La fertilità femminile può essere conservata, ma con rigore

lambertocoppola
Prof. Lamberto Coppola Ginecologo, Andrologo, Sessuologo

Nella donna i trattamenti chirurgici oncologici radicali mettono fine alla vita fertile della paziente, mentre quelli chemio e radioterapici sono in grado di causare in una percentuale rilevante di pazienti oligo/amenorrea transitoria o persistente sino alla menopausa precoce.

Inoltre oggi si sta purtroppo assistendo anche ad una rapida perdita della riserva ovarica indipendentemente da patologie organiche particolarmente gravi. 

Fortunatamente le attuali conoscenze in campo di fertilità possono scavalcare queste difficoltà.

Se infatti per molto tempo ci si è ritenuti soddisfatti di una semplice restaurazione della salute, oggi, invece, ci si sforza di preservare anche la capacità riproduttiva per garantire la possibilità di realizzare il proprio desiderio di genitorialità, a volte ancor più sentito dopo l’odissea della malattia.

Attualmente ciò è possibile grazie alle diverse opportunità offerte dalle nuove tecnologie medico - biologiche.

Mentre per quanto riguarda gli spermatozoi la procedura di conservazione a – 196 °C in azoto liquido è relativamente semplice, grazie alla resistenza delle cellule germinali maschili al congelamento, più complesso è invece il procedimento di crioconservazione dei gameti femminili, che sono più sensibili e vulnerabili.

La cellula uovo, infatti, contiene più citoplasma e quindi più acqua e congelarla e scongelarla provoca danni alle microstrutture interne, con perdite finali dal 40 al 60% degli ovociti.

Per questo motivo oggi si preferisce una tecnica definita vitrificazione, mediante la quale, grazie ad una sorta di disidratazione, si riducono al minimo i danni strutturali.

Stesso discorso vale per il tessuto ovarico o frammenti di esso dai quali è possibile ottenere centinaia di follicoli primordiali contenenti ovociti immaturi molto resistenti ai processi di congelamento e scongelamento. Quest’ultima tecnica ha il vantaggio di essere applicabile anche in età pediatrica e di non richiedere la stimolazione ormonale dell’ovaio, ma le difficoltà legate poi alla maturazione e alla coltura in vitro ne limitano attualmente, in maniera drastica, le applicazioni cliniche.

Un'altra strategia è quella di crioconservare con la vitrificazione gli ovociti ottenuti con una stimolazione e prelevati uno o due cicli precedenti la chemio o radioterapia. Si è visto che questo è possibile anche in caso di tumori ormonosensibili come quelli mammari grazie a farmaci più adatti a queste situazioni.

In realtà se vogliamo potremmo considerare anche l’endometriosi una sorta di tumore molto localizzato che distruggendo il tessuto riproduttivo femminile come l’ovaio richiederebbe un intervento come la crioconservazione. In questi casi, infatti, in presenza di cisti endometriosiche crioconservare con tecniche di vitrificazione gli ovociti in un certo arco di tempo metterebbe a riparo i gameti femminili dalla loro progressiva riduzione nel tempo. Infatti l’endometriosi ovarica tende a ridurre drasticamente nel tempo la riserva ovarica sia per la formazione di cisti che erodono il tessuto ovarico sano, sia per gli interventi talora indispensabili alla loro asportazione che, per quanto conservativi, distruggono anche tessuto sano.

Vista, quindi, l’ampia possibilità di scelte oggi a disposizione, sarà compito dell’oncologo e/o del ginecologo, non solo scegliere la terapia più appropriata a garantire il raggiungimento dell’obiettivo primario che è la completa guarigione dalla malattia, ma anche, se è il caso, indirizzare il paziente al counseling fertologico.

L’illustrazione dei problemi relativi alla perdita della fertilità e alla loro possibile soluzione al momento della comunicazione della diagnosi, offre qualche speranza in più in un futuro in cui, ottenuta la guarigione, la vita potrà tornare ad essere il più possibile normale.

Naturalmente le strutture che praticano tali procedure devono essere autorizzate ed avere i giusti requisiti strutturali secondo le normative previste dalla legge 40/2004, dal D. Lgs. 191/2007, dal D. Lgs. 16/2010 e senza trascurare il D. Lgs 626/1994 sulla sicurezza del lavoro.

Oggi in Europa solo i centri che hanno superato gli opportuni ed attenti controlli da parte del CNT (Centro Nazionali Trapianti) possono operare in questo delicato settore.

Data pubblicazione: 27 ottobre 2013

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