Fobie, ossessioni e depressione: il percorso terapeutico secondo IT di Stephen King

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Un gruppo di ragazzini si ritrovano a formare una banda, la banda dei perdenti, per difendersi dai bulli locali ma anche per darsi forza reciprocamente. Ciascuno infatti ha un suo punto di debolezza, una malattia o una condizione che crea disagio o fa sentire "diversi". Un ragazzo di colore, preso di mira dai coetanei nell'America provinciale degli anni 60, un ragazzo che balbetta, un ragazzo obeso, un ragazzo che soffre di asma "psicosomatica" e così via.

Questi ragazzi scoprono che in città opera un demone, un "qualcosa" (it) che si manifesta spesso in forma di clown e che attira e uccide i bambini. Il demone prende anche la forma delle loro paure, o dei loro desideri, dei rimorsi, dei rimpianti, insomma si infiltra emotivamente nelle persone per colpirle e indebolirle. La banda dei perdenti riuscirà a sconfiggere il demone nascosto nelle fogne della città, ma solo temporaneamente. A 30 anni di distanza si reincontreranno, da adulti, come avevano promesso in un giuramento, perché It è risorto.

Nella rappresentazione It può essere visto semplicemente come un mostro che vuole il male delle persone, alla fine è ucciso ma poi ritorna dalla morte e deve essere ucciso ancora, ciclicamente. Non sappiamo se tutti lo vedano, solo che i "deboli" del paese se lo sono confessati l'un l'altro, e hanno formato un gruppo in grado di ucciderlo. It è abbastanza chiaramente un demone che si fa forte della paura e del disagio che suscita, e che fa leva proprio sui punti deboli delle sue vittime, anzi, delle vittime che hanno deciso di opporglisi. E' la stessa cosa che accade a chi cerca di curarsi, o con le medicine o con la psicoterapia: all'inizio è preso dalla tentazione di lasciar perdere, di continuare a convivere con la sua malattia e subirla, perché affrontarla con una cura (che per il momento è solo una speranza) significa mettere a fuoco il proprio dolore, e quindi anche la propria insicurezza di superarlo.

In una scena il ragazzo asmatico ricorda che un giorno il farmacista del paese lo prese da parte per dirgli che in realtà la medicina che sua madre gli faceva prendere era "acqua" e che la sua asma era in realtà quella che potremmo chiamare panico. Il ragazzo che all'epoca rifiutò questa verità, perché legato allo spray come strumento di rassicurazione, da grande ricorda con affetto quella figura, che voleva solo liberarlo dalla schiavitù della ricerca di rassicurazione con una cura fasulla. Anche con questa consapevolezza, l'asma psicosomatica non è comunque passata, e il ragazzo cresciuto continua a usare quella medicina, con la differenza che il farmacista di trent'anni dopo è ben contento di vendergli quel "nulla" dicendogli che "i vecchi rimedi sono sempre i migliori".

Sarà proprio il ragazzo a respingere il demone It spruzzandogli in faccia la sua medicina, come per indicare che con il coraggio si può passare dalla necessità di rassicurazione alla forza di reagire contro le proprie paure. E' anche curioso che quando i ragazzi si scontrano con il demone It, e contemporaneamente sono rincorsi dalla banda di bulli che li perseguita, sarà proprio It a uccidere i bulli, e uno dei ragazzi dirà alla polizia di essere stato lui a farlo, non volendo e non potendo raccontare che era stato un demone. Anche per questo episodio il significato simbolico è che il coraggio di affrontare le proprie paure spazza via i problemi che su queste paure crescono, come ad esempio le insicurezze sociali. Scontrarsi con il grande demone significa anche che si riesce a ribaltare il pericolo che si vedeva enorme (i bulli) e a convertire una debolezza in forza.

Per paradosso, l'unico in grado di accettare i suoi limiti e le sue debolezze e convertirle in forza è colui che è ci è abituato, che parte da sconfitto. E quindi può divenire vincitore senza paure di non essere adeguato o vincente. I forti tacciono su It, lo subiscono senza neanche osare nominarlo, anche se in teoria potrebbero sconfiggerlo. Sono i deboli che prima se lo confessano a vincenda, e poi insieme si fanno forza per affrontarlo.

It è una materializzazione della paura, e il percorso che questi ragazzi compiono per ucciderlo una prima e una seconda volta somiglia molto a un percorso terapeutico: il disturbo, sentirsi in trappola, demoralizzarsi, cerca dolorosamente una soluzione, trovarla, sapere che il "demone" interiore potrà tornare, giurare di cacciarlo se dovesse tornare, e cacciarlo di nuovo.

Il messaggio che può derivarne non è tanto che bisogna affrontare le malattie senza cure, contando sulle proprie forze. Questa è una falsa lettura. Il messaggio riguarda se mai la forza di affrontare le malattie curandosi, anche se questo fa all'inizio ancora più paura, perché mette a confronto con le malattie, anziché fornire un modo di "adattarsi" alla loro presenza.

Chi è depresso è sfiduciato e perplesso all'infinito, chi ha il panico è terrorizzato, anche delle medicine, chi è agitato pensa non ci sia soluzione e che comunque sia da un'altra parte, chi è eccitato vorrebbe risolvere il problema accelerando o facendo forza su ciò che gli sta crollando addosso, e quindi trovare la forza di provare una cura è un grande atto di coraggio.

Si affrontano ancora una volta le proprie paure e i propri demoni, e senza neanche la certezza di riuscire a vincere. Come in qualsiasi vera battaglia. Questo però dà spesso la scoperta che tutti quei problemi che limitano la ricerca della felicità (problemi di relazione, di lavoro, di affermazione, di aspirazioni represse o frustrate) magari sono solo il prodotto della malattia e del rifiuto delle cure, una scelta di adattamento al problema senza cercare una soluzione, di subirlo facendone la propria normalità inevitabile, che spinge poi a pensarsi come "chiusi" nella prigione del problema e ad aver terrore di provare ad evadere. La cura della malattia spazzerà via i fantasmi, quando si rinuncia a ragionare secondo il punto di vista, demoniaco, della malattia stessa.

Un altro aspetto è che le paure, le ansie e le depressioni possono tornare. Tutti gli adulti sono alle prese con gli stessi problemi di quando erano bambini, soltanto con più esperienza, ma non per questo con meno frustrazioni o angosce di fallimento. Il ragazzo balbuziente non balbetta più, è un famoso scrittore, eppure non ha mai osato confessare il suo amore alla ragazza del gruppo. In una scena It, prendendo le sembianze della testa di un altro amico, sbatte in faccia a tutti, uno per uno, le loro segrete debolezze. E' la paura che provoca, umilia ma alla fine causa una reazione: se si è sconfitto una volta il "mostro", si può farlo ancora.

 

Data pubblicazione: 24 gennaio 2013

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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3 commenti

#1
Utente 171XXX
Utente 171XXX

E' strano però dottore!ance io dopo tanti esitazioni, tenativi di "farcela da solo" e altre stupidaggini di questo tempo, ho affrontato la mia battaglia, ho assunto i miei bravi farmci e l'ho vinta, o almeno la sto vincendo si può dire. Però riflettevo prima che è difficile tornare "come prima". La malattia un po segna, qualsiasi momento di noia, sul lavoro e fuori, lo riconduco al disturbo...ma forse è normale che sia così, che questa lotta un po duri per sempre...

#2
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Infatti "come prima" spesso significa scordarsi che cosa si è passato, come se ne è usciti. Questo sarebbe salutare se fosse solo dolore da gettare alle spalle, ma considerando che questi disturbi "a volte ritornano", come dice un altro titolo di King, è bene conservare una memoria operativa di come si fa a combatterli, altrimenti quel che rimane è la memoria di come si fa a avvitarcisi intorno, perché la malattia di per sé lascia questa predisposizione, a ripartire da dove l'avevamo lasciata.

#3
Utente 486XXX
Utente 486XXX

Ringrazio vivamente il dottor Pacini perché mi ci sono davvero trovato in quest'articolo, che sembra calzare a pennello con le riflessioni che ho fatto da poco, e devo dire che leggendolo mi sono commosso.
L'estate scorsa ho lottato con un pesante episodio depressivo, talmente intenso che ha richiesto l'ospedalizzazione, nonostante fossi riuscito a superarne ottimamente un altro (il primo) a 17 anni con farmaci e psicoterpia, stavolta ero totalmente sfiduciato, perché ero sicuro che non sarebbe passato, e il mostro fa proprio questo, ti convince che questo sarà l'episodio definitivo e che ormai è la fine. Ma non è stato così, guardare in faccia il mostro ti da il coraggio di affrontarlo con strumenti che non pensavi di avere, in ospedale ho compreso che l'arte era una parte davvero importante per me, ho abbellito molte stanze del reparto con murales (che non avrei mai detto di essere in grado di fare) e disegnato storie di altri pazienti a fumetti. La risalita è avvenuta pian piano , con i giusti farmaci e con la scelta di provare una psicoterapia che supponevo sarebbe stata migliore per me.
Ora sto davvero bene, e non pensavo ce l'avrei mai fatta, ringrazio amici, medici e famiglia e anche me stesso per aver ripreso in mano la mia vita a pieno con una passione in cui mi sto buttando, e cicatrici che mi fanno sentire in un certo senso più forte.
E da pochissimo ho proprio letto It, e ho pensato le stesse esatte cose che ha scritto lei: probabilmente il mostro tornerà, ma ho fatto un giuramento di sangue con me stesso, come quello che fecero i ragazzini del libro: casomai dovesse tornare fra due o trent'anni, farò di tutto per combatterlo di nuovo e combattere la sua orribile illusione che questa sarà la volta definitiva.
Grazie per il messaggio di speranza e per il bellissimo articolo :)

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