Quello che la disabilità non dice. Osservazioni psicologiche su di un universo assai ampio

Ho avuto modo di conoscerla, di lavorare con lei, e vorrei parlarvene...

Di chi? Lei.

La disabilità. Una realtà crudele, ma assai riservata.
Molto di ciò che le appartiene non vuole essere visto dai più, e, sapendolo, lo ammanta di silenzio, sapendo che la maggioranza (ma non tutti), può distogliere lo sguardo.
La disabilità non dice molto, sui suoi "figli", coloro che, ovviamente senza entusiasmo, fanno parte della sua "famiglia".

Ci sono molti modi di essere disabile (avere una disabilità, esser diversamente abili, come preferite): ognuno è unico, come uniche son le persone.
Unico nel genere, unico nella gravità, unico nei limiti che gli si impone, spesso logicamente incomprensibili nella loro pienezza da chi è sano (e non è una critica, è perfettamente comprensibile e "normale").
E visto che in un passato recente mi son data a righe che trattano i luoghi comuni, scrivo qui di un tema appunto non nuovo, ma di rado guardato negli occhi - appunto in alcuni suoi luoghi comuni.
Per favore, non ve ne abbiate a male: le mie osservazioni, giuste o sbagliate, non sono mai una critica o polemica - solo un dipinto, che si spera realistico, per dare un poco di voce.
Chiedo venia se tocco argomenti considerati "delicati", ma che trovo umani e molto... psicologici.
Per cui in breve...

 

Ciò che la disabilità (a mio avviso) tace...

- Chi ha una disabilità non è "angelicato". È una persona con gli stessi medesimi istinti, desideri, sogni e aspirazioni di chiunque. E questo riguarda anche la sessualità. È un argomento che si osa poco affrontare, la sessualità nell'handicap.
Molti han sentito parlare delle/degli "assistenti sessuali" - opinioni diverse e qui non trattate (personalmente la trovo una figura legittima e importante, e sta poi al singolo decidere o no, secondo il proprio punto di vista e i propri valori).
Qui mi riferisco, psicologicamente, all'idea un poco mesta che chi è, per esempio (esempio "classico") sulla sedia a rotelle, abbia una serie di peculiarità stereotipate e non caratteristiche proprie. Tra i primi luoghi comuni, è che egli/ella sia appunto in uno stato "angelicato", soddisfatto in un "nirvana dei sensi" che non esiste. E se il sesso per molti può non essere così fondamentale, non diamo per scontato che a priori non abbia ruolo, diritto e presenza nella vita di chi è disabile.
Ricordo che alla cassa di un supermercato, di fronte a una ragazza paraplegica che comprava dei presidi contraccettivi, una signora ha avuto la pessima idea di uscire con commenti non arguti e non rispettosi, shoccata che il proprio mondo fosse sconvolto nelle granitiche certezze con cui alcuni categorizzano gli individui (noi/loro, maschi/femmine, donne in carriera/mamme, etero/gay, bianchi/neri, casti-malati/machi-"normodotati", ecc.).
Doveva vergognarsi perché si innamora o desidera essere amata e amare?

Risposta della giovane, assai carina e tipino non angelicato: "Signora, non si preoccupi della mia vita sessuale. Non sarà con Suo marito!".

 

- La persona con disabilità ha un mondo interiore vasto e colmo di progetti quanto quello altrui. Non è un novantenne felice di imbottirsi di soap operas.
Mi spiace parere caustica, ma in realtà cerco solo di essere ironica. Sovente si dà per scontato (anche questa non è un'accusa, ma un retaggio che solo l'esperienza diretta e la sensibilità di molti mandano in briciole) che chi ha una disabilità sia da ammirare perché "accetta" graziosamente la propria condizione, prende il meglio di quel che può avere, se lo fa bastare e, data la situazione, ascolta le vite altrui.
È fuori di dubbio che una disabilità limiti (non di rado fortemente) il potere di realizzazione delle ambizioni e dei talenti - inutile negarlo, in un'epoca in cui anche i più sani arrancano.
Ed è fuor di dubbio che, ben consci della propria situazione, si impari a far di necessità virtù, finendo per apprezzare, notare e sentire a pieno quelle piccole cose che gli "altri" non notano (essendo poi infelici di tutto), quando chi ha "meno" si immerge a pieno nel quotidiano.
Esistono molte persone con disabilità che sono un monumento non solo alla forza umana e alla resilienza, ma anche esempio di gioia, entusiasmo, e voglia di fare. Perché i progetti, i sogni, e tutto ciò che di fattibile si può strappare alla vita, si tenta di conquistarlo anche coi denti (per non parlare delle cure, che si cercano anche al Polo Nord).
Con tale tenacia, si arriva delle volte ben lontano, e "superando" chi, coi piedi buoni, guarda per terra e non attorno. O dentro. Il successo per quel che si è, non per quel che si ha.
Però bisogna anche ammettere che possono esistere sentimenti meno rosei: se un mal di stomaco o una pessima giornata di lavoro indispongono chiunque, figurarsi una malattia importante con limitazioni e problemi cronici.
Quindi sì, talvolta nella disabilità c'è una "maschera" (del resto, le abbiamo tutti, e la parola significa "persona"). Dietro la quale c'è una fitta al cuore nel sentir raccontare quello che non si può avere o essere; nel sentire luoghi comuni cui sorridere pazienti; nel chiedersi "perché a me", quando si vedono persone fortunate che non godono di ciò che hanno; quando si sta male, ma si vuole star nel mondo.
Il disabile non è un "tesoro di persona".
È una persona. Punto.
Cui è toccato essere più forte e coraggiosa.
Che spesso raggiunge traguardi inaspettati, ma che deve fare i conti con tanmti problemi, restrizioni, sofferenze fisiche e non solo.
E che ha dentro quel desiderio di vita piena e sana, che non sparisce dai ricordi, se si sono avute memorie di piena salute - la consapevolezza lacerante di quel che non ritornerà più o che non arriverà mai.
Col risultato di avere il diritto di essere anche arrabbiati, scontrosi, "con la luna storta", spaventati e mille altre emozioni forti e dolorose. Loro, e i loro cari (la malattia è sempre una realtà di squadra).
O magari una persona con disabilità ha un brutto carattere perché era così anche prima, no?
Va bene, alcune righe possono apparire provocazione.
E non tutti si ritroveranno in quanto scritto.
Ma volevo lasciare le mie parole, nate da constatazioni.
Senza scordarne un'ultima (ce ne sarebbero molte di più, a dire il vero).

 

- La disabilità si crede sia sempre visibile. No, non è affatto vero. Esistono malattie gravi, magari rare, che non vedi a occhio nudo. Questo non vuol dire che siano meno limitanti di altre, meno feroci e spietate e difficili.
Non date per scontato che l'assenza di una sedia a rotelle significhi che la persona è sana e arzilla.
Se la pietà non è la benvenuta, non lo è neanche il non vedere riconosciuta la propria dignità di persona che ha una patologia importante, e magari l'essere persino stigmatizzati. L'apparenza inganna.

 

Quindi, che siate d'accordo o no, da qualunque lato delle "cose" stiate, spero di aver sfiorato almeno la superficie di qualche punto chiave.
Ribadendo che non è una critica a nessuno, ma semplicemente un "far notare", che per alcuni sarà ovvietà, ma per altri no (e lasciate per favore liberi i parcheggi disabili, che è tutta manna poter posteggiare a mezzo chilometro dalla meta, anche sotto la pioggia!).

E magari stando un filo antipatica, ma sempre con un sorriso finale mi domando, irriverente: di fronte a quella bella ragazza che infrangeva i luoghi comuni (al disabile il sorrisino, ma niente sesso)... Di fronte a lei, alla signora sarà venuto qualche dubbio sul marito?

 

 

 

 

Data pubblicazione: 28 aprile 2017 Ultimo aggiornamento: 04 maggio 2017

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