Diario di bordo di un terapeuta della coppia

valentina.valentini
Dr.ssa Valentina Valentini Psicologo, Psicoterapeuta

Nell’oceano immenso della vita, fatta di giorni sereni, ma anche di tempeste, di calma piatta e di mare forza 7, le coppie si trovano a investire tanto nel raggiungere i porti e le mete stabilite, dimenticandosi di prendersi cura della propria imbarcazione, arrivando ad attraversare tempeste con relitti che a mala pena galleggiano.
Presi dal viaggio, non si rendono conto delle condizioni in cui versa la barca, o a volte pensano che l’importante sia che galleggi. Per questo il primo contatto telefonico con uno psicologo è uno dei momenti più faticosi del processo terapeutico, prendere contatto con quella parte di se che chiede aiuto e risponderle telefonando ad uno specialista…

Il più delle volte, il partner che chiama parla in generale di crisi di coppia: “attraverso un periodo di crisi con la mia compagna”; “Ho litigato col mio ragazzo… dice che l’ho ferito”; “Avrei bisogno di una consulenza riguardo al mio matrimonio in crisi”; “ Ho bisogno di una consulenza riguardo crisi tra moglie e marito”.

Altre volte segnalano il bisogno di essere ascoltati: “avrei bisogno di una consulenza per parlarle di me e mio marito”; “avrei bisogno di un colloquio per parlare del mio rapporto con il mio fidanzato”.

Dopo quelle prime frasi di convenzione, prendiamo appuntamento e nella stanza di terapia iniziamo generalmente dal costruire uno spazio in cui la coppia è qualcosa di diverso da “A+B= AB”.
Come insegnava la mia prof di matematica: “non si possono sommare cipolle e patate” e quindi A+B da vita ad un'altra entità: C = la coppia.

Con stupore dei pazienti le domande “quando vi siete conosciuti?” o “cosa l’ha fatta innamorare di suo marito?” e “in che modo organizzate le vacanze?” iniziano a dare spazio a C in cui prendono consistenza regole, compiti evolutivi, pressioni ambientali, norme culturali, modelli intergenerazionali, alleanze, gerarchie, confini, perdite, impasse interculturali, aspetti che implicitamente o esplicitamente hanno contribuito a costruire quella coppia, ma con il tempo si sono modificati, a volte si sono irrigiditi fin ha portare alla crisi.

Esistono nelle coppie modelli stereotipati di comunicazione, norme implicite su ciò di cui ci si occupa e su ciò che si ignora, ciò di cui di parla e a cui non è lecito dar fiato. Quando pian piano, questi modelli, nel percorso terapeutico, emergono dal profondo, rendono certe dinamiche più chiare ed entrambi i membri della coppia fanno meno fatica a riconoscere la coppia come terza entità. In tal modo si riesce a prendere cura della coppia come si fa con un bel gozzo sorrentino, che ha bisogno di attenzioni, di cure, di tempo dedicato alla parte più profonda, come il motore ma anche alle parti più superficiali a partire dalle parti in legno da trattare fino agli oggetti in ottone da lucidare. Una barca che per poter ancora trasportare la coppia in alto mare ha bisogno di carburante e manutenzione, ma anche di un equipaggio che si prenda la responsabilità della coperta, della macchina e del viaggio.

E con l’amore che solo i veri “lupi di mare” conoscono, con quella barca si può scegliere insieme dove andare, mettere il punto sulla carta per mantenere la rotta, scegliere quando fermarsi e in quale porto scendere un po’ per visitare la città, decidere chi far salire a bordo e quale ruolo affidargli per continuare la navigazione...

Lungo tutto il percorso terapeutico si lavora al riconoscimento delle parti della barca con cui sono arrivati i membri della coppia, di come ogni tempesta a lasciato il segno, si lavora delicatamente sulla chiusura delle falle,quando è possibile, sulla ricostruzione di pezzi ormai deteriorati, si mostra in che modo è possibile prendersi cura del gozzo, senza necessariamente restare in cantiere, ma anche durante la navigazione. Ci sono, però, coppie che scoprono di aver trasformato quello splendido gozzo sul quale erano saliti in un ferrovecchio perché hanno attraversato tempeste e mari aperti alla deriva, perché nella foga di cercare di raggiungere le loro mete hanno perso di vista le condizioni di sicurezza della barca che li trasportava.

È difficile stabilire all’inizio della terapia se per i membri della coppia sia ancora possibile ripartire sulla stessa barca, a volte ci si rende conto che in effetti uno stava sulla barca, ma l’altro non era mai salito a bordo, rimanendo sullo zatterino.

Quando poi si arriva alla fine della terapia l’equipaggio è più consapevole di tutto il viaggio intrapreso ed è in grado di scegliere se prendere ognuno una propria imbarcazione, oppure, con il gozzo rimesso a nuovo, di partire insieme verso nuovi orizzonti.

Approfitto oggi di queste righe per ringraziare le coppie che mi hanno onorato di salire a bordo delle loro imbarcazioni, augurando a tutte buon vento!

 

Data pubblicazione: 12 settembre 2015

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