Compulsioni, la trappola dei rituali

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Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta

E' la compulsione che si maschera da ansiolitico! 

Controllare il gas ripetutamente, assicurarsi di aver chiuso la macchina, guardare ripetutamente nei cassetti o sotto il letto, pulire oggetti appena toccati, mettere tutto in ordine con perfezione millimetrica, rifare e disfare il letto se durante l’esecuzione qualcosa ci ha distratti e tutta una serie lunghissime possibilità che le compulsioni offrono a chi ne è affetto, rappresentano, paradossalmente, un potentissimo, ma immediato e per nulla duraturo, ansiolitico in grado di placare la tensione che scaturisce dall’impulso di effettuare le su descritte operazioni.

Immaginiamo lo stato di profondo disagio che parte nel momento in cu si sente l’impulso di mettere in atto un rituale:

la tensione comincia a salire, appare difficile pensare ad altro e se vi è un tentativo di distrazione esso fallisce miseramente nel momento in cui una sorta di vuoto nello stomaco fa sentire tutto il suo peso. Pensiamo che l’unica cosa che potrà placare questo stato di tensione, che cresce sempre più, sia l’applicazione del rituale. Non ci concediamo il tempo di far altro, ogni pensiero è immediatamente rivolto all’unico elemento che possa abbassare la tensione che sta raggiungendo picchi elevatissimi. La memoria  ci ricorda che l'unica cosa in grado di placare la nostra angoscia è, purtroppo, il portare a termine il solito rituale. Ha già funzionato, ricordiamo, solo esso può abbassare la tensione anche se per poco. In questo caso non possiamo far altro che compiere il rituale con un calo immediato, quasi drastico, dell’angoscia che si è accumulata. E qui che scatta la trappola di questo apparente ansiolitico. Poiché la tensione cede il passo alla sconfitta, al senso di colpa e all’evidenziazione di avere una patologia che, a sua volta, intacca fortemente l’umore e la stima che abbiamo di noi.

Ciò che la compulsione non ci fa vedere, grazie alla sua immediata e illusoria attività ansiolitica,  che è proprio questa la trappola che noi stessi costruiamo. Non riuscendo a tollerare la tensione non permettiamo a noi stessi di renderci conto che quella tensione e/o angoscia, che tanto volgiamo placare, NON è eterna e che prima o poi, come una sorta di termostato che tocca il picco e poi riscende inesorabilmente, comincerà a placarsi. E’ un’esperienza che ci precludiamo nel tentativo di togliere subito di mezzo l’angoscia che, ormai, sembra divorarci. Una volta concluso il rituale ci vuole poco che tutto il processo riprenda nuova vita.

Non ci accorgiamo che è proprio il tentativo di placare l’ansia a mantenere  in vita il sintomo compulsivo ma se provassimo a resistere ed a resistere ancora, le scoperte che faremmo apparirebbero addirittura sorprendenti. Ovvio occorre addestramento e strategia (inutili i ricorsi alla volontà) e, in alcuni casi, la presenza di un tutor che ci impedisca l’applicazione del rituale può essere utilissima.

Le terapie più idonee alla gestione e l’estinzione dei rituali compulsivi sono quelle orientate a prevenire l’applicazione della compulsione e a gestire volontariamente i sintomi allo scopo di non viverli passivamente come una volontà estranea.  E’ bene ricordare che il tentativo immediato di placare l’ansia sta preparando la nostra mente ad un ansia ancora più grande!

Dobbiamo apprendere che il vero problema non è la compulsione stessa ma la tensione che vogliamo placare ed il ruolo, ormai appreso, del rituale nel farci da ansiolitico a dal quale dobbiamo spostare la nostra attenzione. E’ necessario addestrarsi a tollerare l’angoscia e, come già affermato in una sessione precedente, https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3607-e-la-lotta-contro-l-ansia-che-crea-ansia.html

è la nostra convinzione che uno stato di ansia non debba per nulla esistere che ci spingerà a compiere determinate azioni (per eliminarla) che non solo la manterranno in vita ma che la incrementeranno inesorabilmente.

 

Per un approfondimento di veda

 

Data pubblicazione: 30 gennaio 2015

7 commenti

#1
Dr. Antonio Vita
Dr. Antonio Vita

Mi pare di essere d’accordo, in gran parte con l'amico e collega De Vincentiis, lucido e chiaro come sempre.
Condivido il fatto che l’azione compulsiva è patogena di per sé, tanto da accrescere, se esercitata, l’ ANSIA: un’ansia sempre maggiore perché il soggetto non sempre è certo di essere al sicuro dalle successive riprove.
Posso aggiungere che sarebbe auspicabile sostituire l'attività ritualistica con altre risorse alternative, meno irrazionali e più accettabili per la salute del soggetto. Ma c’è sempre il pericolo che seppur si trovassero soluzioni alternative, esse stesse diventerebbero patogene per il soggetto che, dopo un certo periodo di tempo, non potrà più fare a meno di queste.
D'altronde, se tagliassimo forzatamente la ripetizione patologica dell’azione compulsiva, si dilaterebbe in modo esagerato la sacca dell’”ANGOSCIA”.
Quindi, se la sostituzione dell’azione compulsiva con altre meno patogene e più accettate non può dare risultati soddisfacenti perché di per sé anche le azioni sostitutive diventerebbero loro stesse attività patogene, sarebbe troppo scandalosa l’ipotesi che scavando nell'inconscio del soggetto si possa giungere a trovare la causa di questa patologia? Io credo che, anche se con molta difficoltà, potrebbero essere rinvenuti e quindi trattati gli elementi che provocano questa patologia nei diversi casi.

#2
Dr. Antonio Vita
Dr. Antonio Vita

Mi sono dimenticato di rispondere al tuo quesito iniziale: Sì, le scariche compulsive sostituiscono l'ansiolitico.

#7
Dr. Paolo Mancino
Dr. Paolo Mancino

Salve. I colleghi si sono espressi sulla possibilità di ridurre o eliminare la compulsione del signore che il venerdì doveva controllare più volte che la cassaforte fosse stata opportunamente chiusa e messa in sicurezza.
L'autore scandisce più volte che la compulsione (ovvero il controllo ripetuto più e più volte anche quando viene oggettivamente ritenuto oramai inutile e indice di un disturbo) funzione come ansiolitico. Infatti, il controllo ripetuto e ossessivo viene a ridurre l'ansia che fino a quel momento era salita a livelli insostenibili. Dunque, per placare l'ansia viene messo in atto il rituale. Il problema sarebbe dunque l'ansia che alimenta il rituale e la risposta di questo a placare momentaneamente il bisogno.
L'attenzione dello psicologo si rivolge allora alla possibilità di mitigare l'ansia e cioè intercettare un metodo o una condizione (semmai una prescrizione) in grado di ridurre la forza che sottende il ripetersi della compulsione.
Risulta anche che ci si sforza di cercare un tale criterio e spesso non si riesce a trovare in quanto il paziente non è in grado di accettarlo o usarlo per i suoi fini terapeutici. Il metodo cognitivo si sforza di trovare stratagemmi che diano la possibilità di intervenire per acquietarla o educarle.
Il metodo strategico invece vorrebbe intervenire sulla percezione e non sulla cognizione del soggetto, il quale si troverà a confrontarsi non sulla sua educabilità ma su un atto concreto.
In questi casi la scuola strategica da indicazioni ben precise. Queste consistono nel prescrivere al soggetto con modalità adeguate per essere accettate, anche se non comprese inizialmente, "Se uno, allora cinque".
"Se lo fai una volta dovrai ripeterlo cinque volte, non una di più ne una di meno. Se non ce la fai a controllare la forza che ti costringe a mettere in atto la ripetizione inconsulta del controllo allora dovrai metterlo in atto una quantità di volte che ti risulteranno al di fuori di questa "forza" e quindi poco gradita. Ancora meno gradita alcune volte della stessa compulsione.
Il metodo "Se fai uno fai cinque" ha le sue variazioni e adattamenti in diverse circostanze e occorrenze. Esso è stato applicato migliaia di volte nel corso degli ultimi 25 anni dalla Scuola di Terapia Breve Strategica di Arezzo e dai suoi allievi in Italia.
Il testo fondamentale sull'argomento è "Ossessioni, compulsioni, manie" di G. Nardone.
Paolo Mancino

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