L’”età dell’infelicità”? 46 anni

Secondo "The Economist" la felicità aumenta con l’età seguendo un andamento a U (diminuisce fino alla mezza età per poi aumentare), non è direttamente correlata alla ricchezza e varia in base allo stato di famiglia.

Le discipline economiche sono sempre più interessate allo studio della felicità: alcune dimensioni psicologiche sono collegate profondamente ai comportamenti “economici” delle persone, li determinano e orientano, contribuendo a creare il benessere collettivo degli stati, solitamente misurato in base al PIL.
Negli ultimi anni è stata avanzata la proposta di misurare la ricchezza anche in base alla "Felicità Interna Lorda", e pare che sia Nicolas Sarkozy sia David Cameron siano interessati a misurare il benessere dei loro cittadini in maniera più globale rispetto al semplice calcolo del PIL e del reddito medio pro capite.

Un interessante articolo appena uscito su “The Economist” prende in esame i fattori che fino ad oggi sono risultati influire sulla felicità dell’individuo:

- ETA’: le ricerche dimostrano che all’aumentare dell’età le persone sono più felici

- SESSO: le donne sono mediamente più felici degli uomini, per quanto siano anche più soggette a sviluppare sintomi depressivi (secondo “The Economist” il 20-25% delle donne sperimenta la depressione, contro il 10% degli uomini)

- PERSONALITA’: sono stati considerati tratti stabili, che accompagnano l’individuo per tutta la vita. Il tratto Estroversione favorisce la felicità, mentre il tratto Nevroticismo (soggetti che presentano ansia, senso di colpa e rabbia) la ostacola

- FATTORI AMBIENTALI: essere sposati aumenta la felicità, ma avere figli in casa la fa diminuire. La disoccupazione ovviamente rende infelici, un grado superiore di istruzione la aumenta ma l’approfondimento di questo risultato ha mostrato che la felicità non deriva da essere più colti, bensì dal fatto che chi ha un titolo di studi superiore guadagna mediamente di più.

Il risultato più interessante è che la percezione di chi sia più felice spinge sia gli anziani sia i giovani a indicare questi ultimi come più felici, ma se si valuta individualmente il grado di felicità si scopre che gli anziani sono più felici dei giovani.

La felicità in rapporto all’età si distribuisce seguendo un andamento ad U: diminuisce per toccare il fondo mediamente a 46 anni, per poi risalire e aumentare con il passare degli anni.
Questo effetto può essere legato al fatto che vivere in momenti differenti della Storia abbia portato i soggetti esaminati a essere più o meno soddisfatti della propria vita?
I dati provenienti da popolazioni che vivono in molti diversi Paesi permettono di concludere che la variabile indipendente sia proprio l’età, perché la stessa curva ad U si riscontra in tutte le popolazioni del pianeta.
Anche fattori esterni come occupazione/disoccupazione, presenza/assenza di figli, ricchezza/povertà non incidono: la U rimane invariata.

Perché gli anziani sono più felici?

Secondo “The Economist” la spiegazione dipende dai differenti comportamenti tenuti a diverse età.
Gli anziani sanno risolvere meglio i conflitti grazie all’esperienza e sanno controllare meglio le proprie emozioni, accettano meglio la “sfortuna” e non si arrabbiano come facevano da giovani, ma tendono a prendere con filosofia quello che accade.
Al contrario dei giovani, gli anziani sono concentrati sul presente e sul vivere bene l’oggi, mentre i giovani fanno molte cose che non gradiscono con l’obiettivo di averne dei vantaggi in future (l’articolo cita l’esempio di chi va a cocktail party, dicendo che a nessuno piace andarci ma che sono considerate occasioni di incontro con persone che potrebbero essere contatti utili in futuro).
Inoltre gli anziani accettano generalmente i propri limiti, non coltivano ambizioni illusorie e sono più sereni riguardo alla morte rispetto ai giovani.

La felicità non è fine a sé stessa, ma aumenta anche la salute delle persone, fa guarire prima da malattie e ferite.
Le ricerche dimostrano inoltre che chi è sottoposto a test psicologici mentre è allegro ottiene punteggi migliori, il che si traduce nella vita reale nella maggiore produttività di chi è felice rispetto a chi non lo è.

Quale appare essere quindi la formula della felicità?

Accontentarsi, concentrarsi sul presente, accettare i propri limiti, non arrabbiarsi inutilmente sembrano essere le caratteristiche che permettono agli anziani di essere più felici dei giovani.
Sembra che ambizione e felicità non vadano d’accordo, ma senza ambizione e insoddisfazione viene a mancare la motivazione necessaria per migliorarsi e impegnarsi verso il futuro, caratteristiche necessarie perché i giovani possano progredire e costruirsi un’esistenza soddisfacente.
E’ sicuramente molto valido lo spunto offerto dalla concentrazione sul presente che permetterebbe di essere più felici, perché vivere con la testa perennemente nel futuro non consente di impegnarsi a star bene anche nell’oggi, e a mandar giù troppi rospi in attesa di un riscatto futuro che non è per nulla certo.

Penso quindi che un po’ più di attenzione al presente, al qui e ora, sarebbe utile a molti, e che anche reagire in maniera meno aggressiva alle situazioni, accettando anche i momenti negativi della vita, aiuterebbe ad accumulare meno frustrazione e ad essere di conseguenza un po’ più felici.


Fonti:

www.economist.com/node/17722567?story_id=17722567&CFID=151548029&CFTOKEN=14545087

www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/vociglobali/grubrica.asp?ID_blog=286&ID_articolo=54&ID_sezione=654&sezione=
Data pubblicazione: 18 dicembre 2010

1 commenti

#1
Utente 729XXX
Utente 729XXX

Una Bella Notizia!
Scusi il commento leggero, ma ormai da qualche anno io e le mie amiche siamo arrivate alla conclusione che le donne, alla nostra età (48/50 anni) attraversino un pessimo periodo.
Sapere che ormai “abbiamo toccato il fondo” è incoraggiante...speriamo nella risalita!
I motivi di questo periodaccio -almeno i nostri – non sono difficili a capirsi: a prescindere dalla premenopausa, abbiamo raggiunto un 'età in cui i figli, per i quali abbiamo se non proprio sacrificato, almeno accantonato la carriera, stanno crescendo, attraversano periodi difficili e danno più problemi che gioia; il lavoro che svolgiamo- di ripiego per accudire i figli – ci attende inesorabile e senza gratificazioni ancora per molti anni; i nostri genitori sono ormai molto anziani e spesso malati e bisognosi di cure ed affetto, creando situazioni talora molto tristi; i mariti – quelli rimasti- hanno instaurato un rapporto di “buon vicinato” ma non sufficiente a sopperire alla carenza di affetti e soddisfazioni di cui ci lamentiamo....
pensa che si riferisca a queste circostanze lo studio?
Speriamo che sia vera la parte che prevede un miglioramento invecchiando! ;-)

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