Bipolarismo e estremismo politico - parte 2°: destra e sinistra

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Proseguendo il discorso su umore e estremismo politico, ecco una riflessione sul senso di alcune categorie politiche. Prendiamo ad esempio gli opposti estremismi, ovvero estrema destra e estrema sinistra, nella loro realtà storica del dopoguerra italiano.

Storicamente parlando, il progetto rivoluzionario comunista si collocava come prosecuzione mancata e tradita di una componente della lotta partigiana e ancor prima dell'opposizione al fascismo. L'estrema sinistra tendeva al potere, sulla base di modelli esistenti, che erano la Russia, la Cina, Cuba. Rivoluzioni riuscite, nel passato e nel presente. Il rifiuto della società avveniva quindi in nome di una nuova soluzione, che oltretutto aveva caratteristiche di universalità, cioè avrebbe unito il destino di tutti i popoli in una grande comunità emancipata e egualitaria.

A differenza dei fascisti degli anni '20, i post-fascisti e i neo-fascisti del dopoguerra avevano presupposti diversi. Innanzitutto venivano da una sconfitta, e da una condizione di damnatio memoriae, poiché l'antifascismo era sancito in termini costituzionali, e le forze politicamente egemoni erano la trasposizione di quelle coinvolte nella lotta partigiana antifascista, o la loro evoluzione. Nonostante alcune dittature ancora in essere, come quella di Franco, la dimensione positiva del neofascismo si risolveva di fatto in un anticomunismo dittatoriale, esemplificato in diversi "colpi di stato" militari. La prospettiva invece di un socialismo nazionale, secondo gli schemi dei fascismi europei sconfitti nella II guerra mondiale, non fu mai invece neanche sul punto di essere riprodotta. Questi punti di partenza rendevano l'ideologia neofascista spesso nichilistica, ossia paga di una prospettiva di lotta senza esito, di testimonianza di un'opposizione al regime che nasceva proprio per la frustrazione di non poterlo vincere su larga scala.

La progettualità rivoluzionaria era anch'essa diversa negli obiettivi: obiettivi studiati e strategici, con impazienza di spiegarsi alle masse, e convinzione di dover gestire un consenso in crescita mediante le proprie azioni, a sinistra; obiettivi di rottura, anzi di distacco, per dichiarare la propria ostilità rispetto alle istituzioni, o per vendetta, a destra, con rivendicazioni mai rivolte ad un pubblico di ipotetici seguaci.

Diversa è anche la frustrazione, vissuta a priori nel caso del terrorismo "nero", a posteriori, come assenza di sbocchi e epilogo fallimentare della lotta nel caso dei terroristi "rossi". In generale, il vernir meno di una gratificazione esterna, e delle aspettative, si situa tipicamente all'origine della lotta armata nel caso dell'eversione nera, come delusione finale nel caso dell'eversione rossa.

Cronologicamente, i movimenti figli del '68 e quelli della generazione '77 esprimono due diversi orientamenti umorali: il primo più utopistico ma ottimista, il secondo più nichilistico. Eppure anche nel nichilismo del terrorismo "a perdere" vi era un seme di ottimismo e di ingenuità, che nella mania vanno di pari passo. In altre parole anche chi distrugge cova il sogno che questo sforzo serva a cambiare qualcosa, altrimenti, nell'assoluta mancanza di prospettiva, non rimarrebbe che l'inerzia. Si potrebbe anche pensare che sia proprio questo "moto", questa irrequietezza a portarsi dietro prospettive più o meno fantomatiche di nuovi mondi da costruire o di cambiamenti da provocare. E' l'agitazione che produce l'idea, e non il contrario in altre parole. Non di rado gli "agitati" o gli "agitatori" (che sono più coinvolti intellettivamente e meno operativamente) passano da una all'altra variante ideologica purché ci sia azione o fantasia di rivoluzione.

Secondo Sartre ad esempio, il "gruppo rivoluzionario" è la traduzione esistenziale di un principio di sovversione di matrice umorale, che può applicarsi a qualsiasi ideologia. Forse è il temperamento che fa andare a destra o a sinistra, con la sinistra più ipertimica e la destra più irritabile-ciclotimica.

 

"..a destra si arriva per spirito di contraddizione, perché non credo che ci possa essere una ideologia, neanche a sinistra probabilmente, che ti porta a una scelta di impegno totale come poi è stata la nostra; per simpatia, perché c'erano delle persone con cui ci si trovava bene, si andava d'accordo; ma soprattutto, per quanto riguarda me, per spirito di contraddizione. Io non avrei sopportato che qualcuno mi dicesse: "Stai zitta perché non la pensi come me". Difatti non l'ho sopportato, mi sono comportata di conseguenza e ho risposto: "io non sto zitta"." (intervista a Francesca Mambro, dei Nuclei Armati Rivoluzionari, da "La notte della repubblica" di S.Zavoli.

 

Il rivoluzionario rosso prevale con la sua nuova verità (concorrenziale), il nero si oppone alla verità con una componente nichilistica (oppositiva). Non a caso la stessa F.Mambro illustra la propria posizione ideologica non come il pensare di "avere ragione" nello scontro con gli altri, ma di avere "meno torto degli altri".

Così, il rivoluzionario fallito che parte ipertimico diventa aggressivo se non ha seguito, mentre l'altro è già votato all'autodistruzione e non crede in una condivisione a grandi livelli, ma se mai sogna una vittoria solitaria contro il mondo. Il rivoluzionario nero non ha visto alcun crollo ideologico, aveva già "torto", anche se meno degli altri, mentre il rosso vive in maniera amara il crollo del sistema positivo in cui aveva creduto, o reagisce inasprendone i connotati. La reazione di frustrazione della mania "rossa" somiglia quindi alla cosiddetta disforia da contrasto del soggetto in fase maniacale, che rilancia e diventa aggressivo se non assecondato, tramutando la ricerca di approvazione in odio per chi non lo sostiene. L'altro, il nero, evolve con inasprimenti autodistruttivi, scagliandosi "al massacro" contro chi vorrebbe aggregarlo.

 

Un principio di agitazione comune e due diverse coloritura umorali alla base di scelte che sono invece apparentemente di matrice ideologica. L'ideologia fornisce il movente ma quasi mai l'arma per entrare in guerra, o almeno non in maniera così efficace come uno stato eccitato.

Data pubblicazione: 31 marzo 2014

18 commenti

#1
Utente 171XXX
Utente 171XXX

mi scusi ma il socialismo nazionale dove si vede nel fascismo? Forse nei punti di Sansepolcro e negli ultimi mesi della RSI, ma in 20 anni di regime mi pare che il fascismo sia stato ben lontano dal socialismo. Malgrado l'origine socialista del suo fondatore. Credo che il fascismo sia stato fondato su un compromesso tra i ceti borghesi, la Chiesa e l'ala moderata del movimento fascista. Quando il fascismo entra in crisi si rompe anche questo compromesso, e chi va a Salò infatti esprime una critica verso questa alleanza. Il proletariato non ha mai aderito al fascimso

#2
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Beh, il fascismo è fondamentalmente un socialismo nazionale. Si sopravvaluta l'esperienza di regime, che fu compromesso con le destre, per definire la natura dell'ideologia. Le frange socialiste non videro di buon occhio questo compromesso, e furono sempre molto polemiche. SanSepolcro-RSI, esatto, del resto questi sono i riferimenti della destra radicale, la continuità ideale con la RSI più che con il fascismo-regime, di fatto composto anche da elementi che ne promossero la caduta. Tanto è vero che nell'estremismo nero è frequente il superamento della dicotomia destra-sinistra. Alcuni esempi eclatanti sono il MRP, Lotta di popolo, Terza Posizione, Costruiamo l'Azione etc.

#3
Utente 171XXX
Utente 171XXX

guardi, io non sono visceralmente antifascista, devo dire che l'idea di un socialismo nazionale ha il suo fascino, e mi fan ridere e anche un po' schifo le iniziative come quelle del comune di Torino che revoca la cittadinanza onoraria al Duce dopo 70 anni che è morto. Bel coraggio ci vuole a farlo adesso. Come anche tanti intellettuali miei conterranei (Lajolo, Bobbio, lo stesso Bocca, per citarne solo alcuni), seconod me hanno cambiato bandiera quando faceva loro comodo ( Bobbio per altro lo ammise con onestà). Però il fascismo non è mai riuscito ad avvicinarsi al socialismo, neppure da lontano, ed anzi ha sempre combattuto aspramente le organizzazioni operaie, non ha mai cercato di avvicinarsi più di tanto ai ceti popolari...

#4
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Il fascismo delle origini è sindacalismo e socialismo, ovviamente non il socialismo che poi manterrà questo nome come partito e area politica. Non a caso Mussolini nasce socialista e non a caso un fondatore del PCI come Bombacci aderisce alla RSI e finisce a piazzale Loreto. In tutta la storia anche del neo-fascismo c'è un'ala socialista, che non ha prevalso quasi mai nella dirigenza partitica. C'è da dire che queste correnti non riconoscevano in Almirante un leader, tantomeno in Fini dopo. Nel senso che ricordava Lei il fascismo come partito d'ordine non è mai stato rivoluzionario né estremista. Ma qui parlavo appunto di estremismo, o radicalismo se preferisce, cioè alla radice dei movimenti. In più, non direi che il consenso popolare non fosse anche proletario, specie per il nazionalsocialismo lo era.

#5
Utente 171XXX
Utente 171XXX

infatti ( e chiudo con i miei interventi perchè penso che stiamo esulando dal tema del blog) la sua osservazione sul carattere "popolare" del nazionalsocialismo credo sia corretta. Pensi che dopo il 20 luglio del 44, con la Germania praticamente sconfitta, molti biasimavano aspramente gli attentatori di Hitler. Ancora negli anni 50 la maggior parte dei tedeschi era favorevole a Hitler e condannava chi aveva cercato di ucciderlo. Solo recentemente è stata rivalutata la "resistenza" tedesca, che fu comunque minoranza. Per i tedeschi la sconfitta non è mai stata vista come "liberazione" come in Italia, bensì come "Catastrofe nazionale" Anche l'antisemitismo era culturalmente approvato e diffusissimo prima della guerra (basti vedere le opinioni di Heidegger in merito, è uscito un bell'articolo sulla Stampa recentemente). C'è veramente da stupirsi di come i tedeschi non si siano mai resi conto (se non dopo molti anni) che il nazismo li stava portando alla rovina.

#6
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Beh, anch'io chiudo. In realtà il dissenso arriva con la sconfitta, ma questo è fisiologico per ogni regime. L'autonomia di questo consenso nonostante le cose volgessero al peggio comunque dipese forse dal fatto durante i regimi ci fu anche ripresa da condizioni precedenti precarie o disastrose (in Germania di più). Il boicottaggio al regime non fu di massa ma gestito dall'aristocrazia, militare e non, fedele alla destra monarchica e non al socialismo nazionale a livello ideologico. Per quanto riguarda l'antisemitismo, era una tendenza propria di ambienti di varia matrice, da quelli cattolici (la Polonia invasa dai tedeschi era aspramente antisemita già prima) a quelli socialisti (Allende).

#7
Utente 347XXX
Utente 347XXX

sono senza parole........

#9
Utente 317XXX
Utente 317XXX

Ma non è un blog di storia!!!

#10
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Il titolo dell'articolo fa riferimento a precisi periodi storici, per cui non ci vedo niente di strano che un lettore voglia discuterne brevemente alcuni aspetti, peraltro pertinenti con il tema psichiatrico.

#11
Utente 171XXX
Utente 171XXX

ma lei utente 347280 non è d'accordo su qualcosa ?

#12
Utente 317XXX
Utente 317XXX

Così è, se vi pare!

#14
Utente 171XXX
Utente 171XXX

non è che è una conversazione in codice tra lei e il dottore?ditemelo che mi tolgo

#15
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

No assolutamente, sembra un intervento di polemica a vuoto.

#16
Utente 347XXX
Utente 347XXX

Il fatto è che voi psichiatri fate passare ogni atteggiamento umano come patologico. Mancava giusto l'appartenenza politica.

#17
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Se ha capito questo ha capito male, anzi il contrario. In questo articolo non si fa riferimento a disturbi ma a sindromi. Ma è invece vero che molte delle manifestazioni umane corrispondono a categorie funzionali, di cui esiste una corrispondenza poi spesso anche in forma di disturbo. Qui non è l'appartenenza politica, ma se mai il radicalismo e l'estremismo che sono trattati, come aspetto formale del coinvolgimento politico. Non vedo in che cosa le idee, le posizioni e il valore che si attribuisce ad un impegno politico possa cambiare quando lo si descrive in termini di fenomeni cerebrali e mentali.

Esiste ed è esistita una psichiatria politica, unilaterale (cioè contro chi in quel momento si trovava dalla parte dei dissidenti o degli sconfitti, ad esempio il caso di Ezra Pound, o l'uso di strumenti medici per il trattamento del dissenso al pari di un delirio nell'ex urss). Trattasi però di usi impropri, più che di accomunare diagnosi a posizioni politiche.

Infine, le faccio notare che esiste anche l'opposto a quello che teme Lei, e cioè il negare ogni categoria psichiatrica e psicologica sostenendo che la malattia mentale semplicemente non esiste. Un esempio è l'idea che il genio e la follia siano coincidenti, che l'emarginazione generi psicosi, che le nevrosi siano solamente atteggiamenti culturali, che le dipendenze siano indotte dall'illegalità delle sostanze, e così via.

#18
Ex utente
Ex utente

Dr Pancini ottimo articolo, ma quindi secondo lei è possibile che un estremista politico abbia un disturbo bipolare che si manifesta con la fermezza delle idee e la persecuzione di queste nella fase maniacale, e si ha un senso di incertezza sulle proprie idee politiche e un senso di angoscia perchè queste non si potranno mai realizzare nella fase depressiva?

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