Gli incubi contro le paure: come tenere le ossessioni fuori dalla porta

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Spunto da un film, "Paura" di Lucio Fulci, ufficialmente "Paura nella città dei morti viventi". Il titolo originale esprimeva meglio l'idea di fondo. L'orrore esprime le paure, e l'orrore sovrannaturale che è il soggetto apparente di questo film non si trova al di là della realtà ma nelle teste degli spettatori, e degli uomini in generale. La trama del film è minima, si tratta della "solita" apocalisse che si sta concretizzando con l'invasione dei morti. I protagonisti cercheranno di chiudere le porte dell'inferno e salvare il mondo. Ad aprire le porte dell'inferno, che rigurgitano i morti di nuovo sulla terra, è il suicidio di un prete, che evidentemente si arrende al male e soccombe. Il suo fantasma perseguita i vivi, cosicché chi ne incrocia lo sguardo (e quindi l'anima) muore in maniera truculenta o rischia di morire.

Temi classici dell'horror, niente di particolare. Il film è vagamente ispirato al ciclo di novelle di HP Lovecraft, che immagina un male cosmico, dormiente sotto sigilli precari, che è destinato a tornare in vita per dominare l'universo. Curiosamente, nel mondo immaginario di Lovecraft, il male è innocuo solo finché dorme, e "sogna" se stesso, impersonificato dal Dio dei sogni Chthulhu che appunto riposa in una terra sommersa. Quando invece il mondo finirà, anche la morte morirà, e questo segnerà il ritorno del male dal suo lungo sonno. I morti viventi sono quindi la punta dell'iceberg della fine del mondo. Anche questi temi classici dell'horror.

In questa variante è uno psicologo a dover fronteggiare alla fine il fantasma del prete, ma compie un grossolano errore terapeutico quando deve sconfiggere la sua stessa paura. Come fare a evitare che la paura invada il nostro mondo mentale, che prenda il sopravvento, che ci faccia impazzire e prenda il controllo delle nostre azioni. Certamente non attraverso una risposta a queste domande, perché domande del genere sono soltanto terrificanti e paralizzanti. Chiunque d'istinto cercherebbe di oscurare la paura, di spengere il suo fuoco, di seppellirla in una tomba chiusa alla perfezione perché non torni più.

Cosa fare contro la morte-vivente, che è il massimo della paura, la paura che resiste alla morte, che non la smette di perseguitarci neanche se abbiamo tentato di esorcizzarla, di oscurarla, di seppellirla ? Si può uccidere un morto vivente? No, se è già morto sicuramente resisterà alla morte che possiamo tentare di dargli una seconda volta. Infatti nel finale del film, i due protagonisti che ritornano vittoriosi dalla battaglia con il male, tanto vittoriosi non sono. Credono di aver ammazzato la paura, trapassano il fantasma con una croce, uccidono il già-morto, che prende fuoco, muore due volte, doppiamente. E morire due volte non ha senso, chi ritorna dalla morte non morirà più, e quindi tornerà all'infinito dopo ogni morte apparente.

Questo meccanismo somiglia molto a quello delle ossessioni: ci si rassicura, si crede di aver chiuso il pensiero, di averlo nutrito e saziato, e invece ritorna alla carica, e stavolta anzi ancora meno controllabile. Le armi usate una volta la seconda non valgono più. Ad ogni ritorno l'ossessione è sempre più complicata da ricacciare, e rimane comunque impossibile da estinguere. Naturalmente, se si combattono i fantasmi secondo l'illusione che essi danno, non si farà altro che rimbalzarli per vederli tornare ancora. Le ossessioni non si risolvono così come i morti-viventi non si eliminano con la morte.

Per chiudere ciò che ritorna razionalmente, non si può usare la ragione. Non esiste una risposta perfetta, è solo un'illusione dell'ossessione, come la croce che trapassa il fantasma, il vampiro, lo zombie. Lo uccide due volte, peccato che fosse già morto in partenza, e che quindi ucciderlo non serva. Paradossalmente, scagliandosi contro le paure come se fossero realtà da distruggere (i contenuti delle ossessioni), si chiudono le porte dell'inferno alle proprie spalle. Si rimane chiusi dentro.

Quando il nostro eroe trapassa con la croce il mostro, non ricaccia il male dietro le porte dell'inferno, che si chiudono, ma le apre, le spalanca e fa entrare il male ancora meglio. Chi risponde alle ossessioni, o si fa dare risposte da altri sui contenuti da cui è impaurito, non se le toglie dalla testa, al contrario se le avvita strette. Così ad ogni passaggio l'ossessione è sempre più presente e meno facile da allentare.

La soluzione è aprire le porte, perché il male non esiste, mentre la paura sì.
Aprire le porte della paura significa sfidare i suoi contenuti, e riprendere terreno mentalmente. Chiudere le porte a chiave significa chiudersi dentro, con le paure che entrano dalla finestra, e poi dai muri, dal pavimento. Quando si curano le paure (ossessive) fronteggiarle significa forzare il meccanismo dell'ossessione evitando di ragionare sul contenuto. Quando si rinuncia a tener lontano il demone, il demone sparisce. Quando si cerca di esorcizzarlo, il demone prende vita. Anziché sfidare una paura amorfa, "La" paura assoluta, la forma della paura, i protagonisti del film si ritrovano a credere davvero al male, all'inferno, all'apocalisse e sfidano i contenuti della paura, cioè cercano una soluzione alla paura contrapponendogli l'illusione del bene (la croce). Così facendo non fanno altro che girare la ruota dell'ossessione, che apparentemente sconfitta riesploderà in maniera definitiva nel finale, senza lasciare più spazio alla reazione.

Così' come in altri esempi cinematografici (It di S.King ad esempio), il rapporto con le paure ossessive deve sempre basarsi sulla terapia contro la forma, e non contro il contenuto, poiché il fondamento dell'ossessione è il suo guscio. Il contenuto spesso va utilizzato non come base per "risolvere" l'ossessione con una risposta, ma per rompere il guscio. Evitando le risposte, lavorando sulle risposte terrificanti, giocando su risposte che rimettono in gioco l'ossessione stessa, mettendo in dubbio l'ossessione senza fornire rassicurazione. Le tecniche sono varie, ma il principio è sempre quello. In questo l'horror è certamente visto come una rappresentazione terapeutica, che coltivando gli incubi immaginari combatte le paure reali.
Non a caso lo stesso regista rappresenterà in un altro film se stesso, regista horror, che durante una depressione non riesce più a vivere serenamente la sua immaginazione sanguinosa, e rimane invece preda della paura di impazzire.

Data pubblicazione: 26 agosto 2013

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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