Psicologia dell'estetica: equilibrio dinamico tra ben-essere e bell-essere

Il concetto di “estetica”, nella storia del pensiero occidentale, è sempre stato riferito ad una parte della speculazione filosofica riguardante la pratica del “giudizio”: si pensi, ad esempio, alla teoria dell’Estetica Trascendentale di Kant che ha rappresentato la dottrina maggioritaria sulla percezione sensoriale fondata sulle funzioni trascendentali di spazio e tempo.

In realtà già prima di Kant, vi fu il filosofo tedesco V.S. Ramachandran, che introdusse il concetto di estetica, assegnando la dottrina del giudizio all’interrogazione sull’arte e sul bello: lo studioso effettua una declinazione della logica che invece di affidarsi alla ratio, tiene conto della conoscenza sensoriale dal momento che si presenta più legata al contingente, al particolare e concreto.

Ad oggi, l’estetica contemporanea continua ad essere ancorata a scuole di pensiero separate:

- quella della ricerca filosofica volta alla dottrina della percezione;

- quella orientata alla questione dell’arte.

Entrambi le correnti sono state riportate nella nuova prospettiva, vale a dire la Neuroestetica di Zeiki e di Ramachandran, nell’ambito della quale si è in presenza di commistione di sforzi fra neuropsicologia e neurobiologia attraverso l’utilizzo dei più sofisticati strumenti di rilievo clinico computerizzati.

Oltre a ciò si deve considerare che la cultura comune, nel momento in cui si parla di estetica, è essenzialmente riferita alla dimensione umana dell’apparire, del fashion, della cosmetica, della chirurgia estetica.

Il “bello” quindi si presenta come una questione dell’“essere al mondo”, rispettando specifici requisiti di mercato. Si tratta, come si può intuire, di una questione che ha delle ricadute anche dal punto di vista clinico. Tale accezione della tematica è, ad oggi, estesa, oltre alle ricerche sull’apparire, anche a quelle del “ben-essere”. In tal senso, “bell-essere” e “ben-essere” tendono a coincidere anche nel mondo del marketing, richiedendo un’attenzione sociologica e clinica al fenomeno.

A tal riguardo, il docente di psicologia dell’estetica Giuseppe Polipo parte proprio da tale presupposto al fine di cercare di offrire uno statuto disciplinare ad una serie di fenomeni rilevanti per la ricerca di benessere, rileggendo e reinterpretando il rapporto con il bello all’interno di una teoria della relazione con il mondo.

La psicologia dell’estetica deriva dalla volontà di interrogare il “bello” a partire dal corpo, tenendo conto della dimensione cognitiva della mente sensoriale.

Nello specifico, per Polipo, il concetto di psicologia dell’estetica si traduce nella concezione di un’intelligenza estetica in grado di fare della necessaria tendenza al bello una funzione critica di tipo regolatorio.

In altre parole, egli conduce l’analisi, da una parte, verso la comprensione delle potenzialità derivanti da un’indagine sulla sensorialità come parte essenziale dell’espressività primaria di una soggettività patente e non; dall’altra, verso la considerazione delle potenzialità di un lavoro psico-corporeo capace di modulare mappe somato-emozionali, mediante i metodi della razionalizzazione e dei codici simbolici.

Se, quindi, l’estetica si traduce in un’intelligenza volta a ricercare un equilibrio dinamico tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda, essa rappresenta anche il mezzo mediante cui vengono messe in rilievo le differenze individuali, la propria “diversità”, ossia:

  1. a) diversità genetica;
  2. b) diversa sensibilità emozionale;
  3. c) diverso background culturale;
  4. d) diversa rappresentazione motivazionale.

In questa prospettiva, l’intelligenza estetica diventa anche la capacità di comprendere tali diversità: nella creatività, nei valori emozionali propri a ciascuno, nelle funzioni relazionali che compongono nel loro insieme il “mondo della bellezza”.

 

Bibliografia:

Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 2000.

Kant, Critica del giudizio, Milano, Bompiani, 2004. 

A.G. Baumgarten, Estetica, Milano, Vita e pensiero, 1992. 

  1. Zeki, La visione dall’interno: arte e cervello, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

V.S. Ramachandran, The Artful Brain, London, Fourth Estate, 1989.

  1. Polipo, Psicologia dell’estetica. Istruzioni per una bellezza consapevole, Milano, AIPE, 2014.
  2. Lorenzetti, Intelligenza estetica, Milano, Gruppo Albatros Il Filo, 2009.
Data pubblicazione: 05 ottobre 2018

8 commenti

#3
Utente 509XXX
Utente 509XXX

La svolta sarebbe un'estetica scientifica,
Sottrarre il giudizio del bello ai sensi ed affidarlo ad un'analisi oggettiva.
Il marketing sta facendo solo danni, pure gravi.

Ci sono lavori in corso nel cantiere aperto da Zeki?

#4
Dr.ssa Erika Salonia
Dr.ssa Erika Salonia

Gentile utente,
le copio un estratto di un mio articolo su Semir Zeki, dato il suo interesse al riguardo.
Per Semir Zeki, professore di neurobiologia alla University College di Londra, l’Arte, ed in particolar modo la pittura, rappresenta uno straordinario strumento per studiare i processi nervosi tramite cui il cervello percepisce la realtà.
In passato si riteneva che la visione costituisse un sistema passivo, vale a dire che l’occhio fosse un canale mediante il quale passavano i segnali dall’esterno che arrivavano poi al cervello così com’erano: il cervello, invece, è in grado di effettuare una scelta tra i tantissimi dati a disposizione e mediante un confronto tra l’informazione selezionata e i ricordi immagazzinati riesce a generare l’immagine visiva seguendo un procedimento molto simile a quello attuato da un artista quando dipinge un quadro.
Attraverso l’immaginazione è possibile estrapolare le linee essenziali della realtà. Mentre perviene ad una “nuova” conoscenza, il cervello umano è di continuo ostacolato da dettagli irrilevanti e distraenti: pertanto, deve estrarre le informazioni essenziali e costanti, partendo da un insieme di dati in continuo cambiamento.
Per Zeki l’essere umano vede attraverso il cervello e non con la retina, la quale assume una funzione da filtro, da canale verso il cervello, per poi costruire l’immagine in base ai suoi vissuti, alla sua culture e a ciò che l’immagine stessa è in grado di evocare.
Di conseguenza: “il cervello visivo non è come un lettore di DVD, bensì un network in grado di costruire l’immagine a seguito di una elaborazione di dati archiviati, correlati alle emozioni percepite ed al godimento della bellezza. Vedere non è un processo passivo, ma attivo e creativo”.

Buona giornata :)


#5
Utente 509XXX
Utente 509XXX

Sì l'argomento direi che è di mio interesse, solo su questo sito sto annoiando molti di voi.
Vorei capire bene le fasi stimolo- percezione- creazione.

Quali sono gli ostacoli distraenti di cui parla?
E non si dovrebbero ignorare vissuto, emozioni ed influenze culturali
che potrebbero falsare il giudizio?


#6
Utente 509XXX
Utente 509XXX

Più specifico: il goal è il godimento estetico, cogliere il piacere dato dalla bellezza. Infiniti i benefici.

Io e lei guardiamo un quadro.
Data la stessa preparazione ad entrambi ( necessaria per intercettare tutti gli stimoli del'opera), e concordato lo stesso giudizio finale (il quadro è bello), cosa può giustificare, in uno dei due, una mancata ricompensa, in termini di piacere, dall'osservazione? Perchè io resto inerte davanti a ciò che giudico attraente e lei no? E perchè nella sua testa, parte frontale, avviene la rielaborazione creativa di cui parla, i neurotrasmettitori che fanno festa e le regalano un'esperienza, e invece nella mia, azzarderei parte nascosta, questo non avviene?

Spero sia chiaro.
Curioso come nel sublime non accada mai.

Ne approfitto per mettere qui ringraziamenti e congratulazioni.
Divulgare studi del genere aiuta un'educazione artistica che è, per come la vedo io, utile nel trattamento di tanti disturbi psicologici.
Ma utile anche alla formazione di un individuo, no?

#7
Dr.ssa Erika Salonia
Dr.ssa Erika Salonia

Per riallacciarmi al concetto di sublime, da lei citato, un’opera d’arte, in tal senso, può essere definita “bella” dal momento che concorre ad aumentare la conoscenza universale. In questa prospettiva, gli artisti possono essere equiparati agli scienziati, dal momento che, mediante una specifica metodologia e con un linguaggio diverso da quello scientifico, sono in grado di scoprire qualcosa di nuovo, riescono a “vedere” qualcosa che gli altri non vedono, e cercano – attraverso la loro arte – di comunicarcelo.
La ringrazio per le sue osservazioni. Senz'altro, come lei stesso asserisce, l'arte è utile alla crescita personale di ognuno di noi, e un grande sostegno in ogni situazione.
Buon proseguimento :)

#8
Utente 509XXX
Utente 509XXX

Giustissimo il paragone tra artisti e scienziati.
Resta da sperare che il tracciato di entrambi prosegua lineare,
magari con qualche stop, ma senza deviazioni pericolose.
Il mercato ha messo in crisi sia scienza che arte, sempre.
Forse sarebbero solo da togliere alla logica del profitto.

Grazie a lei,
Buona serata e buon lavoro.

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