Psichiatria e aggressività: il caso della Uno Bianca

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

In occasione di un corso sull'aggressività ho avuto modo di discutere alcuni casi di cronaca nera come esempi di legame tra sindromi mentali (non necessariamente "disturbi" nel senso dell'interferenza con la vita e gli scopi della persona) e comportamenti violenti.

Un caso interessante in questo senso è quello della Uno Bianca.
La storia in breve è questa: in un periodo di diversi anni, una banda formata da tre fratelli (Savi), più altri componenti occasionali compie oltre 100 rapine (a caselli, stazioni di servizio, supermercati e uffici postali, con 24 vittime tra civili e militari. Si verificano anche alcuni atti gratuiti, non finalizzati alla rapina, o di reazione "punitiva" contro chi si opponeva o semplicemente reagiva anche solo con uno sfogo verbale alle aggressioni o era testimone oculare delle loro azioni. Due dei fratelli (Roberto e Alberto) sono poliziotti, così come gli altri componenti occasionali. Fabio, comunque esperto e appassionato di armi, faceva invece il carrozziere.

Nell'intervista concessa al programma Storie Maledette di Franca Leosini, Fabio Savi racconta la sua versione. Il tutto ricorda una sindrome umorale, che secondo Savi ha inizio quando subisce una truffa sul lavoro, un mancato pagamento che lo costringe a indebitarsi per non fallire, ma soprattutto lo umilia per essere costretto a subire la scorrettezza di chi non lo ha pagato.
Da qui, lui dice "mi sono rivoltato contro il mondo con cui ce l'avevo".

Come in altri esempi cinematografici citati in altri articoli di questo blog (Un giorno di ordinaria follia, L'assassinio di Richard Nixon, The fan - Il mito) ad un'offesa ricevuta, e vissuta in maniera particolarmente bruciante, segue una fase di eccitamento comportamentale, associato ad un umore cupo.

Disinibizione e umore "patibolare", cioè una situazione in cui ci si sente proiettati mentalmente e fisicamente verso un destino, una missione, che sembra avere un senso definitivo (ribellarsi, vendicarsi, prendersi finalmente quello che ci si merita) superando vecchi ostacoli e vecchie barriere (la legge, la morale) accettando anche un esito finale di morte. Il tutto per tutto, insomma. Un tipo di scelta così definitiva in teoria potrebbe avere un punto di ritorno in qualsiasi momento, e infatti nel progetto in certe fasi c'era l'idea di fare il colpo grosso per poi ritirarsi con un bel patrimonio da spendere.

Di fatto però la storia della Uno Bianca sembra una fuga in avanti verso atti sempre più violenti e disordinati, in cui il guadagno è relativo e il rischio aumenta, così come il prezzo che gli altri finiscono per pagare. Savi dice che l'idea era che nessuno si dovesse far male, quindi essere rapinatori gentili, mentre la direzione fu tutt'altra.

Un episodio emblematico è quello del benzinaio che sotto la minaccia delle armi prende il portafoglio e lo butta in faccia a Savi, in maniera orgogliosa e con disprezzo. Savi lo uccide sul posto: il benzinaio aveva incarnato "il senso di giustizia che lui in quel momento non poteva avere". Come criminale "missionario" non poteva avere un senso di giustizia umana, perché era disposto a uccidere per i soldi, e lo aveva fatto per vendicare se stesso dal mondo, ma allo stesso tempo in questo ruolo si sentiva di aver tradito i valori in cui era cresciuto, si sentiva effettivamente "ingiusto".

Savi non può essere definito un "depresso", ma certamente ci sono alcuni tratti depressivi nella sua storia. Ad esempio i sentimenti di colpa. Ci sono anche elementi euforici e grandiosi: la ricerca di una dimensione gratificante, di un dominio sul mondo. E' curioso ad esempio il ruolo di Fabio Savi nella banda, come gli fa notare l'intervistatrice: il capo era in teoria l'altro fratello, che era anche "tecnicamente" più preparato in quanto poliziotto, ma le azioni più rischiose le faceva lui (Fabio), ed era lui a esporsi per primo.

Quando sono arrestati, Fabio si accollerà inizialmente anche responsabilità non sue, per "proteggere" gli altri, seguendo una "vocina" interiore (come dice lui) che gli imponeva questo sacrificio per la lealtà nei confronti degli altri. La colpa è qualcosa che "sente": non vorrebbe parlare degli omicidi più dolorosi, quelli delle vittime inermi, che furono giustiziate perché potenziali testimoni, o solo perché avevano detto una parola di troppo contro i loro aggressori. Si rifiuta di parlare della sua famiglia, del figlio e del padre, che si suiciderà dopo l'accertamento della responsabilità dei figli.

C'è senso di colpa, profondo a mio avviso, ma anche senso di inevitabilità dei fatti: colpe gravi ma inevitabili, tragicamente. Questo senso di destino inevitabile, di scelta senza uscita, di ribellione personale in cui ci rimettono ingiustamente ma inevitabilmente gli altri, è incomprensibile se non immedesimandosi in uno stato umorale "misto" (pessimistico-apocalittico ma grandioso-impulsivo), altrimenti noto come “mania mista”, o “mania furiosa”.

La ricostruzione dei fatti è dettagliata, manca invece la possibilità di ricostruire il "perché" (perché insistere in quel "delirio" criminale, perché non accontentarsi e finirla lì, soprattutto dopo i vari incidenti di percorso che avevano segnato la serie di azioni). Il perché era affettivo, e duplice: da un lato, forse più per gli altri componenti, la "dipendenza" dall'azione e dal ruolo di dominio (in maniera parzialmente slegata dal calcolo del guadagno). Dall'altra, l'idea di non poter tornare indietro, di voler vivere fino in fondo quella scelta (giusta di fronte al mondo che si odiava, ingiusta rispetto ai propri stessi principi teorici di rispetto e umanità).

Uno stato misto dell'umore, con componenti angosciose e depressive (pessimistiche, dolorose, cupe) e eccitatorie (grandiose, di imposizione di sé sul resto del mondo, di ricerca dello scontro). Eccitatoria e grandiosa ad esempio è la tendenza a rendere altri partecipi delle azioni: la banda era composta da tre fratelli, allargare il giro significava rischiare molto, oltretutto in maniera occasionale e non strutturale. Eppure doveva esserci un qualche compiacimento a far partecipare altri, quasi esibizionistico, narcisistico.

In quanto al senso di giustizia, c'è una evidente oscillazione tra il senso di inconsistenza (il desiderio di una distruzione finale, che risolve tutte le contraddizioni: la faccio pagare al mondo e poi pago io con la morte) e un "delirio" di moralizzazione del mondo stesso: si parte dalla vendetta contro chi aveva messo nei debiti Fabio Savi, alle spedizioni punitive contro persone considerate indegne (campo nomadi, immigrati senegalesi) con pretesti vaghi e comunque irrilevanti nella storia personale della banda.

Nel processo si registra un atteggiamento tipico dello stato misto, cioè l'atteggiamento sprezzante o comunque sarcastico, come ad indicare un senso di "vuoto" interiore, di pessimismo cosmico, in cui i valori sono sacri ma allo stesso tempo la realtà è invece priva di senso. Durante il processo scappano sorrisi, addirittura risposte sprezzanti ai familiari delle vittime "Mi hai ucciso il figlio - Fanne un altro".

Tolto lo stato umorale, resta solo una storia di morti e di violenza senza un senso. Come dice Savi a un giornalista che chiede a proposito di altri collegamenti criminali: "I servizi segreti dietro la Uno Bianca? - dietro alla uno bianca c'è la targa, i fanali e il paraurti, nient'altro".

Un esempio quindi di sindrome Bipolare, stato misto dell'umore, presa dal mondo criminale. Non esiste un legame specifico tra sindromi mentali e criminalità, se mai ne esiste uno tra sindromi mentali e fasi della vita in cui ci si sente assorbiti da una missione, da uno scopo che sarà quello fino alla fine, e che non si mette in discussione finché non ci crolla di fronte e ci costringe al confronto con le sue contraddizioni interne o i suoi limiti. Può trattarsi di una grande illusione amorosa, di un periodo mistico-religioso, di un periodo ribelle-violento, di una fase di rifiuto delle regole alla ricerca di libertà e esperienze diverse e stimolanti.

 

http://www.youtube.com/watch?v=tjF_6EsUi8Y 

http://www.youtube.com/watch?v=dw9PJgSZx9o 

http://www.youtube.com/watch?v=AztIIcS8Xj0&list=PL017C8FDE00BE05FF&index=1 

Data pubblicazione: 16 maggio 2013

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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1 commenti

#1
Ex utente
Ex utente

Ottimo articolo , complimenti .

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