro per far si che le emozioni possano raggiungere il partner amato.

Le parole azzerano la distanza.

Le parole poi, risuonano dentro di noi, come un farmaco a lento rilascio e, spesso, ci fanno compagnia nel tempo.

La rabbia, il pianto, il dolore e tutta l'infinita gamma di emozioni e di sensazioni che albergano nell'animo umano, possono essere tradotte in "parole".

Ed ancora, in amore, quante volte le "parole arrabbiate o abusate" hanno ferito chi amiamo?

E, quante altre, le parole non dette, taciute o negate, hanno fatto morire lentamente un Amore?

La nevrosi non è altro che un'anima senza parole.

Il terapeuta cura con le parole.

Il corpo si esprime con l'unico linguaggio che conosce: il sintomo.

L'alextimico, per esempio, non sa trasformare in parole le emozioni e soffre in silenzio.

Il mutismo elettivo non è altro che una difesa dalle parole; le parole spaventano, minacciano, arrivano dritte al cuore.

Anche sotto le lenzuola le parole hanno il significato di vero amplificatore del desiderio e delle emozioni.

Le parole nutrono l'attesa.

Le parole nutrono il desiderio.

Le parole concimano l'eros e l'affettività.

Arthur Miller ed Anais Niin, ci hanno insegnato, con i loro carteggi, il significato delle parole nell'Eros, facendo sognare milioni di lettori.

Ed ancora, un tema di grande attualità, le parole che curano con la medicina narrativa, o più simpaticamente detta "blog terapia", di cui noi clinici di Medicitalia siamo dei grandi cultori.

 

Conclusioni

Le emoticon - quando si tratta di dinamiche di corteggiamento - sembrano addirittura più emozionanti delle vecchie e datate frecce di Cupido, e più efficaci di un anti-depressivo.

Sembrano essere delle "micro emozioni" continue - se di emozioni si tratta davvero - hanno il potere di annullare l'attesa, e come le droghe, di occupare ogni spazio e di surrogare ogni vuoto.

Quindi faccine si, ma con moderazione, con simpatia e divertimento, ma immaginare di renderle "degne sostitute delle parole" mi sembra una vera utopia.

 

Data pubblicazione: 09 agosto 2015

9 commenti

#2
Dr. Nunzia Spiezio
Dr. Nunzia Spiezio

Cara Valeria,
bellissimo articolo che fa riflettere sull'influenza che le tecnologie hanno sulle parole, la semantica delle stesse e, cosa più importante, le relazioni. Accadrà che i nativi digitali non ricorderanno più il valore di una mail e le dolci emozioni che le parole in essa contenute possono ispirare, come la generazioni precedenti non hanno ricordato e fatte proprie le emozioni di penna e cammeo, così come la nostra quella di biro e foglio? probabilmente si. Ciò che conta, credo, è quanto la relazione tra gli individui venga inficiata dal canale di comunicazione che la mantiene e, talvolta, la crea. A me personalmente capita sempre più spesso di vedere conversazioni in chat varie troncate senza un briciolo di "ciao a presto" o "scusa, devo lasciarti". Per non parlare di invettive in apparenza senza destinatari (ma i destinatari si riconoscono eccome) attraverso stati e post vari. Il virtuale, insieme allo scioglimento dei freni inibitori, crea anche cattiva creanza?imbarbarimento delle relazioni?probabilmente si. E questo non è altro, come hai saputo magistralmente tu cogliere, una infinitesimale sfaccettatura dell'epocale passaggio dalle emozioni alle emoticon. Il discorso sarebbe ancora lungo ma lo concludo prematuramente con un desiderio: ai miei figli spero di insegnare a PROVARLE le emozioni prima che, nella cyberjungle della loro generazione, imparino ad asetticamente esprimerle attraverso un buffo disegnetto. Occorre attenzione, occorre costanza accuditiva, occorre il coraggio del controcorrente, occorrono un mucchio di cose.......
Grazie Valeria per questo contributo per me spunto di preziosa riflessione.

#3
Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Cara Nunzia,
grazie per le tue parole che impreziosiscono l'articolo.
Hai proprio ragione, i nativi digitali si perdono tante sfumature comunicative e le chat mortificano, azzerano, mutilano le conversazioni che diventano sempre più lapidarie e sguarnite di emozioni e di attesa.

Dagli "amanti di penna", siamo passati agli "amanti di chat" ... chissà dove andremo a finire?

Ricordo che quando mia figlia era piccola - ed ancora adesso lo facciamo - tenevamo una "diario di bordo" delle nostre emozioni:
un quaderno dove disegnare, scrivere, raccogliere, momenti emotivi intensi - ed anche arrabbiature o qualche foglia buffa presa in giardino - delle nostre vite.

Sono sicura che i tuoi figli le "proveranno e le comunicheranno..." le emozioni, con una mamma attenta e sensibile come te...
Un abbraccio
Valeria.

#4
Dr. Romeo Sciommeri
Dr. Romeo Sciommeri

Grazie per lo spunto, molto interessante! Vorrei dire qualcosa su un paio di punti.

Il terapeuta cura con le parole, scrivi. Non direi; lo stesso Freud, che aveva usato questa formula per la psicoanalisi, si rese presto conto che la definizione non era esauriente e aveva dei pericoli come indicazione tecnica, arrivando a formulare la necessità di un ascolto che andasse al di là dello scambio verbale e includesse la relazione nel suo insieme: attenzione fluttuante (non concentrata sullo scambio di parole né sul significato convenzionale delle parole) e analisi del transfert e cotransfert (cioè del rapporto presente nel suo svolgersi e non analisi delle narrazioni del paziente di avvenimenti avvenuti in altro momento e altro luogo).
Quando la cura avviene, passa atttraverso la relazione tutta, fatta di presenza complessa, corporea, visiva, olfattiva, acustica, posizionale, gestuale, tonale, le comunicazioni dette "da inconscio a inconscio", prima e contemporaneamente all'interazione linguistica di significati convenzionali veicolati dalle parole.

Altro punto: la competenza linguistica nel definire le emozioni che si provano è cosa di pochi, e questi pochi spesso preferiscono tacere per evitare l'inganno possibile della parola. Bisogna avere una buona confidenza con se stessi, e saper selezionare per l'emozione che si sta vivendo la parola giusta, o che almeno si avvicini al vissuto e lo indichi sapendo che non potrà mai avere la sua natura, la sua sostanza, poiché il vissuto è battito cardiaco, mutazione del respiro, stomaco, pancia, gambe, peli che si rizzano, sudore della pelle, attivazione sessuale.
La vita può essere fortemente condizionata dalle parole ascoltate e dette, e le parole possono indirizzare la vita delle persone verso vere inesistenze e false esistenze, alienazioni tenute in piedi dalle parole, dai discorsi che impartiscono le regole del gruppo famigliare, le certezze ideologiche, religiose - certezze psicologiche, non certezze psichiche.

Tra due ragazzi che si scambiano un cuoricino con un sms e due che si scrivono o si dicono "ti amo", mi auguro che il cuoricino spinga meno delle parole quei due ragazzi verso una sequenza personale e sociale che dalle parole sempre consegue. Magari è solo una simpatia, un'attrazione sessuale, una gratitudine di presenza generica, il sollievo momentaneo di un dolore, e per una formula verbale inesatta rischia di diventare un matrimonio infelice o una sofferenza differita per lungo tempo.

Ci sono molti figli delle parole in giro per il mondo. Speriamo che meno parole e più icone lascino più spazio ai vissuti veri, così difficili da parolizzare.

#5
Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Gentile dr. Sciommeri,
per prima cosa ben venuto nel portale.

Grazie per le sue puntualizzazioni e per avere ricordato il nostro buon vecchio caro Freud.

Il blog è per tutti ed essere troppo tecnici potrebbe annoiare l'utenza ed invitarli ad abbandonare la lettura.
Grazie comunque per il suo contributo, veramente utile.
Un cordiale saluto.

#6
Dr. Nunzia Spiezio
Dr. Nunzia Spiezio

Grazie per l'augurio cara Valeria. Io ci credo.
"provare e poi comunicare" questo ognuno dovrebbe auspicare per i propri figli. Purtroppo sperarlo solamente non produce effetti. Io che per lavoro sono continuamente a contatto con adolescenti dai 13 ai 18 anni, non faccio altro che registrare, soprattutto nei giovanissimi, un analfabetismo emozionale abissale che porta poi ad approcci alle prime esperienze sessuali assolutamente impreparati. Anzi, ti dirò, trovo , anno dopo anno, uno scivolamento sempre maggiore verso una certa compulsività. Di sicuro una inconscia ricerca di qualcosa. Se vi fosse un giusto aiuto alla genitorialità, probabilmente, certe realtà potrebbero cambiare. Le preziosissime parole che dovrebbero correre in modo naturale tra genitori e figli in molti casi sono sepolte da montagne di sovrastrutture transgenerazionalmente trasmesse . E forse le emoticon non sono altro che la versione più nuova di queste imbavaglianti sovrastrutture. Grazie Valeria.

#7
Dr. Fernando Bellizzi
Dr. Fernando Bellizzi

Gli emoticon nascono dalla necessità di essere rapidi e sintetici. :o
Colpa anche delle tariffe degli sms che impongono brevità.
Vedi anche le abbrevazioni tipo tvb, tvtb.
Gli emoticon inoltre sono universali come quel linguaggio non verbale che accompagna l'essere umano, sia quello piccolino che non sa parlare, sia quello adulto!
Una faccina sorridente la comprende chiunque: una scritta in arabo, in cinese o in russo solo chi conosce quella lingua!
L'emoticon è un'icona, un'immagine. E il cervello lavora per immagini! :)

#8
Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Cara Nunzia,
Mi trovi assolutamente in sintonia con quello che scrivi.

L'analfebetismo emzoionale porta poi a vivere esperienze sessuali di tipo ginnico e coitale - quando le disfunzioni sessuali non si manifestano - senza sentirne il profumo prima ed il sapore dopo.

Anche io credo che, fare un passo indietro ed un sostegno alla genitorialitá, sarebbe veramente utilissimo.

Grazie ancora per lo scambio, un abbraccio.

#9
Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Ciao Fernando ben ritrovato!

Le emoticon, come diceva la dott. Spezio
" non sono altro che la versione più nuova di queste imbavaglianti sovrastrutture", credo che siano la sintesi di emozioni che non sappiamo poi esprimere con le parole, considerandole inutili e superflue.

È vero che sono universalmente riconosciute, ma credi davvero che un cuore integro o infranto, una faccina che piange o arrabbiata, possa tradurre quello che stai provando in quel momento?
La tua rabbia?
Il tuo dolore?
Il tuo amore?

Forse è un bignami della tua emozione.....

"Colpa anche delle tariffe degli sms che impongono brevità.
Vedi anche le abbrevazioni tipo tvb, tvtb"

Forse qualche anno addietro, ma gli sms sono ormai in disuso, hanno lasciato il posto a whatsapp ed alla altre app, con le quali puoi scrivere all'infinito.....faccine incluse!

Un caro saluto.



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